Queste feste private avevano luogo il 9, l’11 e il 13 maggio; le celebrava il pater familias per allontanare dalla casa i Lemuri, spiriti dei morti che nel mese di maggio ritornavano nelle case dove avevano abitato.

«A metà della notte, quando il silenzio favorisce il sonno, quando i cani e le specie degli uccelli tacciono, chi ricorda gli antichi riti e ha timore degli dèi si alza, senza sandali ai piedi; fa schioccare le dita, unendo il pollice al medio, segnalando così la sua presenza, perché, se conservasse il silenzio, potrebbe imbattersi in un’ombra vana. Si lava le mani nell’acqua di una fontana, prende delle nere fave, si volge e le getta dietro di sé. E mentre le getta dice: “Butto queste fave con le quali riscatto me stesso e i miei”.

Nove volte lo ripete, senza guardare dietro di sé. Si crede che l’ombra le raccolga e, senza essere vista, lo segua. Di nuovo egli tocca l’acqua, fa risuonare oggetti di bronzo, e prega l’ombra perché esca dalla casa. Per nove volte ripete: “Mani dei miei avi uscite”. Allora si volta, sicuro di aver portato a termine compiutamente i sacri riti.»

Ovidio spiega anche l’origine del nome Lemuria; Remo, dopo essere stato ucciso da Remolo, apparve in sogno a Faustolo e ad Acca Larenzia e chiese che si celebrassero feste in suo onore. «Romolo acconsentì e chiamò Remuria i giorni in cui si svolgono le cerimonie per i parenti defunti. E la lettera aspra che era all’inizio del nome, col passar del tempo si mutò in una dolce.» In quei giorni i templi restavano chiusi; «nel mese di maggio si sposano solo le male femmine, dice il proverbio» (Ovidio, Fast, v 419-92).

L’etimologia di Ovidio è soltanto un gioco di parole: probabilmente Lemures deriva dal greco lamuros che significa ‘avido’, ‘goloso.

LUISA BIONDETTI

Da “Dizionario di mitologia classica” – Baldini & Castoldi

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