IL CASTELLO di Belvedere Marittimo (Cs)

castello

Il castello di Belvedere è un magnifico esempio di fortezza del XV secolo e presenta tutte le caratteristiche del tipico castello angioino riadattato e fortificato nel periodo aragonese.
Emilio Barillaro (vedi più avanti) ci dà la notizia che fu eretto da Ruggero il Normanno nel XI secolo e restaurato nel 1287 da Ruggero di Sangineto senza, però, informarci sulle fonti dalle quali queste interessantissime notizie sono state attinte. In ogni caso noi qui le consideriamo attendibili: il castello di Belvedere, dunque, è stato costruito tra la fine del secolo XI e la prima metà di quello successivo.
Poiché la questione non è di poco conto sotto riportiamo, in copia, la Ns. fonte:

Pagina 133 del libro di E. Barillaro, “Calabria, guida artistica e archeologica. (Dizionario Corografico)”, Editore L. Pellegrini, Cosenza 1972.Emilio Barillaro (S.Giovanni di Gerace, RC 01/01/1904 – 25/02/1980), scrittore, poeta, letterato, archeologo ed etnologo.
E’ bene precisare che quando gli storici parlano di Ruggero il Normanno si riferiscono a Ruggero II che succedette al padre Ruggero I nel 1101 (quindi siamo già nel XII secolo). Siamo del parere che Emilio Barillaro quando parla di Ruggero il Normanno si riferisca, invece, a Ruggero I altrimenti mal si concilierebbe col secolo XI.Ruggero I: conte di Calabria dal 1062, gran conte di Calabria e di Sicilia dal 1071 come vassallo del fratello Roberto il Guiscardo duca di Puglia, unico regnante normanno dell’Italia meridionale dal 1085, morto a Mileto (RC) il 22 giugno 1101.
Ruggero II detto il Normanno: succedette al fratello nel 1101, incoronato Re a Palermo nel 1130, morto nel 1154.

Annotiamo, infine, che la notizia “Interno interamente rifatto e adattato ad abitazione della Famiglia Spinelli” è parzialmente vera nel senso che non ci risulta che la famiglia Spinelli abbia mai abitato all’interno del Castello né che lo abbia adattato ad abitazione. Probabilmente il Barillaro si riferiva al fatto che nell’ex fossato e nei piani alti a livello della torre minore c’è stato un periodo in cui la famiglia Spinelli utilizzava questi luoghi come giardino privato.

Lucio Santoro (docente di storia dell’architettura all’università di Napoli) nel suo libro “Castelli Angioini e Aragonesi nel Regno di Napoli”, Rusconi Immagini, Milano 1982, è del parere che il castello di Belvedere sia stato costruito ancora più anticamente:
“Ed in queste due regioni (Calabria e Puglia) l’opera degli Aragonesi fu, spesso, determinante nel mutare la conformazione spaziale di preesistenti fortificazioni… In Calabria, ad esempio, Corigliano, Belvedere e Scalea, con San Marco, erano già fortificati sin dall’alto Medioevo, costituendo una linea di sbarramento contro i Longobardi della Campania; utilizzati dai Normanni, alcuni di questi castelli calabresi, per la loro particolare posizione strategica, furono riattati nel XV secolo conformemente alla grammatica costruttiva e difensiva dell’epoca, che ne configurò il nuovo aspetto di rocche quattrocentesche”.

Della presenza del Castello nel secolo XI abbiamo una notizia, fino a qualche anno fa sconosciuta,molto interessante e che riportiamo integralmente:
Nel 1046 un certo Guglielmo Barbote, al soldo del principe di Capua Pandolfo IV, occupa il Castello di belvedere togliendolo al Principe di Salerno Guaimaro IV; e da lì compie varie scorrerie provocando danni al principato di Salerno. Allora Guaimaro ricorre all’aiuto del re normanno Dragone, che cinge d’assedio il castello; ma non era possibile prenderlo per l’altezza del monte. Però un contadino ebbe l’idea di raccogliere dei rami d’albero e di porli alla base del castello; il suo esempio fu seguito dagli altri che a poco a poco lo circondarono di fascine. Quando l’ebbero tutto rivestito di legna alla base, con le molle per attizzare il fuoco, che lui portava con se accese il legname e il castello fu arso“.
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NOTA: prima di proseguire è bene precisare che originariamente con la parola castello si indicava anche l’intero villaggio circondato dalle mura
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Questa notizia, ripetiamo importantissima e indedita fino al 2007, la troviamo sul libro “Belloviderii” di Cono Araugio che indica come fonte un dattiloscritto dal titolo “Sangineto (Notizie Storiche)” del 1980 di G. Engels, presente nell’archivio parrocchiale, che a sua volta la riprende dalle pagine 106-107 del libro “Storia dei Normanni volgarizzata in antico francese” di Amato di Montecassino, pubblicato in Roma nel 1935.
Evidenziamo tre aspetti molto interessanti. Il primo, il più importante, è che per la prima volta incontriamo nella storia del Castello una data precisa, 1046 (anteriore al 1091, vedi portale chiesa di S.Giacomo); il secondo aspetto, altrettanto importante, è la conferma che il castello nel secolo XI già esisteva e, quindi, va ad avvalorare l’ipotesi di Lucio Santoro sulla sua presenza anche nel periodo longobardo e soprattutto dà la conferma che il castello distrutto nel 1046 viene ricostruito da Ruggiero il Normanno così come sostenuto da Emilio Barillaro; terzo aspetto: l’attacco e la distruzione del castello; fino ad oggi conoscevamo solo l’episodio dell’assedio del 1289, ora sappiamo che il castello fu attaccato anche nel 1046 ad opera del normanno Dragone d’Altavilla (figlio di Tancredi d’Altavilla, il primo normanno a giungere in Italia meridionale, nel 1035) fratello di Roberto il Guiscardo.
Qui di seguito, dunque, pubblichiamo la fonte e un nostro tentativo di traduzione del testo precisando che in realtà la versione originale, l’Historia Normannorum del monaco benedettino Amato di Montecassino vissuto dal 1010ca al 1090/1100, è andata perduta. Quella che noi possediamo è una traduzione francese del XIV secolo conservata nella Biblioteca Nazionale di Parigi.

Traduzione:

Un’altra rivolta contro Guaimario fu sollevata da Guglielmo Barbote che era cresciuto alla corte del principe con i suoi figli.
Era stato convinto a ribellarsi da Pandolfo nonché dalla sua stessa povertà. Entrò nel castello di Belvedere e fece più danni che poteva nel principato di Salerno. Fu chiamato Drogo che venne ad Aversa insieme a tutti i Normanni in aiuto di Guaimario.
Egli con il suo esercito assediò il castello tenendo Guglielmo bloccato all’interno della mura in modo che non potesse fare più danni. Tuttavia Drogo non riuscì a prendere il castello a causa dell’altezza della collina dove era situato.
Un contadino diede fuoco al castello radendolo al suolo. Il contadino fece un fascio di rami e vi si collocò al suo interno.
Poi fu trasportato all’interno del castello. Quando il castello fu pieno di legna accese il fuoco per la pentola che trasportava e il fuoco [diffondendosi rapidamente] rese al suolo l’intero castello.
Barbote si rifugiò da Argyrus per diventare suo cavaliere. Argyrus maliziosamente lo arrestò e lo mandò in catene a Costantinopoli. In seguito alla vittoria ottenuta con l’aiuto del contadino, Guaimario e il suo popolo tornarono vittoriosi e il potere di Pandolfo fu definitivamente distrutto.

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La notizia con i riferimenti storici:

Guglielmo Barbote, convinto da Pandolfo IV principe di Capua, si mise a capo di una rivolta contro Guaimario IV (1013ca-1052) [principe di Salerno e duca di Puglia e Calabria dal 1043 al 1047] e conquistò il castello di Belvedere.

Guaimario che aveva stretto forti legami con la famiglia normanna degli Altavilla chiamò in aiuto Drogone d’Altavilla (Drogo) che assediò il castello di Belvedere riuscendo a bloccare all’interno il Barbote ma non riuscì ad espugnarlo a causa dell’altezza della collina su cui si trovava.

Un contadino si nascose dentro un fascio di rami e riuscì ad entrare all’interno del castello e diede fuoco alla legna.

L’incendio si diffuse rapidamente e il castello fu raso al suolo. Allora Barbote si rifugiò dal generale bizantino Argyrus (1000-1068) che però lo arrestò e lo mandò in catene a Costantinopoli.

Abbandoniamo, comunque, in attesa di uno studio approfondito sul periodo pre-angioino da parte degli esperti in materia, l’idea di seguire le fasi architettoniche del Castello di Belvedere fin dalle sue origini e con l’aiuto del già citato libro del Santoro ci concentreremo solo sull’analisi e sull’osservazione di tutti quei tratti che caratterizzano il nostro Castello così come si presenta oggi ai nostri occhi AVVERTENDO CHE ALCUNE NOTIZIE QUI RIPORTATE SONO FRUTTO DI NOSTRE IPOTESI CHE HANNO BISOGNO, QUINDI, DI CONFERMA DA PARTE DI ESPERTI DELLA MATERIA.

La nostra analisi parte dal 1490.
Il castello era ormai divenuto inadeguato a fronteggiare le nuove tecniche di attacco con le armi da fuoco e necessitava di un grosso restauro finalizzato principalmente al rafforzamento sia della struttura muraria sia dei mezzi di difesa.
L’ordine di ricostruzione e potenziamento del castello venne il 12 novembre 1480 direttamente dal re Ferdinando d’Aragona (Ferrante I), ordine che riguardava anche i castelli di Reggio, Crotone, Cariati, Corigliano e Pizzo. Quando, dunque, dal 2 gennaio al 22 aprile 1489 Alfonso duca di Calabria (figlio di re Ferdinando), accompagnato da Antonio Marchesi da Settignano, discepolo dell’architetto senese Francesco Di Giorgio Martini, effettuò un giro di ispezione nei castelli di Calabria, tra i quali anche il nostro, il castello o era stato già ricostruito oppure i lavori erano in fase molto avanzata.
Ma ritorniamo indietro di qualche secolo.
Nel periodo angioino (1266-1442) il castello si presentava più “esile” e complessivamente più alto rispetto ad oggi; le torri, che anche allora erano due, erano più piccole di circonferenza ma più slanciate in altezza, specie quella che oggi è la minore, con cortine intermedie molto alte per impedire la scalata e rendere più difficile l’assalto con le elepoli; era presente il fossato e di conseguenza il ponte levatoio il quale poggiava su un pilone di muratura (detto battiponte) costruito al centro del fossato in corrispondenza dell’ingresso principale. Dal battiponte partiva verso l’esterno una passerella che poggiava sulla controscarpa del fossato e che, generalmente, era fissa.
Le torri erano, così come oggi, di forma cilindrica su base tronco-conica con base scarpata e provviste di cornice di separazione tra il corpo cilindrico e la base tronco-conica, quella sorta di cordone in pietra (detto redondone) , che proseguiva (così come ancora oggi è possibile osservare) in maniera continua per tutto il perimetro del castello, anche sulle cortine (la cortina, ricordiamo, è quel tratto di muro fortificato tra torre e torre).
Le due torri e le cortine, abbiamo già detto, erano più alte e nella parte inferiore terminavano con scarpata per rendere più difficile l’assalto con le elepoli che se accostate alle mura, permettevano agli assalitori di entrare dall’alto del coronamento della fortezza.
Le torri e le cortine oggi osservabili, invece, sono più basse perché sono il frutto dell’intervento quattrocentesco.
Alla fine del XV secolo, infatti, negli assalti ai castelli venivano usate ormai le armi da fuoco, le bombarde, con le quali venivano prese di mira soprattutto le parti alte che, crollando, avevano effetti devastanti sui difensori. Per questo motivo i castelli vennero ridotti in altezza e, contemporaneamente, rinforzati. Sono le armi e le tecniche d’assalto e naturalmente quelle di difesa, dunque, che ci aiutano in qualche modo a far luce sull’aspetto architettonico del castello.
Oggi, per esempio, solo la torre più alta presenta un coronamento ad archetti sorretto da mensole in pietra privi di sagomatura (i cosiddetti beccatelli) mantenuta dagli aragonesi solo per una funzione ornamentale: nel periodo angioino, invece, anche la torre più bassa aveva questo tipo di sagomatura. Infatti mentre i merli avevano la funzione di coprire arcieri e balestrieri, il coronamento delle torri (e spesso anche delle cortine) aveva la duplice funzione di abbellimento e soprattutto di far posto alle caditoie, fori aperti sul calpestio del cammino di ronda, che consentivano di gettare dall’alto sassi e liquidi bollenti sugli assalitori che fossero riusciti ad entrare nel fossato e che stessero apprestandosi ad entrare nel castello con scale ed elepoli o attaccare le mura con arieti. La sagomatura del coronamento che si poteva osservare all’epoca (stiamo parlando del periodo angioino) molto probabilmente non era come quella attuale: osservando con attenzione i redondoni (sia quello superiore del mastio, sia quello che percorre l’intero perimetro del castello), è evidente che essi avrebbero impedito il tiro piombante dalle caditoie. Ciò ci induce ad ipotizzare che il coronamento della torre doveva essere più sporgente rispetto a quello che oggi possiamo osservare in modo che la traiettoria appiombo delle pietre lanciate dalle caditoie, che erano disposte lungo gli archi del coronamento, (nella foto a fianco è chiaramente visibile che gli archi del coronamento sono in posizione arretrata rispetto alla base superiore dei beccatelli) non venisse in collisione con i redondoni. I beccatelli del coronamento sono privi di sagomatura ma vi sono castelli in cui essi, ad esempio, sono a triplice mensola. Il coronamento si poteva estendere anche sulle cortine.
Per impedire, poi, che la scarpata potesse facilitare la scalata delle mura, fu limitata a due terzi dell’altezza della fortificazione e questo ci può dare l’idea dell’altezza originale delle torri e delle cortine.
Abbiamo detto che la torre più piccola nell’intervento aragonese è stata abbassata. Ma ad un’attenta osservazione del mastio (la torre più alta del castello), considerando anche quanto appena detto circa la posizione arretrata degli archi del coronamento, è verosimile l’ipotesi che anche questa torre sia stata abbassata (cosiddetta cimatura della torre). Infatti osservando bene il suo coronamento e l’intonaco che si intravede sotto, si può constatare che non c’è soluzione di continuità dell’intonaco tra quello immediatamente sotto e quello immediatamente sopra il redondone alla sua base. Anche la disposizione dei fori utilizzati dai maestri costruttori (in epoca angioina) ci fa optare per questa ipotesi e cioè che tutto il coronamento (quello attuale potrebbe essere quello angioino originale preesistente, smantellato e ricostruito a quota più bassa, ma potrebbe anche essere stato rifatto completamente di nuovo) è stato demolito e poi ricostruito a quota più bassa a partire dalla base superiore cilindrica della torre, riutilizzando lo stesso materiale. Per avere l’idea dell’altezza del mastio nel duecento-trecento dobbiamo immaginarci di prendere con le mani il coronamento in pietra come se fosse una vera e propria corona e, sollevandolo lentamente, adagiarlo sopra l’attuale base superiore cilindrica della torre in modo che il redondone alla sua base si trovi alla stessa altezza attualmente occupata dalla base dei merli.
Questa stessa Ns. ipotesi, cioé che il coronamento del mastio sia un riposizionamento fatto dai maestri aragonesi di quello preesistente del periodo angioino mediante un arretramento degli archetti di forma ogivale o un avanzamento dei beccatelli in seguito a un rafforzamento della torre (in sostanza una torre con un diametro maggiore) e contemporaneamente l’abbassamento di tutto il coronamento, ci lascia, però, un po’ dubbiosi. Abbiamo individuato, infatti, due castelli dell’Italia settentrionale, quello di Sarzana (SP) in Liguria e di Volterra (PI) in Toscana, che hanno esattamente gli stessi beccatelli e gli archetti sovrastanti della stessa forma ogivale (gli stessi beccatelli possiamo osservarli anche in un bastione delle mura di San Gimignano SI). Questi due elementi che i tre castelli hanno in comune, fanno subito pensare a una comune influenza dell’architettura toscana del XV secolo che vede protagonisti Francesco di Giorgio Martini e Francesco di Giovanni detto il Francione. La presenza del Francione, nel Regno di Napoli, non è attestata da nessun documento mentre quella di Francesco di Giorgio è ben documentata.

Fortezza Medicea, Volterra (PI), a. 1472, particolare Fortezza Firmafede, Sarzana (SP), a.1487, particolare Bastione mura S.Gimignano (SI), fine sec. XV, particolare
Castello di Belvedere M.mo, particolare del coronamento del mastio

Altri particolari strumenti difensivi che possiamo ancora oggi notare sono le coppie di condotti in terracotta posti ai due lati delle aperture presenti in ciascun piano dell’edificio: sono leggermente inclinati verso il basso e servivano a versare, dall’interno verso l’esterno, liquidi bollenti sugli assalitori anche da altezze intermedie rispetto ai piani di calpestio superiori.
Ancora un’annotazione.
Vincenzo Nocito, storico belvederese che ha condotto per primo una serie di studi organici sulla nostra città pubblicandoli nel 1950 sul famosissimo libro più volte citato in questo sito, sostiene che lo stemma che possiamo ancora oggi osservare sulla facciata sud del mastio, sia uno stemma angioino. Aiutandosi con un piccolo binocolo possiamo distinguere ancora la croce di Gerusalemme (la croce è formata dalla sovrapposizione della H con la I, le iniziali di HIerusalem) in mezzo e quattro crocette, nonché le fasce verticali e orizzontali e i gigli. (vedi foto a sinistra)
Abbiamo cercato di verificare questa notizia per avere conferma che il suddetto stemma corrisponde realmente a uno stemma di casa d’Angiò, ma le ricerche hanno dato esito negativo. Nella foto a destra, infatti, è ben visibile, perché ben conservato, uno stemma che ci sembra proprio una copia di quello posto sul mastio del Ns. castello: si tratta, però, non di uno stemma angioino bensì di uno aragonese (si noti la datazione 1493; questo stemma si trova in un palazzo di Teramo, in Abruzzo). Del resto non bisognava allontanarsi molto perchè lo stesso stemma è scolpito sulla lapide in pietra della porta principale del Ns. castello (vedi foto più avanti in questa stessa pagina). Clicca qui per approfondire la descrizione dello stemma di casa d’Aragona del XV secolo.
Ma una semplice e ovvia osservazione fa cadere questa fantasiosa notizia: perché gli aragonesi avrebbero dovuto lasciare uno stemma angioino sul loro castello che, tra l’altro, fu proprio da loro restaurato in toto?
Infine una nota sulle armi.
Nel castello oggi non è rimasto alcun esempio di armi d’epoca, tranne che una pietra di forma perfettamente sferica (foto a lato) utilizzata quasi certamente come proiettile delle prime bombarde (scartata l’ipotesi che si tratta di pietra utilizzata con le catapulte): si trova come ornamento in cima alla porta di ingresso ottocentesca posta sul lato est, che è l’unica via d’accesso al cortile superiore: non sappiamo se la pietra è stata conservata a ricordo di un assalto al castello o faceva parte dell’arsenale di armi di difesa.
Il castello di Belvedere fu ampliato e rafforzato dagli aragonesi nel 1490, così come è stato scolpito sulla lastra di pietra posta sull’ingresso principale. L’iscrizione evidenzia i motivi e gli scopi del restauro: il castello non è in grado di resistere alle nuove tecniche di combattimento e alle macchine da guerra con gli “…igneo spiritu…” (gli “spiriti di fuoco”, le bombarde).
Fu restaurato sotto la guida, diretta o indiretta, del celebre architetto senese Francesco Di Giorgio Martini o, come viene sostenuto da altra ipotesi, dal suo discepolo Antonio Marchesi da Settignano. E’ stato ipotizzato, inoltre, che l’eguale datazione che si trova sulle iscrizioni dei castelli di Belvedere, Pizzo, Corigliano e Castrovillari, non può far credere che questi quattro castelli fossero stati portati a termine nello stesso anno (1490) e che, invece, debbono essere considerate epigrafi celebrative e commemorative, collocate sulle fortezze solo successivamente e, precisamente, verso la fine del dominio aragonese (periodo aragonese 1442-1503), eseguite contemporaneamente e prodotte in serie dalla stessa bottega di lapicidi sia per la forma che per la somiglianza dei caratteri. Sono, in ogni caso, ottimi esempi di scultura del XV secolo che raffigurano lo stemma aragonese sostenuto da due bambini che per la loro grazia, il loro volume modellato e il loro movimento, sono da attribuire a maestri fiorentini della fine del quattrocento (B. Cappelli, Il Castello aragonese di Castrovillari, 1969).
Come già detto la rapida evoluzione delle armi da fuoco mise in crisi la vecchia architettura militare che si basava sull’altezza della fortezza, sulle caditoie, sul fossato, sui merli, sulle frecce, le pietre e liquidi bollenti.
Ora, alla fine cioè del quattrocento, la difesa e l’attacco sono affidati principalmente agli archibugi e alle bombarde. Il castello cambia aspetto: si ridimensiona in altezza e si rinforza in larghezza. Le antiche feritoie a forma di croce vengono sostituite da feritoie con fori rotondi, i merli vengono rinforzati, l’artiglieria viene sistemata al chiuso nelle cosiddette casematte, collocate ad una quota più bassa per permettere il tiro radente. Nel castello di Belvedere le feritoie, ad esempio, sono poste immediatamente sopra il redondone e a ciascuna di esse corrisponde, all’interno, una casamatta (nella foto a lato una feritoia).
Aggiungiamo, per gli amanti della storia, una nota sull’iscrizione posta sulla porta principale del castello che, come sappiamo, è stata mutilata a colpi di scalpello nei primi anni dell’ottocento. In passato vi sono stati alcuni tentativi di ricostruzione (come ad esempio V. Nocito, 1950 e B. Cappelli, 1969) che, tuttavia, non reggono ad una attenta osservazione.
Per rendere più agevole la comprensione della nostra ipotesi di ricostruzione, abbiamo riportato in maniera sinottica ciascuna parola delle integrazioni fatte dal Nocito e dal Cappelli nonché la ricostruzione fatta nel 2005 da questo sito.

“Memorie e studi sulla città di Belvedere Marittimo”, 1950, V. Nocito “Il castello aragonese di Castrovillari”, 1969, B. Cappelli Ecco quanto ancora oggi è possibile leggere Qui la ricostruzione fatta nel 2005 da questo sito
1 FERDINANDUS FERDINANDUS FERDINANDS FERDINANDS
2 REX REX REX REX
3 DIVI DIVI DIVI DIVI
4 ALPHONS’ ALFONSI ALFONSI ALFONSI
5 FILIUS FIULIUS FILIUS FILIUS
6 DIVI DIVI DIVI DIVI
7 FERD’ FERD FERD FERD
8 NEP’ NEP NEP NEP
9 ARAGONIUS ARAGONIUS ARAGONIUS ARAGONIUS
10 ARCEM ARCEM ARCEM ARCEM
11 HANC HANC HANC HANC
12 INFIRMAM INFIRMAM INFIRMAM INFIRMAM
13 CONTRA CONTRA CONTRA CONTRA
14 NOVA NOVA NOVA NOVA
15 OPPUGNATION’ OPPUGNATION OPPUGNATION OPPUGNATION
16 GENERA GENERA GENERA GENERA
17 ET TORMENTA ET TORMENTA ETTORMENTA ETTORMENTA
18 IGNEO IGNEO IGNEO IGNEO
19 SPIRITU SPIRITU SPIRITU SPIRITU
20 …. FACTA CICTA CICTA
21 ….. AD ACONTINENDOS ::::::: AD CONTINENDOS
22 IN IN IN IN
23 FIDE FIDE FIDE FIDE
24 CIVES CIVES CIVES CIVES
25 EXPE… EXPE[NSIS] EXPE::::: EXPECUNIA
26 ….. ::::::::::: ABEIE
27 …… ::::::::::: COLLATA
28 IN AMPLIOREM [I]N MELLOREM IN AMPLIOREM IN AMPLIOREM
29 MELIOREMQUE AMPLIOREMQUE :::MIOREM QUE FIRMIOREM QUE
30 FORMAM FORMAM FORMAM FORMAM
31 RESTITUIT RESTITUIT RESTITUIT RESTITUIT
32 A.D. ANO D ::NNO D ANNO D
33 MCCCCLXXX MCCCCLXXXX MCCCCLXXXX MCCCCLXXXX

Osserviamo, preliminarmente, alla riga 20 una discordanza tra “facta” riportata dal Cappelli e “cicta” che a noi ci sembra essere inciso sulla pietra. Effettivamente sulla lapide si può osservare che la prima sillaba di questa parola sembra essere una “c” sovrapposta ad una “a”. Abbiamo optato per “cicta” in quanto con tutta la nostra buona volontà non ci sembra potersi sostenere che questa prima sillaba sia una “f”. E’ verosimile, invece, che vi sia stato un errore dello scalpellino che, erroneamente, ha inciso prima una “a” corretta, immediatamente dopo, con la “c”. In ogni caso se il dubbio può esserci per la prima sillaba, non vi sono dubbi sulla seconda: è chiaramente una “i”. Come si concilia, allora, “facta” con “::icta”?
Osserviamo, ancora, alle righe 26 e 27 come l’integrazione del Cappelli è nettamente in contrasto con lo spazio che c’è dopo la parola “expe::::”, oggi mutilato a colpi di scalpello: non è possibile che in tutto quello spazio sia contenuta solo [ensis], cioè la parte finale di “exp[ensis]”, così come nella sua integrazione.
Un’ultima annotazione alla ricostruzione della parola mutila “:::MIOREMQUE”. E’ evidente l’errore in cui sia il Cappelli che il Nocito sono incorsi integrandola con “melloremque” o “melioremque”: la prima sillaba che si legge è chiaramente una “m” (che corrisponde alla quarta sillaba della parola oggi mutila), incompatibile con le predette ricostruzioni. E’, infatti, certa l’integrazione fatta da questo sito con la parola “firmioremque”, che tradotto in italiano significa “più saldo”, “più forte”.

Chi volesse approfondire questo argomento dell’iscrizione può visitare la pagina dedicata alla storia nonché la pagina delle NOVITA’ (vedi la notizia inserita l’ 1/10/2005), che per comodità riportiamo sotto:


01/10/2005
DOPO CIRCA DUE SECOLI
Dopo circa due secoli (cioè dal 1800-1830 circa) è possibile rileggere l’iscrizione posta sulla porta principale del castello di Belvedere così come fu scolpita nell’anno 1490. Infatti, grazie al contributo fotografico inviatomi dal prof. Nicodemo Misiti di Corigliano Calabro (vedi pagina dedicata alla storia) è stato possibile RICOSTRUIRE le parti che, secondo lo storico locale, Vincenzo Nocito, l’ex principe di Belvedere Vanden Einden Carafa fece togliere a colpi di scalpello.

Ecco l’iscrizione da me ricostruita:
FERDINANDS REX DIVI ALFONSI FILIUS DIVI
FERD NEP ARAGONIUS ARCEM HANC IN
FIRMAM CONTRA NOVA OPPUGNATION
GENERA ETTORMENTA IGNEO SPIRITU CI
CTA AD CONTINENDOS INFIDE CIVES
EXPECUNIA ABEIE COLLATA INAMPLIOREM
FIRMIOREM QUE FORMAM RESTITUIT
ANNO D MCCCCLXXXX

Ed ecco una foto dell’iscrizione, ricostruita con l’aiuto del computer

Sotto, la foto con la mutilazione dell’800, così come si presenta oggi:

Ed ecco la traduzione in italiano:
RE FERDINANDO D’ARAGONA FIGLIO DEL DIVINO ALFONSO
NIPOTE DEL DIVINO FERDINANDO, PER MANTENERE IN FEDELTA’ I CITTADINI,
COL DENARO DA ESSI RACCOLTO, RIDIEDE UNA FORMA
PIU’ IMPONENTE E PIU’ SOLIDA A QUESTA FORTEZZA,
INADEGUATA A FRONTEGGIARE GLI ASSEDI CON LE NUOVE TECNICHE DI COMBATTIMENTO
E LE MACCHINE DA GUERRA CON GLI SPIRITI DI FUOCO.

Nota: gli “spiriti di fuoco” sono le bombarde, cioè i pezzi di artiglieria che sostituirono, dopo la scoperta della polvere da sparo avvenuta nel 1378 circa, le vecchie macchine militari che lanciavano pietre e fuochi artificiali.


Alla data dell’aggiornamento di questa pagina (16/05/2007) il Castello non è ancora aperto stabilmente al pubblico. E’ dall’agosto 1997 ormai che i cittadini e i turisti non possono visitarlo perché è chiuso al pubblico. In passato c’è stato un periodo in cui, solo d’estate, le porte del Castello si aprivano e tutti potevano visitarlo liberamente La foto accanto (febbraio 2007) fissa storicamente e simbolicamente questo attuale aspetto negativo: massi e pietre staccatisi dalla roccia hanno invaso la scalinata d’accesso.
Nonostante ciò il Castello mantiene ancora tutto il suo fascino: il nostro auspicio è che un giorno potrà essere riportato agli antichi splendori.

Molto, infatti, c’è ancora da scoprire. Un intervento di restauro che lo riconsegnerebbe ai suoi cittadini e al patrimonio culturale nazionale, porterebbe alla luce molti suoi angoli ancora inesplorati e nascosti da molti decenni.
In questa pagina cercheremo con l’aiuto di alcune foto scattate all’epoca in cui il Castello era visitabile (anni 1982-85), di guidarvi attraverso una sorta di breve visita virtuale.
Superato il cancello di ingresso, ci troviamo subito di fronte una scalinata in cotto.

Al Castello si accede attraverso questo basso e stretto ingresso che probabilmente era l’unico punto di accesso al cortile interno (oltre, naturalmente, all’ingresso principale a cui si accedeva attraverso il ponte levatoio) dove si svolgevano, in caso di attacco, le operazioni di difesa.

Per accedere al cortile bisogna continuare ancora a salire.
Giunti nel cortile del Castello, con nostra grande meraviglia, osserviamo che tutti gli spazi sono occupati da una vegetazione selvaggia e soffocante che ne impedisce la visione d’insieme.

Ancora una foto su come si presenta il cortile del Castello al primo impatto.

La foto a fianco è un esempio di come il cortile del Castello, la cui funzione era quella di permettere manovre agili e veloci, oggi è stata completamente modificata dalla presenza di viottoli stretti e impercorribili formatisi in seguito alla costruzione di enormi aiuole in cemento per contenere la vegetazione.

I merli permettevano ai soldati di scagliare contro i nemici frecce e pietre con una certa precisione e tranquillità. L’avvento della polvere da sparo ha reso indispensabile la costruzione di luoghi chiusi e riparati per ospitare l’artiglieria: nasce la cosiddetta “casamatta” che a partire dalla fine del secolo XV fa la sua comparsa nei castelli a scopo difensivo. Numerose sono le casematte presenti nel Castello di Belvedere costruite nel 1490 quando fu restaurato e potenziato da Ferdinando d’Aragona.
A fianco ne vediamo un esempio con la classica feritoia.

Ecco come si presenta l’ampio spazio che si trova al piano più alto della torre minore. Le giare, naturalmente, non erano presenti quando il Castello era ancora “in vita”.

All’interno le due torri, che non sono state mai accessibili al grande pubblico, anche per motivi di sicurezza, sono suddivise in più piani alcuni dei quali, pare, comunicanti tra di loro attraverso piccole botole alle quali si accedeva mediante gradini di pietra addossati alle pareti. Nella foto qui a lato possiamo chiaramente osservare che fino ad una certa data, che ignoriamo, si accedeva alla torre più alta e imponente, il Mastio, attraverso una passerella in legno che verosimilmente è stata appositamente adattata o costruita in tempi relativamente recenti. Oggi la passerella si presenta così come nella foto.

La foto qui a fianco mostra l’unico accesso ad alcuni ambienti interni del mastio, completamente bui (qui l’uso di fiaccole, ad esempio, creerebbe effetti veramente suggestivi). Percorrendo questi ambienti si giunge in un locale appena illuminato dalla luce che passa attraverso una feritoia.

Nell’estate 2005 è stato riaperto al pubblico, forse per la prima volta, quello che un tempo era il fossato del Castello. A fianco una foto scattata il 16/08/2005 che ritrae la base della struttura muraria sulla quale poggiava il ponte levatoio.

In questa foto è possibile intravedere, a sinistra, la base del mastio.

Completiamo il tour con le foto del mastio, della torre minore, una foto aerea dell’intero Castello, alcune foto del Castello che è presente nel parco di “Italia in Miniatura” di Viserba di Rimini (RN) (dove sono riprodotti, in scala 1:25-1:50, 273 monumenti e piazze italiane; per maggiori informazioni visita il sito ufficialewww.italiainminiatura.com) e, infine, il particolare della lapide in pietra posta sull’ingresso principale, in cui molto interessante è l’iscrizione che ancora oggi ricorda la data dell’ultima grande ristrutturazione.

IL MASTIO

LA TORRE PIU’ PICCOLA

UNA VISTA D’INSIEME

FOTO AEREA (foto G. Gagliardi)

IL CASTELLO DI BELVEDERE ALL’ITALIA IN MINIATURA

Due foto più recenti (di L. Gaglianone) del CASTELLO ALL’ITALIA IN MINIATURA

Nel 1490 (o 1491) fu ristrutturato (vedi pagina dedicata alla storia della città) così come si legge nell’iscrizione posta sulla porta principale dell’edificio, sormontata da una larga pietra rettangolare su cui sono scolpiti due bambini con le armi reali di Ferdinando I d’Aragona.
La ristrutturazione del Castello potrebbe essere attribuita al celebre architetto Francesco Di Giorgio che negli anni tra il 1491 ed il 1497 presta la propria opera a Napoli (Sergio Dragone in “Castelli e Torri di Calabria, 1997”).

Fonte: http://www.belvederemarittimo.com/link6.htm

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