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L’albero dei camposanti: IL CIPRESSO

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II cipresso è considerato dappertutto, tranne in Toscana, un albero esclusivamente cimiteriale. Ma anticamente, e ancora oggi in Oriente, evocava soprattutto il simbolo della fertilità per il suo aspetto fallico, tant’è vero che i Romani ponevano a guardia dei loro campi, giardini e vigne dei Priapi dagli enormi attributi, intagliati in questo legno. Simboleggiava anche l’immortalità per le foglie sempreverdi e il legno considerato incorruttibile: la freccia di Eros, lo scettro di Zeus e la mazza di Èrcole erano di cipresso. .

I Persiani vi vedevano, invece, il simbolo vegetale del fuoco per la sua forma che evocava la fiamma; e narravano che fosse il primo albero del Paradiso.

La fama funeraria del cipresso è nata invece dai poeti greci e latini che cominciarono a considerarlo l’albero dei defunti.

Ovidio  narra nelle Metamorfosi, che il giovinetto Ciparisso viveva in compagnia di un grande cervo dalle corna d’oro: monili di gemme gli scendevano sul petto; sulla fronte ciondolava, legata a un laccetto, una borchia d’argento, e sulle tempie scintillavano due orecchini di perle che gli erano stati, messi fin dalla nascita. Era solito accostarsi alle case offrendo il collo alle carezze di tutti.

Tu lo conducevi di volta in volta a nuovi pascoli

e all’onda delle fonti,

variopinte corone di fiori intessevi fra le sue corna

oppure, salito sulla sua groppa, ilare cavalcavi di qua e di là

frenando la tenera bocca con purpuree briglie.

La trasformazione di Ciparisso, Domenichino 1616.

Era un torrido mezzogiorno d’estate, sotto il segno del Cancro: il cervo stremato dall’afa si era adagiato sul suolo erboso godendosi la frescura degli alberi. Inavvertitamente Ciparisso, che stava giocando con un giavellotto acuminato, lo trafisse mortalmente. Il giovinetto disperato decise di morire anche lui; e nonostante l’intervento di Apollo, accorso immediatamente per consolarlo, chiese agli dei un solo privilegio dopo la morte: di poter mostrare un lutto eterno.

Ed ecco che le sue membra, ormai esangui per gli infiniti, gemiti,

a tingersi cominciarono di verde

e i capelli che spiovevano sulla nivea fronte

si tramutarono in ispida chioma .

che irrigidita svetta con gracile cima

verso lo stellato cielo.

Mandò un gemito il mesto dio: «Da noi sarai pianto» disse

«e gli altri piangerai, vicino a chi soffre».

Venne così mutato nell’albero che porta il suo nome; e in cipressi erano state trasformate anche le figlie di Eteocle, disperate per la morte del padre e dello zio che si erano sgozzati a vicenda.

Fu anche consacrato ad Ade, il dio degli inferi che nella Roma arcaica si chiamava Dìs Pater, «il più ricco fra tutti gli dei», poiché il numero dei suoi sudditi, cioè dei morti, non cessava di crescere.

Virgilio a sua volta lo considerava cupo e funebre, non diversamente da chi sosteneva che l’anima del defunto giungesse a Plutone, un altro nome del dio degli inferi, nelle sembianze di un cipresso.

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Tuttavia i cipressi delle colline toscane evocano immagini opposte: di armonia, di luce e di gioia.

Fonte:  “Lunario”, di A. Cattabiani –  Oscar Mondadori

Foto RETE

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