“Bollisco” o “bollo”? Decide il contesto

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Uno studente ginnasiale, in una lettera spassosa, mi racconta contese feroci (si fa per dire) sui verbi, con il suo supplente di Italiano. Non si tratta di congiuntivi o condizionali: su ciò il ragazzo passa generoso. Non pretende che il suo insegnante probabilmente poco esperto sappia districarsi in complessi periodi ipotetici. I due discutono invece con accanimento su quelli che tecnicamente si chiamano «verbi sovrabbondanti»: verbi cioè che possono avere più forme in alternativa. Il professorino, curiosamente, va per ragionamenti astratti, lo studente lo corregge concretamente con il vocabolario in mano. È un guaio serio. Non tanto perché ha ragione lo studente (capita spesso oggi), quanto perché l’ insegnante pensa davvero che una lingua possa avere una logica. Ecco uno scampolo del dibattito. Sostiene il prof che esistono in alternativa forme come «bollono» e «bolliscono». Il ragazzo lo smentisce.

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Il prof cerca di inchiodarlo con questo argomento. Se dico «io bollo», posso esprimere due concetti molto diversi: o metto a bollire un pollo per farlo lesso oppure mi impegno a bollare un documento. Dunque – conclude trionfalmente – «bollisco» il pollo e «bollo» il documento. Logico. Peccato però che «bollire» non sia un verbo sovrabbondante. Se la radice resta uguale («boll-»), la desinenza lo fa della prima («bollare») o della terza («bollire») coniugazione. E se capita, come qui, un caso di omografia, questo «io bollo» siamo costretti a sopportarlo. Perché, come giustamente precisa lo studente, sarà il contesto amplificato a chiarire il senso della forma ambigua.

De Rienzo Giorgio

Fonte: http://archiviostorico.corriere.it/2004/maggio/31…/

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