G. Ungaretti – “Sono un uomo ferito”

 

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Sono un uomo ferito.
E me ne vorrei andare
E finalmente giungere,
Pietà, dove si ascolta
L’uomo che è solo con sé.
Non ho che superbia e bontà.
E mi sento esiliato in mezzo agli uomini.
Ma per essi sto in pena.
Non sarei degno di tornare in me?
Ho popolato di nomi il silenzio.
Ho fatto a pezzi cuore e mente
Per cadere in servitù di parole?
Regno sopra fantasmi.
O foglie secche,
anima portata qua e là…
No, odio il vento e la sua voce
Di bestia immemorabile.
Dio, coloro che t’implorano
Non ti conoscono più che di nome?

M’hai discacciato dalla vita.

Mi discaccerai dalla morte?

Forse l’uomo è anche indegno di sperare.

Anche la fonte del rimorso è secca?

Il peccato che importa,
se alla purezza non conduce più.
La carne si ricorda appena
Che una volta fu forte.
È folle e usata, l’anima.
Dio guarda la nostra debolezza.
Vorremmo una certezza.
Di noi nemmeno più ridi?
E compiangici dunque, crudeltà.
Non ne posso più di stare murato
Nel desiderio senza amore.
Una traccia mostraci di giustizia.
La tua legge qual è?
Fulmina le mie povere emozioni,
liberami dall’inquietudine.
Sono stanco di urlare senza voce.

Giuseppe Ungaretti

 

1888 – Giuseppe Ungaretti nasce il 10 febbraio 1888 “in una notte – scriverà –burrascosa” ad Alessandria d’Egitto (dove, dodici anni prima, era nato anche Marinetti) da genitori lucchesi: il padre, che lavora come operaio nel canale di Suez, muore quando il poeta ha appena due anni, e la madre continua a gestire un forno alla periferia delle città, ai confini con il deserto. Il soggiorno africano lascia ad Ungaretti un patrimonio di ricordi “esotici”: la balia sudanese, i racconti favolosi della domestica croata Anna, la varietà cosmopolita caratteristica del quartiere in cui abitava (“la casa d’infanzia dista quattro passi dalla tenda del beduino, in una zona di subbuglio“).

Il periodo africano è anche fecondo di intense amicizie: con il compagno di scuola Moammed Sceab e con il conterraneo Enrico Pea che, emigrato ad Alessandria all’età di sedici anni (era nato nel 1881), commercia in marmi e ha fondato un circolo anarchico, la “Baracca rossa”, cui aderisce anche Ungaretti. Insieme collaborano a molte riviste e giornali anarchici, con prose di ispirazione sociale, novelle, traduzioni e poesie.

Dagli otto ai sedici anni frequenta il collegio salesiano, dove soffre la pesante disciplina, e poi la scuola migliore della città, “l’Ecole Suisse Jacot”, per studiare diritto.

1912

Ungaretti si trasferisce a Parigi, dove studia per due anni alla Sorbona, seguendo tra l’altro le lezioni del filosofo Bergson, senza tuttavia laurearsi. Intanto frequenta i maggiori esponenti delle avanguardie: Apollinaire, Picasso, Braque, De Chirico, Modigliani e, nei loro frequenti soggiorni a Parigi, Soffici, Papini, Palazzeschi, Marinetti, Boccioni. Gli anni parigini sono segnati anche da un evento tragico che turbò fortemente il giovane Ungaretti: il suicidio dell’amico Moammed Sceab, che si era trasferito con lui dall’Egitto a Parigi. Per lui scriverà una delle sue liriche più intense.

In memoria

Si chiamava
Moamed Sceab

Discendente
di emiri di nomadi
suicida
perché non aveva più
Patria

Amò la Francia
e mutò nome

Fu Marcel
ma non era Francese
e non sapeva più
vivere
nella tenda dei suoi
dove si ascolta la cantilena
del Corano
gustando un caffè

E non sapeva
sciogliere
il canto
del suo abbandono

L’ho accompagnato

insieme alla portiera dell’albergo
dove abitavamo
a Parigi
dal numero 3 della rue des Carmes
appassito vicolo in discesa

Riposa
nel camposanto d’Ivry
sobborgo che pare
sempre
in una giornata
di una
decomposta fiera

E forse io solo
so ancora
che visse

1914

Rientra in Italia per prendere un titolo di studio: l’abilitazione all’insegnamento della lingua francese. Darà l’esame a Torino con Farinelli, ma si prepara in Versilia. Pea è rientrato con la famiglia in patria, ragione per cui Ungaretti è in quella zona. Si sposta poi a Milano dedicandosi all’insegnamento della lingua francese in una scuola secondaria e scrive le sue prime poesie: faranno parte della sezione Ultime che apre L’Allegria. Partecipa alla campagna interventista ed infine si arruola volontario combattendo sul Carso.

1915

Pubblica le prime liriche su Lacerba nel febbraio, in aprile, in maggio. Viene richiamato e inviato sul fronte del Carso e su quello francese dello Champagne. La prima poesia dal fronte (Porto Sepolto) è datata 22 dicembre 1915.

1917

Combatte in Francia sul fronte della Champagne.

1918-21

Vive ancora a Parigi, lavorando presso l’ambasciata italiana e scrivendo corrispondenze per il “Popolo d’Italia” (il giornale di Mussolini). Sposa Jeanne Dupoix. Pubblica con Vallecchi, a cura di Ettore Serra, l’edizione provvisoria della raccolta Allegria di Naufragi (quella definitiva uscirà da Preda nel 1931) che comprende Il Porto Sepolto e i versi del ’17, ’18 e ’19, oltre alla sezione Ultime).

1923

La difficile condizione economica lo induce a trasferirsi a Marino nei Castelli Romani. Si impiega presso il Ministero degli Esteri. Pubblica a La Spezia, con il titolo Il Porto Sepolto, una nuova edizione de L’Allegria; includendovi le liriche composte tra il 1919 e il 1922 e la prima parte del Sentimento del Tempo. La prefazione è di Benito Mussolini.

1926

Muore la madre

1928

E’ l’anno della piena conversione alla religione cattolica, dopo un periodo passato a Subiaco, nella settimana di Pasqua. Ungaretti ha quarant’anni.

1931

Diventa corrispondente della “Gazzetta del Popolo” e come tale compie numerosi viaggi in Europa e in Egitto.

1936

Accetta l’incarico di insegnare Letteratura italiana all’Università di San Paolo in Brasile.

1939

In Brasile è colpito da un grave lutto: la morte del figlio Antonietto, di soli nove anni, dovuta ad una appendice mal curata. Due anni prima era morto il fratello Costantino. Di queste e delle altre dolorose esperienze di quegli anni lsciò una profonda traccia nella prima raccolta poetica del dopoguerra Il dolore del 1947.

1942

Rientra in Italia, dopo che il Brasile ha dichiarato guerra all’Asse, di cui fa parte l’Italia. E’ nominato Accademico d’Italia (la sua adesione al fascismo fu stata tempestiva e non subì mai grossi ripensamenti); gli viene conferito un insegnamento universitario a Roma per “chiara fama”. Mondadori inizia la pubblicazione delle sue opere sotto il titolo generale Vita d’un uomo.

1947

E’ sottoposto a procedimenti di “epurazione” presso l’Associazione degli scrittori: nessun addebito da muovergli. Viene iniziato anche un procedimento per l’abolizione della cattedra di “chiara fama” (avuta anche da De Robertis): dopo una lotta tra il Consiglio Superiore e il Ministro Gonella (favorevole alla permanenza in cattedra dei due maestri), sentite le rispettive Facoltà, l’insegnamento è confermato. Pubblica con Mondadori Il Dolore (poesie scritte tra il 1937 e il 1946).

Alla raccolta fanno seguito le due edizioni della Terra promessa (1950 e 1954), Un grido e paesaggi del 1952 e Il taccuino del vecchio del 1961.

Negli ultimi cori dell’ultima edizione della Terra promessa si avverte la sorda riflessione sulla natura di un Ungaretti fiaccato dalle terribili vicende personali. Il testo del coro quarto dice:

Verso meta si fugge:
Chi la conoscerà?
Non d’Itaca si sogna
Smarriti in vario mare,
Ma va la mira al Sinai sopra sabbie
Che novera monotone giornate.

E il coro dell’atto quinto dice:

Si percorre il deserto con residui
Di qualche immagine di prima mente,
Della Terra promessa
Nient’altro un vivo sa.

1970

Dopo una vecchiaia attivissima –costellata di viaggi, premi, conferenze– nella quale Ungaretti recita volentieri la parte di protagonista e di simbolo enfatico del “poeta”, muore a Milano nella notte fra il 1 e il 2 giugno.

Le Opere

  • Il Porto Sepolto

    Volumetto in versi uscì nel 1916, stampato a Udine in ottanta esemplari dall’amico Ettore Serra, che sostenne le spese della pubblicazione. Una nuova edizione, comprendente le poesie dell’Allegria e altre liriche, uscì nel 1923 con prefazione di Benito Mussolini. Il titolo si riferisce a un porto reale nei pressi di Alessandria ma ha soprattutto un significato simbolico: il porto sepolto è il mistero, l’assoluto, alla cui ricerca il poeta si pone con la speranza di approdarvi come in un porto di pace.

  • L’Allegria

    La raccolta, che subì molte modifiche, uscì per la prima volta nel 1919 presso l’editore Vallecchi di Firenze con il titolo Allegria di Naufragi. Il primo nucleo di questa prima edizione è costituito da Il porto sepolto. Nel 1931 la raccolta porta il titolo definitivo L’Allegria; la forma definitiva viene raggiunta solo nella successiva edizione del 1942, al termine di un iter correttorio lungo e difficile. Anche questo titolo è allusivo: la guerra è come un naufragio della vita, i superstiti del naufragio sono presi da una sorta di ebbrezza per lo scampato pericolo e superano lo sgomento e il dolore con la fede e la speranza di un domani migliore.

    Ungaretti

    Mariano il 29 giugno 1916

    Vi arriva il poeta
    e poi torna alla luce con i suoi canti
    e li disperde.

    Di questa poesia
    mi resta
    quel nulla
    d’inesauribile segreto.

    G. Ungaretti, L’Allegria, da: Vita d’un uomo, Mondadori Milano 1969

    Nell’opera, che ha struttura diaristica (ogni poesia è legata ad una precisa occasione e reca luogo e data di composizione), Ungaretti, poeta–soldato, racconta una vicenda storica particolarmente traumatica: la prima guerra mondiale, che egli visse in prima persona. Nella guerra, l’uomo è posto di fronte a situazioni, esigenze e sentimenti elementari, e sente la presenza costante della morte: nonostante questo –o forse proprio per questo– egli riesce ad attaccarsi ad un insperato e disperato vitalismo, a compiere una “riscoperta primordiale dell’innocenza (…) e della natura, per la quale l’individuo si sente docile fibra dell’universo” (Mengaldo).

    Le due raccolte contengono in gran parte le impressioni della prima guerra mondiale: il sentimento dell’attaccamento alla vita, che spinge il poeta a scrivere lettere piene d’amore, un giorno che è costretto a passare un’intera nottata vicino a un compagno massacrato (Veglia); il cuore impietrito dal dolore, divenuto simile alla pietra refrattaria del San Michele, indurita dal sole (Sono una creatura); il cuore ancora più straziato delle case sbriciolate dalla guerra, per la morte di tanti che gli corrispondevano (San Martino del Carso); il sentimento della precarietà della vita del soldato (Si sta come / D’autunno / sugli alberi / le foglie – Soldati); il sentimento di sentirsi docile fibra dell’universo, quando, durante un momento di pausa, nella guerra, il poeta si bagna nelle acque dell’Isonzo e ricorda altri fiumi(Il Serchio, il Nilo, la Senna); infine il disperato anelito a “un paese innocente” (Girovago) di uomini degni, liberi e fraterni.

    Il fatto di condividere con gli altri soldati un’esistenza “al grado minimo” e il costante pericolo di morte comporta un sentimento di “fratellanza“: un tema sul quale la poesia dell’Allegria insiste particolarmente. Una condizione esistenziale così scarnificata, essenziale come le pietre del Carso che fanno da sfondo agli eventi bellici, non può trovare espressione che in una lingua altrettanto essenziale e in una metrica frantumata, fatta di “versicoli” che spesso coincidono con una sola parola.

    L’adozione di versi brevissimi ha importanti conseguenze: nella pagina lo spazio bianco diventa dominante, quasi a sottolineare l’importanza delle pause e quindi il fortissimo rilievo delle poche parole che interrompono il silenzio; acquistano nuovo significato anche le parole semanticamente poco rilevanti (come articoli, preposizioni, congiunzioni). La sintassi è scardinata dall’eliminazione dei nessi logici e dall’abolizione della punteggiatura (suggerita a Ungaretti dall’esempio dei futuristi e di Apollinaire): la poesia procede per accostamento di frammenti e immagini, per analogie. Tutto contribuisce a dare alla parola il massimo rilievo e un valore quasi magico di rivelazione.

    La poesia dell’Allegria è tutt’altro che ingenua e immediata, benché lo sgranarsi dei versicoli sulla pagina possa dare l’impressione di “uno spontaneo stillicidio poetico>” (l’espressione è di Eugenio Montale): in realtà siamo di fronte ad una studiata e calibrata “reinvenzione” della parola poetica, privata di corredi descrittivi e narrativi.

    La frantumazione metrica e la mancanza di punteggiatura sono compensate dalla coincidenza della pausa versale con una pausa sintattica e dal rispetto dell’uso delle maiuscole consente di individuare gli impliciti punti fermi). Inoltre, spesso riunendo due o più versicoli consecutivi è possibile ricomporre la misura di un verso tradizionale.

  • Sentimento del Tempo del 1933

    Le poesie di Sentimento del Tempo segnano una svolta fondamentale nella direzione di un ritorno alla tradizione: la parola poetica “reinventata” attraverso l’esperienza dell’Allegria> viene immessa nella tradizione letteraria, che ha i suoi nomi–guida in Petrarca e in Leopardi.

    Terminata la guerra, Ungaretti aveva continuato la sua meditazione sulla poesia e sulla condizione dell’uomo. La prima lo porta al recupero dell’endecasillabo e del settenario, che non si riduce ad una pura esercitazione stilistica e metrica ma risponde all’esigenza morale che avverte il poeta di comunicare agli uomini le sue arcane scoperte, di essere insomma il poeta “veggente”, teorizzato dai simbolisti.

    Quanto alla seconda meditazione, sulla condizione dell’uomo, il titolo della nuova raccolta Sentimento del tempo è fortemente allusivo: sentimento del tempo significa sentimento del veloce scorrere del tempo, del rapido fluire delle cose, delle persone amate, che produce, per contrasto, la nostalgia del passato e un più tenace attaccamento alla vita. Accanto a questo sentimento del fluire delle cose appare l’altro tema della raccolta, scaturito da un avvicinamento del poeta alla fede: il sentimento di Dio, in cui solamente si placa l’angoscia esistenziale del poeta.

    Ungaretti recupera dunque i versi tradizionali, rinunciando alla frantumazione in versicoli, e li organizza in strofe costruite su una sintassi che può anche essere molto complessa, con inversioni e molte subordinate; è ripristinata la punteggiatura.

    Tutti questi elementi fanno sì che la parola non sia più isolata, ma inserita in un discorso, con una struttura metrica e sintattica. Inoltre Ungaretti ricerca ora un lessico più alto, preferibilmente con autorizzazione letteraria (per essere stato usato dai poeti del passato). Altre importanti differenze di stile fra l’Allegria e il Sentimento del Tempo sono suggerite da Mengaldo: mentre l’Allegria privilegiava la prima persona del presente indicativo (a marcare un’esperienza –quella della guerra– attuale e vissuta in prima persona), ora domina l’indicativo imperfetto, con valore evocativo; la tendenza all’analogia espressa attraverso il “come” lascia il posto ad una netta prevalenza dell’analogia implicita (per esempio “Amore, salute lucente, (…) Morte, arido fiume” nell’Inno alla Morte); alla lapidarietà degli enunciati subentra una tendenza allo sfumato, al non finito.

    Sarà la grammatica di questo secondo Ungaretti (molto più di quello dell’Allegria) a fare da base all’imminente Ermetismo. Al Sentimento del Tempo gli ermetici guarderanno come al loro vero libro–guida, per il suo linguaggio alto e prezioso, e per la sua ricerca di analogie complicate, singolari, spesso ellittiche e criptiche.

  • Il Dolore del 1947

    Comprende le poesie scritte per la morte del figlio Antonietto ed altre, composte a Roma nel 1944, che esprimono l’angoscia per l’occupazione nazista.

  • La Terra Promessa del 1950

    Doveva essere un poema, un libretto d’opera. Ma non fu condotto a termine. Il tema era la storia del viaggio avventuroso di Enea. Del progetto restano solo alcuni frammenti, come i “Cori descrittivi di stati d’animo di Didone”, che contengono le meditazioni sulla morte, sul tempo e sull’amore.

  • Un Grido e Paesaggi del 1952
  • Il taccuino del Vecchio del 1960
  • Vita di un uomo del 1969, raccolta completa della produzione poetica.
  • UngarettiMariano il 29 giugno 1916Vi arriva il poeta
    e poi torna alla luce con i suoi canti
    e li disperde.

    Di questa poesia
    mi resta
    quel nulla
    d’inesauribile segreto.

    G. Ungaretti, L’Allegria, da: Vita d’un uomo, Mondadori Milano 1969


    Da cronologia.leonardo.it

    Foto: homolaicus.com

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