Parigi, Londra, Roma: un voto per scardinare il regime Ue

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L’incognita del voto in Francia è sicuramente «il punto più vulnerabile della costruzione europea», in questa fase.Segue a ruota l’Inghilterra, dove si prevede un’affermazione non irrilevante dell’Ukip che, però, difficilmente supererà di molto il 25% e quasi certamente non raggiungerà il 30%. Discorso diverso: da sempre, l’europeismo inglese è piuttosto tiepido. Non a caso, infatti, «l’Inghilterra non è nell’Eurozona e, spesso, in politica estera, ha seguito più gli Usa che i partner europei». Secondo Giannuli, un forte successo dell’Ukip darebbe una spinta forse decisiva all’Inghilterra a sciogliere gli ormeggi europei. Inoltre lo United Kingdom Independence Party è particolarmente forte nel Galles, paese che potrebbe essere contagiato dal secessionismo della Scozia, che sta andando al referendum sulla separazione da Londra. «Se si profilasse un’uscita contemporanea di Scozia e Galles, entrerebbe seriamente in crisi il Regno Unito, riducendolo di fatto alla sola Inghilterra o poco più, con effetti che si riverserebbero anche sulla Ue, che si troverebbe a dover ripensare tutti i trattati istitutivi».Infine, il caso italiano: le soglie critiche sono quelle legate al derby Renzi-Grillo. Il leader del Movimento 5 Stelle «deve superare il 25% per mantenere un certo peso politico», mentre il neo-premier «è nei guai se va sotto il 30% anche di un solo voto». Soprattutto, «la distanza fra i due deve essere superiore ai tre punti dal punto di vista di Renzi e inferiore da quello di Grillo». Infatti, una differenza sotto i tre punti «renderebbe il M5S competitivo con il Pd in caso di elezioni politiche». In soldoni, conclude Giannuli, «il problema è quello della stabilità del quadro politico del massimo debitore di Europa: se il governo entra in fibrillazione e si trascina con sé le leggendarie riforme renziane, i mercati finanziari europei non possono non risentirne». Ai “mercati”, infatti, piace tanto il regime di Bruxelles: prepariamoci a vederli di nuovo all’opera, a suon di spread, se il vento di rivolta – come tutto lascia pensare – comincerà a soffiare su tutta l’Europa, con la sola ovvia eccezione della Germania, dove il consenso pro-euro è quotato attorno al 90%.
Il voto francese, inglese e italiano può mettere in crisi l’Ue. Attenti a leggere bene il risultato europeo del 25 maggio: se una delle tante liste anti-austerità (o meglio, anti-Germania) dovesse ottenere un clamoroso successo in un paese, le forze di governo di quel paese si troverebbero strette fra la tenaglia del vincolo europeo e la pressione interna anti-Ue. Alcuni governi, per non essere travolti, potrebbero essere costretti ad adottare politiche meno arrendevoli verso Bruxelles. Altri, invece, potrebbero scegliere la strada opposta, col rischio di una conflittualità sociale ben più aspra del passato. In ogni caso, la crisi elettorale potrebbe spingere diversi sistemi politici al limite della rottura. Lo sostiene Aldo Giannuli, guardando al verdetto delle europee: se in Germania vincerà la linea Merkel-Spd mentre nel resto d’Europa cresceranno molto le liste euroscettiche, una “grande coalizione” a Strasburgo tra popolari e socialdemocratici rafforzerebbe ulteriormente la percezione di una “Europa tedesca”, facendo esplodere gli atteggiamenti anti-tedeschi e anti-Ue, determinando una spirale incontrollabile.

Questo, afferma Giannuli, è lo scenario più probabile nel caso in cui, nel resto d’Europa, le forze anti-Bruxelles superassero del 10% la quota del “voto Herman Van Rompuy, presidente del Consiglio d’Europacritico” tedesco, rappresentato dalla Linke (sinistra), dai Piraten e dai neonazisti Npd. Se poi il differenziale tra gli euroscettici tedeschi e quelli del resto d’Europa dovesse superare il 20%, soprattutto grazie al voto francese, inglese e italiano, allora dalle «serie fibrillazioni del sistema Europa» si passerebbe a comportamenti «potenzialmente distruttivi della stessa Ue». Previsioni aggiornate dall’istituto inglese Open Europe, secondo cui il voto contro il regime autoritario di Bruxelles varrebbe il 30% degli elettori, pari a un terzo dei seggi al Parlamento Europeo. Tutto questo, probabilmente, mettendo insieme non solo gli euroscettici veri e propri (in Italia il Movimento 5 Stelle, la Lega Nord, Fratelli d’Italia), ma anche i semplici euro-critici, come la Lista Tsipras, Syriza in Grecia, la Linke tedesca, Izquierda Unida in Spagna.

Gli scossoni più forti sono attesi dalla Francia, con il probabile successo del Front National di Marine Le Pen, e dalla Gran Bretagna, con l’affermazione dello Ukip di Nigel Farage, mentre gli osservatori europei valutano come vasta forza no-euro anche il M5S di Beppe Grillo, che annuncia un referendum sulla moneta unica (quello che andava fatto vent’anni fa, quando fu varato il cantiere semi-clandestino dell’euro). Giannuli distingue: ci sono le forze dichiaratamente anti-Europa, come  il Front National, la Lega, Alba Dorata, Fidesz e i neonazisti ungheresi, il Partito della Libertà dell’olandese Geert Wilders, e poi gli «euroscettici nazionalisti più moderati», come lo Ukip, Fratelli d’Italia, i Veri Finlandesi, la formazione polacca “Diritto e Giustizia”, quindi «gli anti-Ue di sinistra» (i comunisti greci e portoghesi, Kke e Pcp), gli euro-critici radicali (Grillo) e quelli più moderati (Tsipras, Syriza, Izquierda Unida). «In alcuni paesi come l’Olanda, la Grecia, l’Ungheria e la Finlandia sono possibili successi rilevanti delle forze euro-critiche, ma si Marine Le Pentratta di paesi troppo piccoli, da soli, per mettere in crisi l’Unione». Per Giannuli «il problema riguarda, nell’ordine, Francia, Inghilterra e Italia».

In Francia c’è la possibilità di un forte successo del Fn (intorno al 25%), cui andrebbero sommati i voti del “Parti de Gauche” di Jean-Luc Mélenchon e altri minori: la somma degli euroscettici potrebbe sfiorare il 35%, «avviando il paese all’ingovernabilità o, in caso di elezioni politiche, ad un ballottaggio fra gaullisti e Fn, come fu nel 1999». Potrebbe verificarsi il caso italiano della “maggioranza impossibile”: «Sarebbe destabilizzato il secondo paese della Ue con effetti imprevedibili, data anche la scarsa qualità politica del governo socialista vigente». L’incognita del voto in Francia è sicuramente «il punto più vulnerabile della costruzione europea», in questa fase.

Segue a ruota l’Inghilterra, dove si prevede un’affermazione non irrilevante dell’Ukip che, però, difficilmente supererà di molto il 25% e quasi certamente non raggiungerà il 30%. Discorso diverso: da sempre, l’europeismo inglese è piuttosto tiepido. Non a caso, infatti, «l’Inghilterra non è nell’Eurozona e, spesso, in politica estera, ha seguito più gli Usa che i partner europei». Secondo Giannuli, un forte successo dell’Ukip darebbe una spinta forse decisiva all’Inghilterra a sciogliere gli ormeggi europei. Inoltre lo United Kingdom Independence Party è particolarmente forte nel Galles, paese che potrebbe essere contagiato dal secessionismo della Scozia, che sta andando al referendum sulla separazione da Londra. «Se si profilasse un’uscita contemporanea di Scozia e Galles, entrerebbe seriamente in crisi il Regno Unito, riducendolo di fatto alla sola Inghilterra o poco più, con effetti che si Aldo Giannuliriverserebbero anche sulla Ue, che si troverebbe a dover ripensare tutti i trattati istitutivi».

Infine, il caso italiano: le soglie critiche sono quelle legate al derby Renzi-Grillo. Il leader del Movimento 5 Stelle «deve superare il 25% per mantenere un certo peso politico», mentre il neo-premier «è nei guai se va sotto il 30% anche di un solo voto». Soprattutto, «la distanza fra i due deve essere superiore ai tre punti dal punto di vista di Renzi e inferiore da quello di Grillo». Infatti, una differenza sotto i tre punti «renderebbe il M5S competitivo con il Pd in caso di elezioni politiche». In soldoni, conclude Giannuli, «il problema è quello della stabilità del quadro politico del massimo debitore di Europa: se il governo entra in fibrillazione e si trascina con sé le leggendarie riforme renziane, i mercati finanziari europei non possono non risentirne». Ai “mercati”, infatti, piace tanto il regime di Bruxelles: prepariamoci a vederli di nuovo all’opera, a suon di spread, se il vento di rivolta – come tutto lascia pensare – comincerà a soffiare su tutta l’Europa, con la sola ovvia eccezione della Germania, dove il consenso pro-euro è quotato attorno al 90%.

Fonte: http://www.libreidee.org/2014/05/parigi-londra-roma-un-voto-per-scardinare-il-regime-ue/
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