
Parco archeologico di Sibari allagato
Foto: web
L’appello dei mille per salvare il parco di Sibari
Fronte comune da tutto il mondo in nome della cultura
In centinaia hanno sottoscritto il messaggio per salvare l’area archeologica di Sibari sommersa da fango e acqua per l’esondazione del Crati. Le storie e i messaggi di quanto hanno chiesto di aderire all’iniziativa: dallo scienziato emigrato alla pensionata di Aosta che scrive: «Vi sono vicina»
ALLE 20 e 03 di ieri Domenico Maida, da Perugia dove vive e insegna nelle scuole superiori, scriveva: «Sibari è viva!». Sì, è viva Sibari e ci sono quasi novecento firme arrivate per non lasciarla morire sotto al fango. Oggi si è chiusa la sottoscrizione su internet e nei prossimi giorni al presidente della Repubblica Giorgio Napolitano verrà presentato l’elenco dei nomi che si è venuto a comporre in calce all’appello lanciato sulle colonne e sul sito web del Quotidiano da parte di un primo gruppo di intellettuali, ai quali poi si sono accodati altri uomini di cultura, appassionati di storia, studenti, cittadini indignati.
Un’altra ondata di piena, arrivata a contrastare quella delle acque del fiume Crati, tracimate il 18 gennaio e piombate a trasformare l’area archeologica in un lago. E questa è un’ondata appassionata fatta di nomi e storie. Antonio Varano, ad esempio, è emigrato in Svizzera da Petrizzi, nel Catanzarese, a 14 anni. A 15 ha iniziato un apprendistato e dopo anni di studio ha ottenuto il certificato Federale Svizzero di capacità professionale come meccanico di precisione. Sibari, scrive, «purtroppo» non ha avuto occasione di visitarla mai, ma su Facebook gli è arrivata eco della situazione degli scavi e della sottoscrizione. E ha aderito d’istinto, «a difesa della nostra terra».
Anche Donato Pascale non ha mai visitato Sibari, ma ad Aix en Provence, dove è emigrato da Satriano di Lucania e dove dirige una piccola azienda, ha ricevuto una mail di un’amica docente all’Università di Provenza che gli ha illustrato il caso. Laura Mainardi, invece, ha mandato la sua adesione anche per conto «di centinaia di persone che fanno parte della nostra associazione Hellenismo-Comunità Hellena Italiana, un gruppo che si occupa di studiare ed approfondire diversi aspetti del mondo Greco-Romano, dalla religione all’archeologia». Proprio nel nome della Magna Graecia, pure al di là dello Jonio si sentono parte della tragedia di Sibari: «Ho avuto la fortuna di avere studiato in Italia, a Bari, e quindi ho avuto modo di vivere per alcuni anni nella vostra meravigliosa terra che considero seconda patria» racconta Stelio Papakonstantinou che vive a Larissa, in Tessaglia, dove insegna italiano. Storie e sensibilità che si intrecciano al di là dei confini, «per fare fronte all’ennesimo disastro annunciato, che questa volta ha colpito un pezzo della nostra storia collettiva», come suggerisce nella sua mail Mauro Gramaccia, ricercatore agroalimentare di Todi. Un po’ anche perché «problemi di degrado dei beni archeologici, naturalistici, paesaggistici, artistici, architettonici esistono ovunque». E così Donata Retegno, biologa ora in pensione che ha scritto da Sarre, in provincia di Aosta, si sente idealmente vicina alla Calabria. Il caso glielo ha segnalato il figlio, poi ha letto le parole di Settis. E ha aggiunto anche lei il suo nome per non far morire Sibari.
sabato 02 febbraio 2013 09:25
di ANDREA GUALTIERI
Da ilquotidianodellacalabria.it
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