Sin dall’epoca omerica l’asfodelo (Asphodelus albus), che ha foglie basali a ciuffi e fiori bianchi riuniti in grandi racemi, magica apparizione nei nostri boschi sul suo altissimo stelo, venne considerato una pianta degli inferi, come rammenta Omero nell’Odissea. Quando successivamente si concepì una ripartizione del mondo infero secondo i meriti acquisiti da ognuno durante la vita terrena, la casa dell’Ade fu divisa in tre parti: il Tartaro per gli empi, i Prati di asfodelo per coloro che non erano stati né buoni né cattivi e i Campi Elisi per i buoni.
Nel carattere infero dell’asfodelo si avverte un’eco della vita greca del tempo: di asfodeli e di malva si nutriva il popolo nei tempi di carestia. E poiché anche ai morti, secondo la generale credenza dei Greci, era necessario il nutrimento, l’asfodelo veniva piantato sulle tombe; sicché rimase nell’immaginario popolare come una pianta funerea e i prati ricoperti dei suoi fiori furono considerati il soggiorno dei trapassati.
Secondo Teocrito l’asfodelo è in rapporto con il Bacco funerario e infero dei misteri di Eleusi. Si vedono negli affreschi Persefone-Proserpina, Dioniso ctonio, Semele e altri dèi ctonii con il capo ornato di sue corone. È riconosciuto come fiore del képos (giardino) ultraterreno, dove fiorisce fra le altre piante a bulbo nel giardino di Ecate.
Plinio invece riferisce che ai suoi tempi lo si piantava davanti alla porta delle case di campagna come rimedio contro i sortilegi negativi.
Gli autori antichi citano molte ricette per cucinarne la radice. Teofrasto sostiene che la radice a bulbo è la parte migliore e si usa mangiarla con i fichi; ma riferisce anche altri usi culinari e medicinali.
Plinio a sua volta afferma che il bulbo veniva cucinato nella cenere con l’aggiunta di sale e olio. Dell’asfodelo, rammenta, era ghiotto Pitagora mentre Plutarco scrive che si offrivano asfodeli e malve sull’altare di Apollo come ricordo del primo nutrimento degli uomini.
La medicina greca lo raccomandava anche come contravveleno e panacea universale: Plinio, confermato da Dioscoride, fornisce molte ricette: i bulbi cotti e usati nella preparazione di tisane erano consigliati come ricostituenti; ridotti in poltiglia erano utili per curare le giunture e i nervi, mentre i semi nel vino guarivano morsi e punture di serpenti e scorpioni. Nel cuore del Medioevo Alberto Magno, considerandola erba saturnina, ne lodava le seguenti proprietà: «Se la sua radice è un poco cotta, gli indemoniati che la portano addosso sono liberati, non soffrono che il demonio stia in casa, e se fossero fanciulli alla dentizione, metterebbero i denti senza dolore, e se l’uomo porta di notte la sua radice sarà preservato da qualunque disgrazia».
Una pianta tanto importante fin dall’epoca arcaica avrebbe dovuto ispirare un mito di metamorfosi vegetale che tuttavia non ci è stato tramandato. Ma non casualmente Plinio riferisce che l’asfodelo si chiama anche hastula regia, «scettro», manifestazione dunque di una potenza superiore.
ALFREDO CATTABIANI
In “FLORARIO” – Mondadori