RENZI: «Non credevo che mi odiassero così tanto». Forse conviene ragionare…

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«Non credevo che mi odiassero così tanto», è una delle frasi che il presidente del consiglio dimissionario ha consegnato ieri notte a Maria Teresa Meli, del Corriere.

Già: le categorie dell’amore e dell’odio verso una persona – un virus che Berlusconi ha introdotto a tonnellate nel confronto politico – sono diventate nebbia comune negli occhi di molti, poi vento e tempesta. Che si può abbattere anche su chi l’ha provocata.

Eppure qualcuno ha votato sulla Costituzione, domenica – quorum ego – quindi ieri sera era semplicemente contento che la maggioranza degli italiani avesse deciso di mantenerne intatto l’impianto.

Un impianto che in fondo ha funzionato bene per settant’anni, negli ultimi venti ha circoscritto il prodromo nostrano di Trump, nei prossimi venti o trenta avrà il compito di fare altrettanto con chiunque cerchi di piegarla a se stesso, al suo carisma personale, alla sua parte politica.

La Costituzione fu voluta così – con garanzie e contrappesi – da persone sagge appena uscite dal fascismo. Il cui obiettivo principale dunque era non solo garantire la democrazia a venire, ma anche evitare nuovi caudilli, nuovi accentratori con velleità autocratiche. Indebolirla adesso – mentre le democrazie sono in crisi e il mondo pullula di Trump, Putin, Le Pen ed Erdogan – sarebbe stata una grande sciocchezza. Abbiamo evitato di farla.

Questo è stato – per me come per altri – il punto fondamentale. La Costituzione ha vinto, come titolava l’Unità nel 2006, dopo un tentativo altrettanto maldestro e sciocco di indebolirla. E ha vinto solo la Costituzione, non Grillo, Salvini, D’Alema, Landini etc. Nessuno dei quali può pensare di rappresentare i quasi venti milioni di elettori che hanno voluto mantenere intatto l’impianto costituzionale con tutte le sue solide garanzie.

Poi c’è il resto, certo. I giochi politici di oggi e domani. Che vengono dopo, per importanza rispetto alla Costituzione: credo di averlo scritto un centinaio di volte, me ne scuso, questa è l’ultima.

Vengono dopo ma ora – messa in sicurezza la Carta – sono ciò di cui ci si può occupare.

Magari iniziando a capire – provando a capire – quali motivazioni hanno mosso le persone che al contrario di me (e di tanti altri) hanno votato No tenendo a mente non la Costituzione ma altri elementi: ad esempio la propria condizione economica e lavorativa; la propria percezione di sé e del proprio ruolo nella società; la simpatia o antipatia politica, fino all’odio e all’amore citati ieri notte da Renzi.

L’aspetto economico è stato probabilmente quello più sottovalutato. Perché esiste la narrazione, ma poi esiste anche l’accountability.

Vale a dire che diffondere la favola che tutto va meglio grazie al proprio governo funziona forse nei primi tre o sei mesi, specie se accompagnato da qualche generosa dazione (europee 2014), ma poi a un certo punto la realtà irrompe e si fa largo. Insomma si deve rendere conto.

Se la realtà non è un miglioramento, le promesse diventano boomerang.

E tanto più tronfia è la prosopopea dell’annuncio, quanto più rabbiosa è la delusione che ne consegue – quindi lo schiaffone. In questo aveva ragione Giulio Andreotti: quando diceva che un politico deve sempre promettere meno di quello che può dare, altrimenti ne paga le conseguenze a breve.

Chissà se questo ha a che fare con “l’odio” di cui parla Renzi. Se cioè il risultato di ieri è stato anche il frutto di uno iato eccessivo fra il trionfalismo della comunicazione renziana e la condizione di mortificazione, impoverimento e assenza di prospettiva vissuta da tante persone.

Tra l’altro, in questo senso, è notevole come non abbia funzionato (nemmeno in Italia) la strategia della paura. Intendo dire: i mercati nervosi, lo spread, l’euro, la Troika, le cavallette. Niente, non hanno funzionato. Qualcosa vorrà dire. A me viene in mente la disoccupata dello Yorkshire interrogata sulla Brexit: «Ho votato Leave perché mi hanno detto che se vince il Remain il mio conto in banca è al sicuro, ma io non ho alcun conto in banca». Oppure mi viene in mente quel mio contatto su Facebook che alla frase «i mercati sono nervosi per il referendum», subito ha risposto: «Ma i mercati non sanno quanto sono nervosa io».

Sto dicendo, con questi aneddoti reali, che la paura non fa più paura. Il che è un bene certo – non si vota sotto ricatto – eppure rivela un quadro sociale ancora più drammatico di quello che pensavamo. Un quadro in cui tanta gente non pensa più di avere davvero qualcosa da perdere, da rischiare. Molta più gente di quanto io stesso non pensassi. Credevo che agitare l’Apocalisse avrebbe fatto più effetto.

Poi, forse, c’è stato altro.

Oltre al “disagio sociale”, dico.

C’è stata anche in Renzi e nei suoi una componente caratteriale, comportamentale e cognitiva di tipo bullistico e fortemente divisiva, che gli si è ritorta contro. Ci sono state una supponenza e un’arroganza – dai #ciaone ai lanciafiamme, giù giù fino all’accozzaglia – che quando si è potere non ci si può permettere.

E sottolineo “quando si è potere”, perché non mi si dica che dall’altra parte sono piovute frasi peggiori.

Lo so, lo so benissimo.

Ma quando si è potere si hanno dei doveri in più e – se si dividono le persone con parole eccessive – si fanno dei danni in più. E si corrono dei rischi in più.

Se sei premier sei anche il mio premier, non mi devi sbeffeggiare. Se sei premier sei anche il mio premier, non mi devi sventolare in faccia schede farlocche. Se sei premier sei anche il mio premier, non mi puoi dare della persona spregevole. Se sei premier sei anche il mio premier, non fai una campagna elettorale di pernacchie anti establishment. Se sei premier sei anche il mio premier e non ti circondi di De Luca e #ciaone.

Ha ragione Renzi, in questo senso: c’è stato dell’odio.

Sociale, economico, politico, tribale, comportamentale.

Forse non bisognava attizzarlo, soffiarci sopra. Chiunque l’abbia acceso per primo: “l’establishment” con le sue scelte sociali sciagurate o i “populisti” con le loro parole reattive sguaiate.

Spegnerlo non è “buonismo”: è la prima esigenza di oggi.

Alessandro Gilioli

Fonte: http://gilioli.blogautore.espresso.repubblica.it/2016/12/05/forse-non-bisognava-soffiare/
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