
Si riparte, per un nuovo giro nei LUOGHI DELL’ANIMA
Ed è bello ritrovare tanti compagni di viaggio. A tutti un saluto cordiale.
Mi garba ricominciare questo nuovo anno con un’immagine molto dolce, che conoscete: Maria a Piamuntisa che fa il pane.
Già, il pane.
Sono figlio di contadini e sono cresciuto nell’immediato dopoguerra, quando in tante famiglie mancava persino l’essenziale. A casa mia l’essenziale c’era, ma sono stato educato ad avere di questo bene un rispetto quasi religioso. Se cadeva per terra, si prendeva e si baciava. E se, per caso, a tavola si metteva la pagnotta a faccia in giù, uno scappellotto era di rigore.
Il pane era la vita. “E’ jutu a s’abbusckà u pane”, si diceva di chi emigrava per trovare lavoro.
Perché in fondo, a pensarci bene, in esso si concentra l’evoluzione stessa della vita: un chicco di grano viene affidato alla terra, germoglia, cresce, matura, viene mietuto; ma non muore. Diventa farina, s’impasta, lievita e poi ecco il pane. La vita.
Sapete, la parola compagno viene da cum panis, colui con cui ho mangiato lo stesso pane. Ecco perché il pane è simbolo di amicizia, di solidarietà. Perché il compagno è colui con il quale condivido non solo il pane, ma anche i pensieri, le gioie e le sofferenze. Addirittura per i cristiani il pane rappresenta il corpo stesso di Cristo. Nell’Est, quando due si sposano, ricevono un sacchetto di pane come promessa di fertilità e abbondanza.
E allora, cari compagni, buon viaggio nei LUOGHI DELL’ANIMA.
Un invito: continuate a mandare foto in bianco e nero, opinioni, ricordi; renderanno più ameni i nostri LUOGHI e stuzzicheranno la memoria a riportare alla coscienza luoghi, volti, momenti che scalderanno il cuore.
Anche perché una foto tenuta in un cassetto viene dimenticata, rimessa in circolazione riannoda legami e regala emozioni.
Ad maiora!
One Reply to “IL PANE DI MARIA”
Il pane. “Rispetto quasi religioso per il pane”: la faccia della panetta era la faccia di Gesù Cristo.
Un alimento così essenziale per la vita, quanto più scarseggia tanto più si rispetta; e se nei tempi passati si giunse a tale identificazione, chissà quanto grande doveva essere la penuria di questo
bene.
Ben lo avrà venerato il pane, anche stantio, quella ragazza (mia madre) degli anni ’30 che doveva recarsi a piedi a Scorpari a spigolare, a cercare e raccogliere, cioè, le spighe di grano cadute nel campo durante la mietitura, sotto il sole di luglio, per ottenere per compenso una “cozza” (un chilo e mezzo!) di grano.
Oggi per fortuna il pane non manca, per alcuni abbonda, e perciò se n’è andato perdendo il valore e il rispetto.
Cosma Pantalena