Il “Re galantuomo” arriva al Sud e non si comporta da galantuomo

 

Assai più grave fu il problema della pacificazione dell’Italia meridionale. Cavour aveva ammonito che questo compito poteva rivelarsi più arduo della lotta contro l’Austria e il problema non sarebbe certo diventato più facile se le risorse disponibili fossero state impiegate per i preparativi di guerra.

Una ribellione nel Mezzogiorno fu alimentata da coloro che la rivoluzione nazionale aveva colpito nei loro interessi, dalle famiglie che avevano perduto il monopolio del potere locale  dai fautori della deposta dinastia borbonica per i quali il nuovo re era un usurpatore rivoluzionario. Al polo politico opposto vi erano i risentimenti di coloro che rimpiangevano con nostalgia il breve ma popolarissimo regime che Garibaldi aveva instaurato nel Sud nel 1860.

Una certa opposizione veniva anche da coloro i quali, soprattutto in Sicilia, volevano che alle regioni fosse trasferita una quota di poteri maggiore di quella che il governo era disposto a concedere. Molti meridionali si sentivano offesi nella loro coscienza religiosa dall’anticlericalismo dominante a Torino, i cui frutti erano stati la laicizzazione delle scuole, lo scioglimento dei monasteri e la confisca dei beni ecclesiastici destinati alle opere pie.

Da informazioni allarmistiche giunte a Torino risulta che, nonostante la larga maggioranza ottenuta dalla monarchia sabauda nei plebisciti, quasi nessuno nell’Italia meridionale sembrava volere l’unificazione: i plebisciti erano stati chiaramente manovrati fino al punto di essere del tutto inattendibili. Nel Meridione, il re veniva talvolta descritto come un nuovo Attila, più dispotico del regime autocratico esistente prima del 1860. Correva anche voce che i Borboni sarebbero presto ritornati sul trono di Napoli e in Sicilia c’era chi parlava della necessità di una secessione dal regno d’Italia, come stavano cercando di fare gli Stati del Sud nell’America del Nord.

Tutto ciò rappresentava un brusco risveglio per gli italiani delle regioni settentrionali, i quali, fuorviati dai miti patriottici, si erano aspettati di essere accolti nel Sud come liberatori. Quasi nessuno nel Nord aveva un’idea delle condizioni sociali del Meridione. Pochi pensavano a come rispondere, con mezzi diversi dalla repressione armata, al malcontento e al separatismo delle popolazioni meridionali. Le velleitarie chiacchiere del re sulla sua volontà di marciare su Vienna apparivano sempre più lontane dalla realtà, perché metà degli effettivi dell’esercito italiano dovevano rimanere impegnati nel Meridione in quella che nel 1863 era ormai diventata una vera e propria guerra civile; correva voce persino che a Vittorio Emanuele non sarebbe dispiaciuto sbarazzarsi di quelle turbolente regioni meridionali.

Altri italiani del Nord rendevano verosimile questa diceria parlando dei loro compatrioti del Sud come di barbari incivili. Sempre più numerosi erano coloro che cominciavano a comprendere che cosa intendevano dire Cavour e d’Azeglio quando si chiedevano se l’unificazione fra Nord e Sud non fosse stata prematura.

Indubbiamente c’erano colpe da entrambe le parti. Per due volte il re, recatosi a passare alcuni giorni nell’Italia centro-meridionale, sconcertò i suoi nuovi sudditi comportandosi in modo insofferente e incivile, mancando all’ultimo momento ai ricevimenti ufficiali, o non rivolgendo la parola a nessuno, e non toccando cibo ai banchetti offerti in suo onore.

«Odiava parlare italiano», raccontava uno straniero che lo conosceva bene; in ogni caso, i dialetti meridionali erano incomprensibili a un piemontese come Vittorio Emanuele la cui lingua preferita non era l’italiano, ma il francese o il dialetto piemontese. Anche suo figlio, il principe Umberto, ugualmente privo di tatto, parlava con imbarazzante disgusto di Napoli e dei napoletani.

Naturalmente le classi colte del Meridione si sentivano offese da tutto ciò e vi vedevano una ulteriore prova del fatto che le loro regioni erano trattate come una colonia, una terra di conquista. Furono imposte ovunque le leggi del Nord, alcune delle quali, come le norme sul centralismo amministrativo, il sistema giudiziario e il libero scambio, apparivano del tutto inadatte alle condizioni del Sud. Il personale di quasi tutte le prefetture era costituito da funzionari piemontesi. I notabili meridionali che avevano goduto di potere e di prestigio sotto i Borboni si trovarono esclusi dalle cariche di corte. I deputati meridionali non gradivano le spese che erano costretti a sostenere per il viaggio al Nord e il soggiorno a Torino quando dovevano partecipare alle sessioni parlamentari, tanto più che i membri del Parlamento non percepivano alcun compenso.

 

Denis Mack Smith

Da “I Savoia re d’Italia” – BUR

FOTO: Rete

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