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UNA STORIA ESEMPLARE: Gaetano Azzariti, dal “Tribunale della razza” con Mussolini a presidente della Corte costituzionale con la Repubblica

 

Gaetano Azzariti è un giurista dalla carriera tanto prestigiosa quanto emblematica, che attraversa le stagioni senza mai pagare pegno di complicità: figura ai vertici della magistratura nell’Italia liberale, nell’Italia fascista, nell’Italia badogliana, nell’Italia democratica e repubblicana; capo nel 1938 del fascistissimo Tribunale della Razza; capo di gabinetto nel 1945 del ministro di Grazia e Giustizia comunista Palmiro Togliatti; presidente nel 1957 dell’antifascistissima Corte costituzionale. Una storia esemplare, specchio di una nazione dai «transiti» facili, assai più pronta a dimenticare che a ricordare: un «mito» improprio, durato post mortem sino al 2014, quando un saggio di Massimiliano Boni ne ha rintracciato il percorso e aperto la strada alla rivisitazione critica.

Azzariti nasce a Napoli nel 1881 in una famiglia benestante pugliese originaria di Corate, «Terra di Bari», dove gli Azzariti possiedono un’azienda vinicola condotta da un centinaio di mezzadri e dove godono di prestigio e rispettabilità sociale (alcuni membri hanno ricoperto la carica di sindaco nell’età della Restaurazione). Il padre Giuseppe si è trasferito a Napoli per gli studi in Legge ed è entrato giovanissimo nella magistratura borbonica, come relatore alla Consulta di Napoli:2 la sua ascesa sociale è proseguita grazie al matrimonio con Luisa Fumaroli, appartenente a sua volta a una famiglia di magistrati tra i più accreditati nella capitale del Regno delle Due Sicilie. […]

I figli seguono le orme paterne. […]

Gaetano è il più giovane dei fratelli Azzariti, certamente il più dotato per capacità intellettuali e relazionali, probabilmente il più ambizioso. […] Nel 1901 si laurea, nel 1903 è procuratore legale, nel 1905 risulta primo classificato nel concorso da uditore giudiziario e ottiene l’assegnazione alla sede di Roma. Lasciare Napoli per la capitale è una scelta dettata da ragioni psicologiche, perché significa cercare la strada dell’affermazione al di fuori delle protezioni famigliari, ma anche una scelta professionale: Azzariti è un magistrato con la testa da legislatore, predisposto più allo studio del Diritto e alle sue applicazioni che alla pratica giudiziaria. […]

La prima assegnazione è alla Cassazione e il suo primo incarico operativo è quello di segretario della commissione per l’esame del progetto di ordinamento giudiziario nella colonia Eritrea: Azzariti lavora a scavalco tra il ministero degli Esteri e il ministero di Grazia e Giustizia. […]

Nel 1908 si dimette da magistrato, abbandonando la tradizione famigliare, e sino al 1922 lavora al ministero, mettendovi radici profonde, conoscendone alla perfezione i meccanismi di funzionamento, relazionandosi con tutti gli uomini che contano negli alti livelli della burocrazia statale. […]

Il legislatore di fiducia del fascismo

Sino al 1922, tuttavia, Azzariti è un tecnico prezioso e ascoltato che non esercita ancora il potere in prima persona: la marcia su Roma è l’occasione giusta per il salto di qualità. Il fascismo è tanto determinato quanto inesperto, Mussolini ha bisogno di uomini che conoscano la macchina dello Stato e permettano alla sua rivoluzione di affermarsi. Gaetano Azzariti è uno di questi, è un uomo maturo ma non della vecchia guardia, dai modi discreti, intelligente, malleabile: in più, è sufficientemente spregiudicato per fingere di non accorgersi di quanto succede attorno, dall’uso della violenza intimidatoria alle epurazioni nella pubblica amministrazione (che colpiscono tra l’altro il suo mentore, Lodovico Mortara, colpevole di non essersi allineato al nuovo corso). Felpato nei tratti, attento a non sbagliare le mosse, accondiscendente, Azzariti ottiene di essere assegnato all’ufficio legislativo del ministero della Giustizia, uno dei nodi nevralgici del potere, e nel 1927 ne diventa capo. Sono gli anni delle cosiddette «leggi fascistissime», che cancellano le garanzie dello Statuto albertino e fondano il regime, e nel suo ruolo Azzariti diventa lo strumento essenziale della dittatura: «Mentre Mussolini va compiendo la fascistizzazione dello Stato, Azzariti governa la macchina per realizzare l’opera» e diventa il legislatore di fiducia del regime.

In questo ruolo egli contribuisce alla stesura delle leggi razziali del 1938. […]

Gaetano Azzariti va però oltre e nel 1939, quando all’interno della Direzione generale per la demografia e la razza viene istituita un’apposita commissione comunemente chiamata «Tribunale della Razza», ne diventa presidente e mantiene l’incarico sino al 25 luglio 1943. Tra le tante aberrazioni delle leggi razziali, il Tribunale è forse la più immorale e antigiurìdica: compito del nuovo organismo è infatti accertare la razza ebraica nei confronti di coloro che, colpiti dalla persecuzione, contestano di dover essere considerati ebrei. È la cosiddetta «arianizzazione», che prevede un meccanismo di eccezione alle risultanze degli atti di nascita: la persona qualificata come «ebrea» può infatti essere classificata come «arianizzata» se dimostra di avere un genitore o un ascendente «biologico» diverso da quello riconosciuto negli atti ufficiali dell’anagrafe. Si tratta di procedure impermeabili a ogni controllo, lasciate all’arbitrio totale dei giudici, che spalancano le porte a ogni forma di corruzione e di estorsione: il Tribunale deve infatti «accertare» che il soggetto è figlio, nipote o comunque discendente di un rapporto adulterino e che nelle sue vene scorre pertanto sangue ariano. Come sintetizza con linguaggio crudo Calamandrei, al Tribunale della Razza succedono «sconci». «Più di cinquanta domande di ebrei che chiedono di dimostrare di essere figli di puttane, cioè figli adulterini di padre ariano. E ci sono avvocati e funzionai! che guadagnano fior di quattrini su queste speculazioni.»[…]

Le sue dichiarazioni non lasciano dubbi sull’allineamento ideologico: «La diversità di razza è ostacolo insuperabile alla costituzione di rapporti personali, dai quali possono derivare alterazioni biologiche o psichiche alla purezza della nostra gente».

Ministro nel governo Badoglio

II 25 luglio 1943 il «colpo di Stato reale» porta alla caduta di Mussolini e alla sua sostituzione con il maresciallo Badoglio; il giorno successivo vengono nominati i nuovi ministri, tutti militari o tecnici. Gaetano Azzariti è il ministro di Grazia e Giustizia, suo compito procedere alla defascistizzazione dei codici civile e penale, cioè all’eliminazione delle disposizioni che lui stesso ha scritto. […].

Di nuovo, perché Azzariti? Pare per indicazione del duca Pietro Acquarone, ministro della Real Casa e consigliere più fidato di Vittorio Emanitele III; certamente gli giova la rete di amicizie influenti intessute nel corso degli anni, così come la sua conoscenza perfetta del ministero e dei suoi meccanismi; il suo profilo di burocrate, a sua volta, lo propone come garanzia di stabilità, nel momento in cui il re vuole liberarsi di Mussolini senza aprire spazi a sommovimenti rivoluzionari. Ma ciò che conta nella nomina è, soprattutto, il suo fiuto politico, la sua capacità di percepire in anticipo i cambi di direzione del vento. […] Certo è che «in tutta la sua carriera Azzariti si è fatto sempre trovare al posto giusto nel momento giusto»: e lo fa anche quando cade il regime che tanto ha contribuito a consolidare sul piano giuridico. […]

Come ministro opera poche settimane, sino all’armistizio dell’8 settembre. In quel periodo lavora alla creazione della Commissione contro gli illeciti arricchimenti, che dovrebbe consentire allo Stato di incamerare beni mobili e immobili accumulati indebitamente nel Ventennio da chiunque abbia ricoperto cariche pubbliche o esercitato attività politica. Azzariti è consapevole delle attese suscitate dalla Commissione e della necessità di dare subito in pasto all’opinione pubblica qualche esempio clamoroso, ma si premura anche di evitare che si vada al di là della spettacolarizzazione di pochi casi emblematici. […]

Al momento dell’annuncio dell’armistizio, infatti, Azzariti non è tra i ministri che lasciano Roma e seguono il re a Brindisi. Non si tratta di una scelta consapevole, quanto di una casualità: nella convulsione di quelle ore, egli viene tagliato fuori dall’organizzazione della fuga e si ritrova nella capitale mentre le truppe tedesche la occupano. Nell’immediato si nasconde, forse in casa di qualche conoscente. […] La sua clandestinità non viene d’altra parte insidiata da rischi particolari perché le sue solide relazioni con l’ambiente fascista gli garantiscono protezione. […] Come ministro del governo Badoglio, Azzariti decade il 15 febbraio 1944. […]

Nel luglio 1944 il nuovo governo presieduto da Ivanoe Bonomi istituisce infatti l’Alto commissariato per le sanzioni contro il fascismo, presieduto dal conte Carlo Sforza coadiuvato dal comunista Mauro Scoccimarro, e Azzariti è tra i primi a essere indagato. La sua difesa è triplice: da un lato egli prende tutto il tempo possibile per rispondere alle accuse, nella convinzione che dilazionare significhi far decantare le tensioni; dall’altro, egli sostiene di avere svolto un’attività di consulenza esclusivamente tecnica e ricostruisce l’elaborazione legislativa del Ventennio come una sequenza di atti di cui il suo Ufficio non sarebbe stato che l’ultimo anello della catena. In terzo luogo, egli rivendica il suo ruolo alla presidenza del Tribunale della Razza come strumento di difesa degli ebrei, alcuni dei quali, attraverso la finzione giuridica dell’arianizzazione, avevano potuto salvarsi dalle discriminazioni: a questo aggiunge il rifiuto di servire la RSI, la clandestinità nella Roma occupata, il presunto inserimento in un elenco di ricercati dai tedeschi.

Le argomentazioni avanzate da Azzariti non sono credibili perché il suo è stato un ruolo di legislatore attivo e non di marginale esecutore. […]

Il 12 dicembre si forma un secondo governo Bonomi, con la partecipazione di liberali, democristiani, demolaburisti e comunisti, mentre vengono esclusi azionisti e socialisti. Il partito di Togliatti accetta la collaborazione per legittimare se stesso e inserirsi stabilmente nel gioco politico nazionale, ma il prezzo pagato è la divisione delle sinistre. Impostata come prova di forza dell’area moderata, la crisi si conclude così con un esito i cui significati vanno al di là della soluzione del problema ministeriale. Le sinistre escono sconfitte sul piano politico, né la presenza degli anglo-americani consentirebbe un esito diverso: mentre si afferma la tesi dei moderati sulla continuità dello Stato, il processo di epurazione è destinato ad annacquarsi progressivamente sino all’esaurimento.

Giurista di fiducia del ministro Palmiro Togliatti

La vicenda processuale di Gaetano Azzariti si inserisce in questo quadro storico-politico, assumendo valore paradigmatico per la rilevanza del personaggio. […]

Nel dubbio, gli uffici tergiversano, lasciando giacere gli incartamenti nei cassetti delle scrivanie competenti: solo nel dicembre 1945, quando l’Alto commissariato è ormai prossimo allo scioglimento, l’istruttoria viene conclusa con la proposta di collocamento collocamento a riposo, ma a margine, a matita, qualcuno scrive «non 10 ritengo opportuno».[…]

Paradossalmente, è proprio con il comunista Togliatti che l’ex presidente del Tribunale della Razza inizia una nuova stagione destinata a portarlo ai vertici del potere nell’Italia repubblicana. E non solo perché l’amnistia del 22 giugno 1946 lo libera definitivamente da qualsiasi pendenza giudiziaria, ma perché Togliatti lo stima professionalmente e lo conferma alla guida dell’Ufficio legislativo, facendone il proprio riferimento nell’apparato. Pragmatico e cinico nelle scelte, Togliatti coglie due aspetti di Azzariti, la competenza legislativa e l’obbedienza all’interlocutore del momento: quando gli fanno notare le sue compromissioni con il regime e le leggi razziali, «il ministro risponde “non me ne importa nulla, mi bisogna un bravo esecutore di ordini, non un politico”. Per gestire la ricostruzione amministrativa, terminare in fretta la stagione dell’epurazione e chiudere la latente guerra civile, occorre affidare le chiavi della macchina a chi la conosce meglio». La scelta di Togliatti diventa per Azzariti una sorta di assicurazione permanente sulla propria carriera: «che forza avranno infatti, eventuali obiezioni sul suo passato, quando è il capo dei comunisti il primo a non dargli peso?». […]

Presidente della Corte costituzionale

Sono gli anni in cui diventa operativa la Corte costituzionale, il più importante organo di garanzia che deve verificare la conformità alla Costituzione delle leggi, dirimere conflitti di attribuzione tra poteri dello Stato, verificare l’ammissibilità dei referendum abrogativi. Paradossalmente, Azzariti è stato contrario alla sua istituzione. […]

Ma la Costituzione, all’art. 135, ha previsto l’istituzione della Corte e, dunque, le personali convinzioni giuridiche possono ben essere aggiornate in vista di nuove prospettive di carriera. […] Quando prende avvio il meccanismo delle nomine (dopo tergiversazioni e lentezze che hanno frenato l’istituzione per tutta la prima legislatura), Azzariti attiva le sue relazioni, in particolare quella con Gronchi: e a nominarlo giudice costituzionale, nel 1955, è proprio il suo sponsor, nel frattempo insediatosi al Quirinale. […]

Il 23 aprile 1956 Azzariti è al suo posto alla seduta inaugurale della Corte, presenti Gronchi e le massime autorità dello Stato: subito dopo è già al lavoro, distinguendosi per solerzia e incisività. È infatti lui, il 5 giugno 1956, a redigere la prima sentenza costituzionale, quella che sancisce l’illegittimità dell’ari 113 del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza, in base al quale la distribuzione di stampe in pubblico o l’affissione di manifesti per le strade è subordinata all’autorizzazione dell’autorità di pubblica sicurezza. La sentenza è scritta in punta di diritto, con competenza e rigore: ma non si può non ricordare che era stato lui stesso, nel 1931, venticinque anni prima, a scrivere quella norma, o almeno a revisionarla quando era stata sottoposta all’Ufficio legislativo che dirigeva. Trasformismo? Camaleontismo? Opportunismo? O semplicemente una continuità dello Stato sostanziale, al di là delle fratture consegnate dalla storia?

Eppure la sua carriera di giurista giolittiano, poi fascista e antisemita, ora democratico deve ancora dare il meglio. Il 26 marzo 1957 Enrico De Nicola si dimette da presidente della Corte costituzionale per contrasti con il governo. […]

Ed ecco che (grazie alla mediazione incisiva di Gronchi) il 6 aprile 1957 i giudici della Corte si ricompattano attorno al suo nome e la resurrezione politica è totale: il già presidente del Tribunale della Razza diventa presidente della Corte costituzionale, rimanendo tale sino alla morte, il 5 gennaio 1961, quando alla soglia degli 80 anni viene stroncato da una broncopolmonite. […]

Resta il problema di fondo. Nel 1944-45 «si minacciò di epurare tutta l’Italia e si finì per nominare presidente della Corte costituzionale un uomo che era stato presidente del Tribunale della Razza». In un groviglio di amnesie, reticenze e compromissioni, l’Italia democratica e repubblicana fa smontare l’impianto normativo fascista da colui che più di ogni altro aveva contribuito a redigerlo. In questo senso, la vicenda di Gaetano Azzariti è paradigmatica di conti con il passato che non sono stati fatti. E la domanda sorge spontanea: possibile che in Italia non ci fosse un altro giurista cui affidare il ruolo di garante della democrazia costituzionale? Tra i tanti magistrati e docenti di Diritto compromessi con il regime, bisognava proprio scegliere il più compromesso per un incarico che presuppone indipendenza e coerenza?

Eppure la nomina non suscita opposizioni né riserve. […]

 

GIANNI OLIVA

In “45 milioni di antifascisti” – Mondadori

Un libro che conviene leggere

Foto: RETE

 

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