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Raffaele Petra, duca di Vastogirardi e Marchese di Caccavone, nasce a Napoli il 7 gennaio 1798 da Carlo II.
Il padre, fautore della Repubblica Partenopea del 1799, fu costretto nel 1816 ad andare in esilio con la massiccia restaurazione borbonica sotto Ferdinando I: in questo periodo Raffaele Petra si formò agli studi letterari, nel clima repressivo dell’epoca. Dotato di forte equilibrio interiore, assetato di ordine e giustizia, non condivise i moti del 1820-21, e appoggiò la monarchia, ma già nel 1825, dopo aver composto un’ode inneggiante al nuovo sovrano Francesco I, ebbe seri ripensamenti politici e sposò la causa repubblicana e liberale, anche se si mantenne fedele allo Stato come suo funzionario, in quanto Conservatore delle Ipoteche ad Avellino e Direttore del Gran Libro a Napoli.
Sposò la vedova di suo fratello Francesco, donna Rachele Ceva Grimaldi, duchessa di Caccuri, da cui ebbe quattro figli: Nicola, poi prefetto a Messina e Questore a Napoli, Marianna, Isabella e Maria. Nonostante la fama di donnaiolo, per i suoi poemetti spregiudicati, fu esemplare come marito e padre di famiglia.
Scrisse nel 1818 il “Testamento di un poeta”, poi si dedicò alla critica letteraria e teatrale, e nel 1829 è uno dei più agguerriti redatori del “Caffè del Molo”, giornale d’avanguardia, dove stigmatizza il malcostume estetico della sua epoca, troppo incline ai sentimentalismi, e sostiene la necessità di ridare dignità alla parola. Quindi, nel 1833, prese a scrivere sul “Topo”, giornale filo borbonico, ma la collaborazione si interruppe presto. Di quest’epoca è la “Culeide”, poemetto sarcastico ed umoristico, che segna la rottura del Petra con i moduli e gusti tradizionali, e i numerosi epigrammi, rimasti famosi, in cui satireggiava su nobili e clericali, sulla borghesia cinica e rapace e la monarchia borbonica.
Dopo il 1860, scomparsi i Borboni, ritorna alla novella in versi, pubblicando “Maria Faiella” nel 1866, in cui il giudizio sulla monarchia piemontese è disincantato e disilluso. Morirà a Napoli il 16 novembre 1873.
Il padre, fautore della Repubblica Partenopea del 1799, fu costretto nel 1816 ad andare in esilio con la massiccia restaurazione borbonica sotto Ferdinando I: in questo periodo Raffaele Petra si formò agli studi letterari, nel clima repressivo dell’epoca. Dotato di forte equilibrio interiore, assetato di ordine e giustizia, non condivise i moti del 1820-21, e appoggiò la monarchia, ma già nel 1825, dopo aver composto un’ode inneggiante al nuovo sovrano Francesco I, ebbe seri ripensamenti politici e sposò la causa repubblicana e liberale, anche se si mantenne fedele allo Stato come suo funzionario, in quanto Conservatore delle Ipoteche ad Avellino e Direttore del Gran Libro a Napoli.
Sposò la vedova di suo fratello Francesco, donna Rachele Ceva Grimaldi, duchessa di Caccuri, da cui ebbe quattro figli: Nicola, poi prefetto a Messina e Questore a Napoli, Marianna, Isabella e Maria. Nonostante la fama di donnaiolo, per i suoi poemetti spregiudicati, fu esemplare come marito e padre di famiglia.
Scrisse nel 1818 il “Testamento di un poeta”, poi si dedicò alla critica letteraria e teatrale, e nel 1829 è uno dei più agguerriti redatori del “Caffè del Molo”, giornale d’avanguardia, dove stigmatizza il malcostume estetico della sua epoca, troppo incline ai sentimentalismi, e sostiene la necessità di ridare dignità alla parola. Quindi, nel 1833, prese a scrivere sul “Topo”, giornale filo borbonico, ma la collaborazione si interruppe presto. Di quest’epoca è la “Culeide”, poemetto sarcastico ed umoristico, che segna la rottura del Petra con i moduli e gusti tradizionali, e i numerosi epigrammi, rimasti famosi, in cui satireggiava su nobili e clericali, sulla borghesia cinica e rapace e la monarchia borbonica.
Dopo il 1860, scomparsi i Borboni, ritorna alla novella in versi, pubblicando “Maria Faiella” nel 1866, in cui il giudizio sulla monarchia piemontese è disincantato e disilluso. Morirà a Napoli il 16 novembre 1873.

‘A CUNFESSIONE ‘E TANIELLO
Taniello, ch’ave scrupole
mo che se vo’ ‘nzurà
piglia e da fra Liborio
va pe’ se cunfessà.
– Patre – le dice – ì roseco,
e pe’ nniente me mpesto;
ma po’ rico ‘o rusario,
e chello va pe’ cchesto…
Patre, ‘ncuollo a li femmene
campo, e ncoppa ‘o burdello;
ma sento messe e predeche
e chesto va pe’ chello…
Jastemmo, arrobbo… ‘o prossimo
spoglio e lle dongo ‘o riesto;
ma po’ faccio ‘a lemmosena
e chello va pe’ chesto…
E mo, Patre, sentitela
st’urdema cannunata:
a sora vostra, Briggeta,
me l’aggio ‘nzaponata…
Se vota fra Liborio:
– Guagliò, tu si Taniello?
ì me ‘nzapono a mammeta,
e chesto va pe’ cchello! –
One Reply to “Raffaele Petra – Marchese di Caccavone – ‘A CUNFESSIONE ‘E TANIELLO”
Cà nisciun’è fess. Non la conoscevo; veramente simpatica.