Nu carriciddo per volare

Negli anni ’50 le risorse erano poche.

I ragazzi giocavano con quello che capitava loro tra le mani: bottoni, carte di caramelle, tappi di bottiglie; qualsiasi cosa andava bene come passatempo, bastava un po’ di fantasia.

C’erano però dei giochi “classici”: mazza e pivizu, cavaddu lungu. steccia, ammucciatedda, prigiuniru, ecc.; tra le ragazze il gioco più praticato era la campana.

In un certo periodo però cominciò a diffondersi u carriciddu: pezzi di tavola tenuti insieme da assi trasversali ai quali venivano attaccate delle piccole ruote, abitualmente di legno. I più fortunati disponevano di quattro cuscinetti: significava avere a disposizione una Ferrari.

Al Palazzotto, in Piazza, a Chiazzetta, dovunque c’era una pendenza, i ragazzini sfrecciavano con questi carrettini come dannati. Le cadute erano all’ordine del giorno e non erano mai indolori.

C’erano rischi. Il primo era la guardia Pezzotti: se ti beccava ti sequestrava il “veicolo” e in omaggio ti mollava qualche buffettone, sempre con l’approvazione dei genitori. Altri rischi erano rappresentati dagli incidenti: andare a finire addosso a un vecchietto o ad una signora, per un errore di manovra, significava arrivare a casa e trovare la scopa già pronta. Il volto di mamma era un chiarissimo segno di tempesta. E non c’erano rifugi in vista.

Questa foto mostra Angelo Nepita, suo fratello ed Emo Bottone, che si divertono come matti col loro carriciddu nella discesa ru Ponti ri firro.

Ti potrebbero interessare:

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.

Close