Carissima mamma,
nella scorsa lettera (del 5 marzo) ho commesso un errore, che però tu hai potuto correggere da te stessa: l’assicurata giunse a me il 4 febbraio e io ti scrissi per avvertirtene il 6 febbraio; non gennaio, come ti scrissi, ma febbraio, dunque.
Ho ricevuto recentemente notizie dei bambini e di Giulia. Delio è sempre stato bene, ma il piccolo è stato gravemente ammalato, in pericolo per qualche mese e perciò non mi mandavano notizie. La malattia ha ritardato il suo sviluppo, nella dentizione e nel parlare, ma da qualche tempo, dopo la guarigione, si riprende bene e riacquista il tempo perduto. Mi scrivono un mondo di particolari, che non ti ripeto, perché sono in fondo i soliti della vita dei piccoli bambini, ma che le mamme ogni volta credono straordinari e meravigliosi e solamente propri dei loro piccoli.
Pare certo, questa volta, che sia prossima la partenza per Roma e il processo. È forse addirittura probabile che si parta tra brevissimo tempo; cercherò di informarti della partenza con un telegramma, in modo che tu possa subito scrivermi al nuovo indirizzo delle carceri giudiziarie di Roma. Ti ripeto, ancora una volta, che tu non devi allarmarti qualunque sia la farragine di notizie che i giornali si compiaceranno pubblicare. Le stesse accuse, con riferimento agli stessi art. del Codice Penale, mi furono mosse nel 1923, quando ero all’estero. Fummo assolti già in prima istanza, quantunque ci fosse un documento con tanto di firme riconosciute autentiche dagli imputati (1).
Adesso sarò certamente condannato a molti anni, nonostante che l’accusa contro di me si basi su un semplice referto della polizia e su impressioni generiche incontrollabili; ma il confronto tra il ’23 e il ’28 basta a dare la nozione della «gravita» in sé del processo attuale e a caratterizzarlo. Ecco perché io sono così tranquillo.
Tu pensi che ciò che deve contare non sono queste circostanze accessorie, ma il fatto reale della condanna e del carcere da soffrire? Ma devi anche contare la posizione morale, non ti pare? Anzi è solo questo che dà la forza e la dignità. Il carcere è una bruttissima cosa; ma per me sarebbe anche peggiore il disonore per debolezza morale e per vigliaccheria. Perciò tu non devi allarmarti e addolorarti troppo e non devi mai pensare che io sia abbattuto e disperato. Devi aver pazienza e, in ogni caso, non credere alle panzane che possono pubblicare sul mio conto.
Spero che tu abbia ricevuto oramai tutte le mie precedenti lettere. Rinnovo gli auguri più fervidi e affettuosi per il tuo onomastico e ti abbraccio teneramente.
Nino
Note
- II riferimento è al processo svoltosi a Roma Hai 18 al ‘2fi ottobre 1923 contro
Bordigli, Grieco, Terracini e altri dirigenti comunisti. Questi erano stati accusati di
attività antifascista e incitamento all’odio di classe, ina vennero assolti per insufficienza
di prove.
ANTONIO GRAMSCI
Da “Lettere dal carcere” 1 – L’Unità
Foto: Rete