Quando i missionari cristiani cominciarono a convertire le popolazioni pagane, uno dei loro primi compiti fu quello di proibire il culto che si rendeva agli alberi e di distruggere i boschi sacri. Le loro agiografie riferiscono tali imprese, non sempre prive di rischi.
Ancora nel decimo secolo, sant’Adalberto di Praga fu massacrato dai Prussiani che stava tentando di evangelizzare, in uno dei loro boschi sacri, a Fischhausen, non lontano da Kònigsberg. Molto tempo prima, nel quinto e sesto secolo, i concili provinciali avevano messo in guardia i cristiani contro tali superstizioni: quello di Arles, nel 452, legiferò contro l’adorazione degli alberi, delle fontane e delle pietre; quelli di Tours, nel 567, e di Nantes, nel 568, scagliarono fulmini contro gli uomini che praticavano un culto sacrilego «in luoghi selvaggi e nascosti in fondo ai boschi», contro «gli alberi consacrati ai demoni». All’inizio dell’undicesimo secolo Raoul Glaber ricorda nella sua Chronique: « Si faccia attenzione alle forme tanto varie di inganni diabolici e umani che abbondano nel mondo e che hanno una particolare predilezione per quelle sorgenti e quegli alberi che i malati venerano senza alcun discernimento». Per buona parte del Medioevo i parroci riprovavano pubblicamente nelle loro prediche alcuni parrocchiani « che innalzavano specie di altari sulle radici, portavano offerte agli alberi e li supplicavano emettendo lamenti di conservare loro i figli, le case, i campi, le famiglie e i beni ». Eppure, fin dal quarto e quinto secolo i primi evangelizzatori dei Galli si erano dati da fare per estirpare quelle usanze.
Sulpicio Severo racconta che il più illustre di quegli evangelizzatori, san Martino (vissuto tra il 315 e il 397), di passaggio da Autun, « avendo abbattuto un tempio molto antico e apprestandosi ad abbattere un pino che sorgeva presso il santuario, incontrò l’opposizione del sacerdote del luogo e della folla dei pagani…». Uno di essi, più audace degli altri, gli disse: « Se hai un po’ di fiducia nel Dio che dici di onorare, abbatteremo noi stessi quest’albero che cadrà su di te; se il tuo Signore è con te, come dici, sfuggirai». Martino si lasciò legare nel punto in cui doveva cadere l’albero. Nel momento in cui l’albero crollava, Martino si fece il segno della croce e l’albero lo sfiorò senza toccarlo, risparmiando solo per un soffio i contadini che si erano creduti, invece, al sicuro e che « vinti da questo miracolo, immediatamente si convertirono ». San Maurilio, vescovo di Angers e discepolo di Martino, ne continuò l’opera. Mentre evangelizzava il Comminges, per far cessare i baccanali che degeneravano in massacri e si svolgevano « su una roccia elevata, coperta da numerose varietà di alberi », dovette incendiare questi alberi durante la notte. Il bosco sacro, bruciato, fu in seguito consacrato a san Pietro.
Più ambigua e la storia di san Germano, vescovo di Auxerre (389-448). Nato in quella città, e cristiano, si recò a Roma per studiare la retorica e il diritto e conquistò tale fama che l’imperatore Onorio lo nominò governatore della Borgogna, di cui Auxerre era la capitale. Al centro della città s’innalzava «un pino di grande bellezza », ai rami del quale Germano appendeva le teste degli animali uccisi durante la caccia. Il santo vescovo Amatore glielo rimproverava spesso: « Cessa, te ne prego, illustre uomo dabbene, simili scherzi che offendono i cristiani e sono un cattivo esempio per i pagani; questa è idolatria ». Di fronte all’ostinazione di Germano, il vescovo « fece abbattere l’albero sacrilego e buttare sul fuoco il ceppo ». Allora Germano « dimentico del suo cristianesimo, accompagnato dalle truppe, minacciò il vescovo di morte». Di fronte al suo furore, Amatore si ritirò a Autun. Ma in seguito tornò a Auxerre, « con l’astuzia chiuse Germano nella sua chiesa e lo tonsurò predicendogli che sarebbe stato il suo successore, come gli era stato rivelato dalla Spirito Santo» e come in effetti avvenne. Secondo questa storia esemplare, alcuni cristiani si abbandonavano dunque ancora a pratiche pagane, la rinuncia alle quali poteva condurli alla santità.
Se in Gallia questa era la situazione nel quinto secolo in una grande città, si può capire che essa si prolungasse molto tra i pagani, cioè tra i contadini, e tra i popoli nordici che i missionari faticarono non poco ad allontanare dal culto degli alberi. Abbiamo visto che il missionario anglosassone san Bonifacio, evangelizzando i Germani, fece abbattere la quercia di Geismar consacrata a Thor. Una cinquantina d’anni dopo, nel 772, nel corso di una prima spedizione punitiva contro il popolo sassone degli Angari che aveva invaso l’Assia, Carlomagno distrusse il santuario in cui era venerato « Irminsul », un gigantesco tronco d’albero cui si attribuiva la proprietà di sostenere la volta celeste. I Capitolari del 789 denunciano « gli insensati che accendono candele e praticano superstizioni di ogni specie accanto ad alberi, a pietre e a fonti ».
Quando il cristianesimo si diffuse, la lotta contro queste pratiche continuò nei paesi in cui erano sopravvissute, a volte fino a epoca molto tarda. Così in Lituania, dove i pagani si meravigliavano di non veder sgorgare il sangue dagli alberi mutilati dai cristiani. Nel 1258 a Sventaniestis, il vescovo Anselmo diede ordine di abbattere una quercia sacra. L’ascia ferì mortalmente il boscaiolo che aveva avuto l’incarico. Allora il vescovo prese l’ascia, ma inutilmente, e si dovette bruciare l’albero che il ferro non riusciva a intaccare. Un secolo dopo, tra il 1351 e il 1355, a Romuva, in Prussia, su richiesta del vescovo Giovanni I, il gran maestro dei cavalieri della Croce fece segare una quercia sacra sotto la quale si radunava la popolazione per pregare.
Infine è opportuno non dimenticare che fondare monasteri in fondo ai boschi non aveva solo lo scopo di trovare la pace e il silenzio indispensabili alla meditazione, ma anche quello di neutralizzare le forze diaboliche che vi si erano rifugiate. Il dissodamento iniziato dai monaci, poi la sistemazione e lo sfruttamento razionale dei boschi rispondevano certo a esigenze economiche, ma bonificavano anche l’ambiente dal quale cacciavano delinquenti e creature sovrannaturali e malefiche che ancora li frequentavano.
JACQUES BROSSE
In “Mitologia degli alberi” – BUR