STORIE DI BRIGANTAGGIO – Giovò lasciare insepolti i fucilati

Fucilazione di briganti, da una stampa dell’epoca

…Nota che laggiù mancava tutto quello che occorre alla civiltà. Scuole, neanche parlarne; strade, poche; esempi buoni, scarsi. I gran signori vivevano nelle grandi città italiane od estere. I poveri contadini avevano case tali da far loro invidiare le nostre stalle, e gli stalloni da maiali. Una stanzuccia tetra, quattro gradini sotto il livello stradale, con suolo di fango, serviva da cucina, da camera e da stalla…

Sul giaciglio, collocato sopra cavalletti di legno e tre assi, si trovava l’appartamento dei genitori; sotto il letto, al «pianterreno», c’era il domicilio della prole.

Ad imitazione di Cristo, avevano in un angolo il somarello e in un altro il maialetto.

Che cosa si poteva pretendere da gente che viveva in quel modo?

E se si univano ai briganti, sotto la promessa di far bottino e di arricchire, forse che erano tanto condannabili?…

Nella provincia di Teramo ci siamo fermati fino ai primi di maggio del 1861, perlustrando boscaglie, lottando coi briganti e facendone prigionieri parecchi, incutendo salutare paura nella parte trista di quei disgraziati paesi.

La nostra presenza ovunque ce n’era bisogno, improvvisa, energica, ci aveva per così dire resi celebri.

Camminando la notte nelle pericolose gole di quei monti abruzzesi, sentivamo chiaro l’allarme dei briganti: «Fuite — gridavano — C’è lu 39°» oppure: «Fuite, c’è lu 40°». Poiché ci distinguevano dal berretto e dalla mancanza di zaino che, come dissi, abbandonammo in Amendola e più non rivedemmo se non alla partenza da Teramo, dove ce li portarono.

Anche i giudici delle Corti marziali istituite dal generale Pinelli servirono a far star tranquilli i tristi; e più di tutto giovò il lasciare insepolti i fucilati. Ah! questa misura fu immensamente

«persuasiva».

Molti briganti erano sconosciuti nei paesi dove venivano giustiziati. Nei primi tempi si prendevano, si giudicavano, si fucilavano, si seppellivano. Qui finiva tutto, e non solo per loro, ma anche per gli altri. Chi li conosceva? Chi sapeva delle loro scellerate azioni? Chi della triste e meritata fine loro?… Nessuno… La terra copriva tutto.

Ma quando videro nei sagrati o nelle piazze i corpi dei fucilati, paesani o non paesani, rimanere esposti al sole ed alla pioggia, le cose cambiarono ad un tratto. Il castigo aveva servito di salutare esempio ai cattivi, di fiducia e incoraggiamento ai buoni che diventarono trattabili, perfino espansivi.

Restò, è vero, ancora per qualche tempo un giustificato timore per le vendette, poiché sapevano, che partita la truppa, il brigantaggio minacciava rifiorire. Specialmente quando si requisivano mezzi di trasporto per i nostri bagagli, la paura rinasceva negli abitanti, e stentavamo a trovare muli e carri. Ossia, si requisivano; ma, se non si mettevano sentinelle a custodia, alla partenza restavamo a piedi. Facevano sparire i muli sui monti, nelle grotte; seppellivano le ruote dei carri nelle concimaie, nei fossi pieni d’acqua, e fortunati quando si ritrovavano!…

(Da «II diario del nonno: cinquant’anni dopo» di Ermenegildo Novelli)

 

Ermenegildo Novelli, udinese, partecipò alla repressione del brigantaggio nelle file della brigata Pinelli nel ’61. Pubblicò le sue memorie (incompiute) cinquanta anni dopo su La Patria del Frinii. L’editore Del Bianco, di Udine, ne ha curato una edizione sotto il titolo Diario di guerra 1860-1861 nel centenario dell’unità.

“Il brigantaggio meridionale” a cura di Aldo De Jaco – Editori Riuniti

Foto: Rete

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