Nel più lontano passato, molto prima che l’uomo facesse la sua comparsa sulla terra, un albero gigantesco s’innalzava fino al cielo. Asse dell’universo, attraversava i tre mondi. Le sue radici affondavano fin negli abissi sotterranei, i suoi rami arrivavano all’empireo. L’acqua attinta dalla terra diventava la sua linfa, dai raggi di sole nascevano le sue foglie, i suoi fiori e i suoi frutti. Attraverso di lui, il fuoco scendeva dal cielo, la sua cima, raccogliendo le nuvole, faceva cadere le piogge fecondatrici. Con la sua verticalità, l’albero assicurava il nesso tra l’universo uraniano e i baratri ctoni. In lui il cosmo si rigenerava in perpetuo. Fonte di ogni vita, l’albero dava riparo e nutrimento a migliaia di esseri. Tra le sue radici strisciavano i serpenti, gli uccelli si posavano sui suoi rami. Anche gli dei lo sceglievano per soggiornarvi.
Ritroviamo quest’albero cosmico in quasi tutte le tradizioni, da un capo all’altro del pianeta, ed è lecito supporre che sia esistito dappertutto, anche là dove la sua immagine si è cancellata.
Il frassino Yggdrasill
II ricordo più grandioso e suggestivo che sia giunto fino a noi di quell’Albero mitico si trova nei testi tradizionali della mitologia germanica, quali li hanno trascritti nel Medioevo i poeti scandinavi.
Nell’Edda che porta il suo nome, Snorri Sturluson, statista e scrittore islandese nato nel 1178 e morto nel 1241, fornisce una celebre descrizione del gigantesco frassino Yggdrasill, asse e sostegno del mondo. Per quanto scritto solo verso il 1220-30, il testo dell’Edda di Snorri riflette tradizioni molto anteriori, si tratta infatti di un riassunto in prosa della mitologia nordica trasmessa oralmente da secoli, ma che già si cominciava a dimenticare. Snorri ne aveva sistematicamente inventariato tutti gli elementi ancora esistenti nella sua patria o in Norvegia, dove li aveva appresi nel corso dei suoi viaggi. […]
Yggdrasill è il più grande e il migliore degli alberi. I suoi rami si stendono al di sopra di tutti i mondi e raggiungono il cielo. Tre radici lo tengono eretto, tutte straordinariamente larghe. Una procede da Aesir, il mondo inferiore degli Asi, gli dei; la seconda dai «Thursi di brina», i giganti di ghiaccio che precedettero la specie umana; la terza arriva a Niflheim o Niflhel, la dimora dei morti. Presso quest’ultima radice scaturisce la fontana Hvergelmir, fonte di «tutti i fiumi mormoranti che irrigano la terra» e la rendono abitabile agli umani. L’acqua sotterranea, da cui ha origine ogni vita, proviene dunque dalla dimora dei morti: è questo un motivo ricorrente nelle credenze popolari, dove si trovano esempi di donne fecondate per. il semplice fatto di essersi immerse in un corso d’acqua sacro. Accanto alla seconda radice scorre la sorgente di Mimir. A coloro che vi bagnano le labbra, dà scienza e saggezza, ma l’accesso ad essa è proibito dal suo possessore, il cui nome significa Meditazione, a sua volta colmo egli stesso del profondo sapere che attinge quotidianamente dalle sue acque.
Sotto la prima radice, che, secondo la tradizione, arriverebbe sia nella sfera sotterranea degli dei sia nella loro residenza celeste — d’altronde unite da Bifrost, l’arcobaleno — esiste una terza fonte, la più sacra di tutte: il pozzo sul quale veglia Urdhr, la più vecchia delle Norne. Depositane delle leggi e dei costumi arcaici, le Norne sono le sole capaci di determinare il destino, non soltanto degli uomini ma degli dei, i quali non sono eterni e non possono sfuggire alla sorte comune. Originariamente Urdhr, il cui nome significa Destino, con ogni probabilità era sola. È possibile che, nella versione giunta a noi, le leggende che si riferiscono alle Norne, le quali sono in numero di tre e vengono rappresentate come filatrici, abbiano subito l’influenza delle Moire (personificazione del Destino) e delle Parche delle mitologie greca e latina. Al pari delle Parche, esse rappresentano anche le tre fasi della luna — crescente, piena e calante — che ritmano la vita della natura e corrispondono altresì alle tre età della vita umana: giovinezza, maturità e vecchiaia.
Le Norne attingono quotidianamente l’acqua alla fonte di Urdhr, con il limo che la circonda, e ne aspergono il frassino, affinché i rami dell’albero non secchino e non marciscano. Tutto ciò che cade nella fonte diventa bianco come la membrana che si trova nel guscio dell’uovo, cioè ritorna alla purezza primigenia, all’origine prenatale. Di questo candore assoluto è ammantata la coppia di cigni che abita la fonte e da cui discende «la specie di uccelli che porta quel nome ». La fonte di Urdhr è quindi una fontana dell’eterna giovinezza. Vicino a lei si radunano gli dei per tenere consiglio, risolvere i conflitti e rendere giustizia. Questo pozzo del Destino rappresenta il mondo delle potenzialità, delle sementi, dei germi, un mondo di acque e di humus notturni, nei quali sono foggiati tutti gli esseri viventi. […]
JACQUES BROSSE
In “Mitologia degli alberi” – BUR
Foto: RETE