Monachesimo italo-greco: dallo splendore alla crisi

Patirion

La corrente basiliana annoverò in Calabria oltre trecento monasteri, dei quali un folto gruppo era distribuito, intorno al Mille, tra Stilo e Catanzàro. Dai pressi di quest’ultima città proveniva S. Bartolomeo di Simeri che, agli inizi del sec. XII, fondò il celebre monastero di S. Maria Odigitria o Patirion a poca distanza da Rossano, destinato a raccogliere l’eredità di S. Nilo anche nell’uso dello stile architettonico — donde il nome di «chiese niliane» a quelle sorte nel solco della tradizione fissata dal grande rossanese — e a diffondere le osservanze basiliane anche in terra di Sicilia. L’importanza del Patirion e del suo centro scrittorio è provata dal fatto che, nonostante tutte le dispersioni successive, è stato ancora possibile rintracciare varie centinaia di codici esemplati da quei monaci. In Terra d’Otranto fiorì poi il monastero di S. Nicola di Casole, fondato verso la fine et elevare atque gubernare», legando alla propria la sorte dei monasteri di nuovo fondati o arricchiti, S. Gregorio Taumaturgo e S. Nicola in diocesi di Squillace, S. Maria de Eremo a Stilo, S. Maria di Reggio, S. Salvatore di Messina, S. Giovanni dei Greci  di Palermo, e trasmettendo per mezzo loro la cultura greca e bizantina ai successivi secoli dell’Umanesimo. Proprio sotto la dominazione normanna il monachesimo calabro-greco fornisce le maggiori prove della sua vitalità ed efficienza, con una pleiade di Santi che ne costituiscono la più genuina espressione: S. Giovanni Teristi di Stilo, S. Gerasimo di S. Lorenzo, S. Cipriano di Calamizzi, i SS. Pietro e Lorenzo di Arena, S. Nicodemo di Ciro, i SS. Ambrogio e Nicola di Stilo, Onofrio ed Elena di Belforte, S. Luca di Rossano, oltre quelli già precedentemente ricordati. Né simile fecondità si arresta al solo campo ascetico, ma suscita fervore di studi e splendore di arte, da cui quelle terre potranno elevarsi ad un altissimo livello di civiltà.

SS. Salvatore – Messina

Appena un ventennio dopo la conquista normanna la Regola di S. Basilio rifiorì largamente in tutta la Sicilia, superando, in tale periodo iniziale, la diffusione di monasteri di osservanza benedettina, ai quali i Normanni affideranno la delicata opera di rilatinizzazione dell’isola, ossia Lipari, S. Agata di Catania, Patti e S. Maria della Scala a Messina. Infatti i monasteri basiliani, sia maschili che femminili, di sicura fondazione normanna si avvicinano alla settantina. Importanza decisiva per l’ulteriore storia di essi ebbe il già ricordato monastero rossanese del Patirion, il cui fondatore era tenuto in tanta considerazione da essere chiamato perfino a riformare uno dei monasteri greci del Monte Athos. Il crescente incremento del cenobio rossanese destò le gelosie dei monaci latini di S. Michele di Mileto, ma Bartolomeo, chiamato a difendersi dall’accusa di eresia e di cattiva amministrazione alla corte di Ruggero II a Messina, riuscì, oltre che a scolparsi, a ricevere l’incarico della fondazione di un nuovo monastero basiliano a Messina stessa, il SS. Salvatore, il cui effettivo fondatore fu poi il suo discepolo Luca (a. 1130). Con diploma di Ruggero II del 1131 veniva formulato un nuovo statuto organizzativo del monachesimo basiliano in Sicilia, posto alle dipendenze appunto del monastero messinese del SS. Salvatore con ciò stesso costituito casa madre di una vasta archimandria ed esente da ogni autorità ecclesiastica e secolare. Gli oltre trenta monasteri esistenti nella diocesi di Messina passavano, con il consenso del vescovo, alle dirette dipendenze dell’archimandrita, il quale aveva il potere di destinare al SS. Salvatore monaci di altri monasteri del Regno. Luca redasse un nuovo Typicon, ossia una nuova Regola che venne consegnata nel 1133 a tutti gli egumeni della confederazione. Suddivisi in due gruppi, maggiori e minori, i monasteri dipendenti, ormai più di quaranta, erano sottoposti con vario vincolo all’archimandrita del Salvatore.

Un interessante problema, variamente risolto dagli studiosi, riguarda l’ispirazione prima di un simile accentramento monastico, ossia, concretamente, se esso sia sorto sotto l’influenza dei grandi movimenti che rinnovavano in quella medesima epoca il monachesimo latino, in particolare la riforma cluniacense o quel suo adattamento già in via di avanzata diffusione nell’Italia meridionale che fu l’Ordo Cavensis. È però possibile che Bartolomeo di Simeri abbia desunto l’idea di una congregazione accentrata piuttosto dal suo soggiorno al Monte Athos, ove da circa mezzo secolo l’amministrazione dei monasteri, per intervento dell’autorità bizantina, era demandata ad un consiglio di egumeni sotto la presidenza di un archimandrita. Il Typicon del SS. Salvatore, fortemente influenzato dalle regole studite ed atonite, si componeva di trentatre canoni, trattanti dei vari doveri ed uffici della vita monastica. Codesta nuova legislazione monastica, favorendo il buon andamento disciplinare ed evitando i pericoli di un eccessivo isolamento, fece rifiorire in Sicilia le antiche tradizioni basiliane, con vaste ripercussioni nel campo della spiritualità e della cultura.

San Nicola dei Greci – Scalea

L’appoggio dei Normanni al monastero del SS. Salvatore durò per tutto il periodo della loro dominazione e, nonostante l’incipiente lotta tra elemento greco ed elemento latino, venne proseguito pure da Federico II come anche da papa Innocenzo III. Gli stretti rapporti tra la Sicilia e la Penisola durante la dominazione sveva contribuirono però a sminuire l’importanza dell’elemento locale, aprendo la via alle nuove correnti religiose e spirituali del Duecento, rappresentate, nel campo monastico, dalle fondazioni cistercensi; sul terreno giuridico, poi, i vescovi ricominciavano ad esigere la loro ordinaria potestà anche sui monasteri, donde continue lotte e lunghi processi apostolici. Profonda traccia lasciò ad ogni modo codesto monachesimo basiliano sia nel campo economico sia in quello artistico, mentre dell’attività pastorale esercitata dai monaci rimangono solo scarsi documenti.

D’altra parte, la diplomatica siciliana accenna spesso al fatto giuridico dell’esenzione, ottenuta da tutti i grandi monasteri basiliani di Sicilia, fattore di primaria importanza per l’autonomo sviluppo dei singoli centri monastici posti sotto la diretta protezione del re senza alcuna intromissione di altre autorità neppure ecclesiastiche. Tale regime di autodespotia è stato interpretato come un tentativo da parte normanna di «Benedettinizzazione dei Basiliani», posti così nella condizione di possedere e ricevere vaste dotazioni al pari dei monasteri latini.

Luca di Carbone, primo Egumeno del Sacro Monastero dei Santi Elia e Anastasio di Carbone

Ma il diritto dei monaci al possesso terriero sembra provato, in Sicilia, già anteriormente alla conquista normanna, almeno di fatto, anche se in linea teorica i beni rimanevano di proprietà del rispettivo fondatore. Larghissimi privilegi esentarono inoltre i monasteri dai duri oneri fiscali imposti alla popolazione musulmana, come pure dai diritti di decima dei vescovi. Dalla seconda metà del sec. XIII, con lo stabilirsi della dominazione angioina, incomincia la decadenza dei monasteri basiliani sia a causa del rarefarsi dell’elemento greco sia in conseguenza della disastrosa guerra tra Angioini ed Aragonesi che portò ad una manomissione dei beni monastici ed alla quasi totale scomparsa del rito greco.

Frattanto il sistema federativo adottato in Sicilia veniva introdotto anche in Calabria ed in Lucania per opera di Guglielmo II il Buono (a. 1168), stabilendosi la sede dell’archimandrita nel monastero dei SS. Elia ed Anastasio di Carbone. Anche qui, però, come in Sicilia, le generali condizioni politico-religiose causarono alla fine del Medio Evo una progressiva decadenza della tradizione bizantina e, conseguentemente, un declino dei monasteri basiliani che ne erano stati gli eredi. Il crescente sviluppo dei monasteri benedettini, apertamente favoriti dai nuovi dominatori, affrettava la loro scomparsa, anche perché questi ultimi affidarono ai monaci latini un posto importante nell’organizzazione ecclesiastica facendo di molti monasteri altrettante sedi vescovili. Si chiudeva così la gloriosa epopea del monachesimo bizantino che nelle terre meridionali d’Italia, proprio nell’epoca in cui avveniva la decisiva separazione delle Chiese orientali, aveva conosciuto periodi di splendore superiori anche a quelli degli stessi monasteri d’Oriente.

CRIPTA DI SANTA MARIA DELLA GROTTA O CAVA (Chiesa rupestre – VIII-IX secolo, Marsala)

Mentre di tante centinaia e centinaia di cenobi e di laure rimanevano soltanto pochi ruderi a testimonianza dell’intensa vita religiosa e culturale in essi coltivata, i dotti utilizzavano i tesori di scienza che il monachesimo italo-greco, nelle sue varie diramazioni e regioni, aveva abbondantemente raccolto ed elaborato, trasmettendoli ai posteri. Solo la tradizione iniziata da S. Nilo potrà sopravvivere attraverso i secoli, unica superstite, nella rinascita monastica avvenuta agli albori del secondo millennio, del monachesimo italo-greco e anch’essa avviatasi, in forme definitivamente cenobitiche, verso una concezione più latina ed occidentale che sembrava concludere gli sforzi e le rinnovate tendenze eremitiche manifestatesi nel sec. XI.

Ma gli ideali dei grandi riformatori italici di quest’epoca superano le barriere del chiostro e ridanno nuovo prestigio alla funzione universalistica del monachesimo, in una strenua affermazione di valori spirituali comuni a tutta una società. «La riforma monastica, che aveva trovato nel mondo feudale patrocinatori insigni come Guglielmo d’Aquitania, e rappresentanti illustri come Romualdo e Giovanni Gualberto, era d’altronde legata strettamente all’idea dell’Impero, considerato come strumento necessario per condurre la Chiesa alla sua rigenerazione, con la forza dell’autorità e della potenza terrena. Quando, perciò, ci imbattiamo in un Pietro Orseolo che abbandona volontariamente le pompe della grandezza mondana per farsi monaco, o vediamo Ottone III inginocchiarsi reverente dinanzi a S. Nilo o a S. Romualdo, e trascorrere periodi di mortificazione in loro compagnia, e sognare perfino di trasformare il suo palazzo in un romitorio, noi cogliamo alcuni degli aspetti più evidenti della potenza e della efficacia esercitate dagli ideali della riforma su personaggi e ambienti che, per la loro stessa natura, potrebbero sembrare ad essi poco consentanei, e possiamo renderci conto, nello stesso tempo, della validità di quegli ideali, come forze creatrici di storia». E di tali ideali il Medio Evo vivrà ancora per qualche secolo.

 

GREGORIO PENCO

Da “Storia del monachesimo in Italia” – E.P.

FOTO: Rete

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