San Nilo a Valleluce

Statua di San Nilo a Valleluce

 

SAN NILO

Il Santo Nilo era nato a Rossano Calabro nell’ anno 910 (1) ed il suo nome di battesimo fu Nicola. Assiduo lettore delle Sacre Scritture e della vita dei Santi Padri eremiti del deserto, che lo portarono sempre più ad odiare il male e la vita futile ed oziosa, rimase orfano di entrambi i due genitori e sposò una giovane e bella ragazza di Rossano e di umili origini, da cui ebbe una figlia. Ma, dentro, gli ardeva sempre il fuoco della vita ascetica e così, dopo lunga e grave malattia che lo portò sull’ orlo della morte, all’ età di 30 anni abbandonò moglie e figlia per andarsi a fare monaco, nell’ Ordine di San Basilio, presso l’ allora famosa Eparchìa monastica di Mercurion, ai confini fra la Calabria e la Lucania, cosa legittima secondo gli ordinamenti dell’ Impero e della Chiesa Bizantina e ritenuta anche cosa giusta se “chiamato da Vocazione verso Dio” (2).

ORSOMARSO – Eremo di San Nilo

La fama di uomo santo e giusto avvolse subito la figura di Nilo e molti furono i suoi seguaci, ma egli rifiutò sempre onori e richieste che gli si offrivano a ricoprire incarichi di Vescovo sia a Rossano sia in Puglia. Ma altri eventi brutali sopraggiunsero a convincere Nilo a lasciare le Calabrie : i Saraceni avevano invaso ed infestavano quelle terre (3) ed il sant’ uomo pensò bene di rifugiarsi presso i Principati cristiani longobardi della Campania. Fu così che fra il 978 ed il 979 giunse alla Corte del principe di Capua , Pandolfo I Capodiferro (4). Anche qui rifiutò la nomina a Vescovo di Capua chiedendo, invece, un luogo dove ritirarsi con i suoi ormai numerosi confratelli basiliani. Ad accoglierlo fu Aligerno, abate di Montecassino che, fra il 979 ed il 980 (5), gli concesse quale dimora l’ antico Monastero benedettino di San Michele Arcangelo in Valleluce, lì costruito nel 798 dall’ Abate Gisulfo (6), a circa m. 350 di altezza sul pendìo di Monte Cifalco (m. 947).

San Nilo ed i suoi 60 confratelli lo ingrandirono con la chiesa omonima che le era accanto e vi convissero per ben 15 anni fino all’ anno 994, introducendovi, con la benevolenza dell’ abate Aligerno, celebrazioni religiose cristiane di rito bizantino. Lassù lo raggiunse di nascosto, attorno al 990, un giovinetto dodicenne, anch’ egli di Rossano Calabro, di nome Basilio, che si rifugiò in vita eremitica, a quota 742, sul crinale di Monte Cifalco (7). Tale località viene chiamata a volte, in vari documenti, Pesclaso, altre volte Pescoluso ed altre ancora Pesoluso e lì, così come nel secolo XIX vi esistevano i ruderi della chiesetta di San Bartolomeo di Pesclaso (8), ancora oggi ve ne restano evidenti tracce, in pietre e mattoni, delle mura perimetrali del vano interrato (m. 4 x 4 di ampiezza e m. 1 di altezza), che doveva essere proprio il romitorio del giovane Basilio, futuro San Bartolomeo Abate. Circa il toponimo del luogo, va ribadito che ci sembra di capire che derivi dell’ errata lettura dei manoscritti benedettini laddove si è voluto leggere Pesclaso, Pescoluso o Pesoluso invece di  Pescluso, dal nome latino del Monte Cifalco : Pesclusum (= Pesc-, voce osco-sannita che sta per “sporgenza rocciosa” e -clusum, dal latino “clausum” e cioè racchiuso “dai monti circostanti”) (9). In quel punto, ben raggiungibile in automobile da Cassino per S. Elia, Valleluce e Cese e con ampio parcheggio, oggi si erge, promotore sempre il Comitato di Sabatino Di Cicco, un’ enorme croce metallica, alta 14 metri, con pennone e bandiera italiana, accanto ad una grande targa commemorativa in bronzo e protetta da una bella ringhiera poco discosta anche dai resti ben tenuti di 14 fortini scavati nella roccia nell’ inverno del 1943 dai soldati tedeschi lungo la linea “gustav” e da cui si gode di un meraviglioso panorama che abbraccia tutta la valle del fiume Rapido e la pianura cassinate fino a Cassino ed al monte omonimo su cui sorge il celebre Monastero di San Benedetto.

I monaci bizantini basiliani di Valleluce, sotto l’ attenta e rigida guida di San Nilo, oltre che alla vita ascetica si dedicarono anche all’ evangelizzazione delle popolazioni locali. Proprio nel mentre San Nilo era a Valleluce, è probabile che lo raggiungesse una folta colonia di suoi connazionali bizantini, provenienti dalla Puglia, e che il sant’ uomo, essendo questi pellegrini originari di Taranto (10), fece loro costruire una chiesa su una collinetta alla sinistra del fiume Rapido, a nord della collina che di lì a breve avrebbe dato luogo al paese di S. Elia (anno 990 ad opera dell’ abate Mansone – <nota 11>) e la consacrò al loro protettore San Cataldo. Altrove si è scritto che la cosa fosse avvenuta fra il 1018 ed il 1038, al tempo degli abati bizantini di Montecassino, Todino e Basilio : d’ altronde documenti certi non ne esistono e se ci rifacciamo alle ipotesi avanzate da Marco Lanni a pag. 18 della sua Monografia, dovremmo collocare l’ avvenimento nel X secolo e cioè proprio al periodo di permanenza di San Nilo a Valleluce.

Di questa chiesa, rimasta attiva fino ai cannoneggiamenti bellici dell’ 8 dicembre 1943 che la distrussero, restano ancora ben visibili, a S. Elia, i ruderi e le strutture interne ancora ben conservate. Era di proprietà dei Bizantini e tale rimase per diversi secoli (sembra fino al XIV secolo, in base a quanto scrive Marco Lanni a pag.18 della sua Monografia), tant’ è che quando l’ erigendo “castellum Sancti Heliae” fu cinto, nel 1057, da mura e torri (vedi Luigi Fabiani – “La Terra di San Benedetto”, pag. 179) essa ne rimase fuori non essendo pertinenza feudale di Montecassino (Marco Lanni : “Sant’ Elia Fiumerapido – Monografia”, pag. 18).

Con i monaci benedettini di Montecassino, se fin quando rimase in vita l’ Abate Aligerno i rapporti di San Nilo e dei suoi discepoli furono ottimi e di reciproca collaborazione (basti pensare ai canti in onore di San Benedetto che i basiliani composero e cantarono con cerimonie in rito bizantino nel cenobio cassinese) (12), con l’ avvento del pur energico abate Mansone essi cominciarono a guastarsi. Non gradendo la vita non proprio ascetica di questo abate (13) ed il rallentarsi della disciplina dei monaci (14), nell’ anno 994 San Nilo decise di lasciare Valleluce, dove restarono comunque molti suoi discepoli e si recò a Sèrperi (Gaeta), dove rimase, per 10 anni, fino al 1004. Nel frattempo, nel 992, stando ancora a Valleluce, aveva fatto scendere dal Pescluso il giovane Basilio e lo aveva accolto fra i suoi confratelli dandogli il nome di Bartolomeo, portandolo quindi con sé a Sèrperi e dovunque si recò appresso.

Grottaferrata – Basilica di San Nilo – La navata

Dopo una drammatica e breve parentesi vissuta a Roma nel 998, in vano soccorso della vita del suo connazionale Giuseppe Filagato, eletto papa per volere della principessa bizantina Teofane con il nome di Giovanni XVI (15) e contro cui si erano schierati, arrestandolo ed uccidendolo, perché ritenuto illegittimo usurpatore, papa Gregorio V e l’ Imperatore germanico Ottone III, San Nilo tornò amareggiato a Sérperi non senza aver annunciato tremende profezie sui due assassini di Filagato. Ora, sentendosi presso a morire e non accettando gli onori offertigli dal pentito Ottone III, pur benedicendolo, nel luglio del 1004, se ne partì da Sèrperi verso Tuscolo, a monte dell’ odierna Frascati, in cerca di un luogo nascosto dove poter rendere in pace l’ anima a Dio (16). Si rifugiò, quindi, presso il monastero bizantino di S. Agata dove andò a fargli visita il principe Gregorio di Tuscolo, che gli concedette un pezzo del suo territorio con un piccolo oratorio chiamato Cryptaferrata (17). Lì San Nilo si trasferì con i suoi confratelli e lì il 26 settembre 1004 morì, chiedendo di essere sepolto nella Cryptaferrata e nominando primo egumeno (priore) del posto il suo più antico discepolo ed innografo Paolo (18).

Il numero dei confratelli basiliani intanto cresceva ed il successore di Paolo, Bartolomeo, decise di costruire una vera e propria abbazia di cui lui fu il primo Archimandrita. Al nome di Cryptaferrata subentrò, nel frattempo, quello di Grottaferrata ed attorno a quel monastero crebbe man mano il villaggio che in seguito divenne l’ omonima attuale cittadina. Nel 1054, intanto si consumò il primo doloroso scisma nella Chiesa Cristiana con il distacco da essa della Chiesa Bizantina d’ Oriente che divenne Ortodossa e non riconobbe più quale suo capo il papa di Roma. I monaci basiliani di Grottaferrata, invece, assieme a San Bartolomeo, rimasero fedeli alla Chiesa Cattolica di Roma pur conservando i riti bizantini. L’ anno successivo, 1055, anche San Bartolomeo rese il suo ultimo respiro e volle essere sepolto accanto al suo santo padre Nilo.

Da valleluce.com

Foto Rete

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