Il pensiero meridiano – L’orgoglio del Sud

Costiera amalfitana

 

A qualche anima stretta la parola orgoglio può apparire retorica ed insidiosa, ma basta veramente poco per capire che essa designa non solo l’amor loci, ma anche la fiducia nei propri mezzi, la volontà di accettare le sfide senza l’aiuto d’interessati tutori. L’orgoglio così inteso è la principale forza produttiva, perché suscita energie insospettabili, spinge a rompere con una lunga abitudine alla passività, a dimostrare che essa non è un dato ontologico e immutabile del sud, ma deriva dalla subordinazione, dall’interiorizzazione di un sentimento di marginalità, dalla rassegnazione al ruolo di spettatori della storia, dall’assuefazione alla mancanza d’autonomia e alla dipendenza da altri, a quel brulicare malsano che nasce da esse.

Gran parte dei cosiddetti «vizi» meridionali, non sono, come fa comodo credere, una prerogativa del sud, ma l’effetto di una lunga emarginazione dalla grande storia e della passività e del cinismo che ne derivano.

Nulla di più diverso quindi dal pensiero meridiano, dell’attribuzione ai meridionali di quell’atteggiamento che il principe Salina attribuisce ai siciliani: «non vorranno mai migliorare per la semplice ragione che credono di essere perfetti». Nella sua radicale rivendicazione di autonomia quel pensiero non solo non è indulgente nei riguardi del sud realmente esistente, ma ne costituisce, per molti aspetti, la più radicale negazione, perché spinge verso l’azione e l’apertura: l’idea di autonomia che lo sottende è dura ed esigente, adeguata ad un sud che mira a mutare se stesso mutando il rapporto tra l’Italia, l’Europa e il Mediterraneo.

Se un’obiezione si può fare oggi a quella prospettiva è forse il suo titanismo, un volontarismo che spinge a sottovalutare la sproporzione esistente tra l’ambizione del progetto e le forze capaci di portarlo avanti. Su questo si può ragionare. La critica di indulgenza nei riguardi di vecchi vizi meridionali è invece fantasiosa e irricevibile, fondata più sull’inerzia di vecchi luoghi comuni che non sull’effettiva lettura del libro.

Nella mossa teorica che mira a costituire l’autonomia del modo di rappresentarsi del sud Ida Dominijanni ha visto un’analogia con il movimento del pensiero della differenza femminile. È un’osservazione acuta e pertinente. Come il femminile non costituisce rispetto al maschile una forma di esperienza minore ed imperfetta, ma una diversa percezione del mondo, che critica la falsa neutralità del dominio maschile, così il sud non costituisce semplicemente uno stadio imperfetto e incompiuto dello sviluppo, ma un altro sguardo, che mira a custodire un’autonomia rispetto al mondo sviluppato e a decostruirne l’arroganza simbolica.

Va anche da sé che questo movimento non costituisce una difesa della tradizione, proprio come il pensiero della differenza, che rivendica l’autonomia del punto di vista femminile, non coincide in alcun modo con l’idealizzazione della posizione tradizionale della donna. In entrambi i casi siamo di fronte non ad una difesa della società tradizionale contro la società moderna, ma ad una critica della falsa neutralità ed universalità dei modelli culturali dominanti. Il rischio che il pensiero meridiano si rovesci in un’apologia della tradizione può apparire credibile solo a chi, muovendosi all’interno del paradigma del pensiero unico, pensa che tutto ciò che non rientra nel suo misero monoteismo del profitto («non avrai altro sviluppo all’infuori di me») coincida con un’idealizzazione del passato e non invece con un ampliamento del futuro, con un allargamento delle possibilità in esso contenute ed un ampliamento della libertà.

 

FRANCO CASSANO

 

Da “Il pensiero meridiano” – Laterza

Foto: Rete

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