L’emigrazione italiana in Francia

Già nel corso dell’età moderna la presenza italiana in Francia rivelava caratteristiche non molto distanti da quelle che essa avrebbe assunto nel corso della grande emigrazione di fine Ottocento . Nelle sue manifestazioni più diffuse era alimentata da emigranti di tipo stagionale che esercitavano la loro attività di tipo agricolo-pastorale o mercantile tra i due versanti delle Alpi, seguendo i percorsi della mobilità caratteristica delle montagne. Si trattava di un fenomeno assai diffuso in tutto l’arco alpino e in altre aree montane italiane, come in quelle della dorsale appenninica, soprattutto la centrosettentrionale .

A questo tipo di mobilità si accompagnava quella dei viaggiatori, degli uomini d’affari e dei finanzieri, degli intellettuali e degli artisti, degli esuli politici e dei profughi . La presenza di uomini di affari provenienti dalla vicina penisola italiana veniva segnalata già nel corso del secolo XIII nelle fiere commerciali della Champagne, dove i mercanti smerciavano spezie, tessuti e seta, in modo non diverso da quanto facessero nelle Fiandre o nel resto del Centro e Nord Europa.

Nel loro andirivieni questi «emigranti» di élite non solo seppero creare delle importanti relazioni economiche a lunga distanza – basate spesso sulla presenza di parenti, in loco – ma stabilirono anche importanti contatti con i ceti dirigenti locali. Con il declino delle grandi fiere commerciali, a partire dalla seconda metà del secolo XIII, ai grandi mercanti si andarono sostituendo altri protagonisti più legati alle attività finanziarie e al prestito di denaro: gli usurai, dapprima lombardi, poi toscani, piemontesi, liguri e veneti. Privilegiati nell’esercizio della loro attività grazie all’intervento diretto delle autorità pubbliche, gli usurai e i banchieri diventarono i bersagli di quella xenofobia – in questo caso dovuta all’odiosità riservata ovunque all’attività lucrativa legata ai prestiti – che avrebbe assunto dimensioni assai più diffuse dopo i massicci arrivi degli italiani nel corso dell’Ottocento.

A partire dal secolo XV, con l’allargarsi delle richieste di prestazioni artistiche da parte dei sovrani e dei principi, interessati ad aumentare il prestigio dei propri regni, gli italiani in Francia furono rappresentati da quegli artigiani di estrema abilità professionale che gli architetti si portavano al seguito grazie alle loro competenze, talora esclusive, nonché da ben più famosi artisti.

Nel secolo XVII, nell’ancora ristretto mondo degli italiani in Francia furono i musicisti e i teatranti a detenere il primato delle presenze. Accanto ai gruppi di ballo, ai comici, ai più prestigiosi personaggi della commedia dell’arte, si andarono poi affiancando le schiere più nutrite dei buffoni, dei gestori di teatri delle marionette e di altri protagonisti di minore importanza, che si esibivano nei caffè e nelle strade di Parigi.

Accanto a questi percorsi, più visibili per la grande notorietà di alcuni dei personaggi coinvolti, trovarono tuttavia un ben più ampio spazio, già nel corso del secolo XV, non solo le più modeste vicende degli stagionali – manovali o contadini – che furono sempre i più costanti frequentatori, soprattutto delle aree francesi vicine ai confini, ma anche il variegato mondo dei mestieri di strada che dominerà poi nel secolo XIX. Per gli italiani in Francia, infatti, l’epoca dei musicisti mendicanti, degli ambulanti, dei vetrai, dei suonatori di organetto, dei lustrascarpe, degli spazzacamini – ossia di tutto quel pittoresco, malinconico e talora tragico mondo dei mestieri itineranti – è stato soprattutto l’Ottocento. Furono questi personaggi a dare corpo al primo e duraturo stereotipo dell’italiano – come «commediante» e «imbonitore» – costruito dalla letteratura francese e dal senso comune degli autoctoni .

Fino a metà Ottocento l’immigrazione italiana verso il vicino paese fu scarsamente percepita dalla società francese. Gli italiani non erano ancora una presenza quantitativamente ingombrante né costituivano il bersaglio preferito dell’accesa xenofobia che all’inizio del Novecento avrebbe trovato anche una sua espressione letteraria in L’invasion, il romanzo nel quale lo scrittore Louis Bertrand disegnò un altro stereotipo degli italiani destinato a conservarsi a lungo nella società francese: quello di uomini violenti, «accoltellatori» e «ubriaconi». Fu infatti nel 1851, quando i censimenti francesi cominciarono a conteggiare anche gli stranieri, che la presenza italiana fu valutata di una certa consistenza numerica: i sudditi dei vari stati della penisola italiana risultavano allora pari a 63.000, sul totale complessivo dei 380.000 stranieri. Il vero salto quantitativo verso un’emigrazione di massa si realizzò però dopo il 1860, e solo alla fine del secondo impero gli italiani superarono per la prima volta la cifra di 100.000 .

Nel 1876 gli italiani in Francia erano 163.000; nel 1881 il loro numero complessivo era salito a 240.000; mentre all’inizio del nuovo secolo la colonia transalpina avrebbe raggiunto la cifra di 330.000. Nel primo censimento del Novecento gli italiani superarono per la prima volta il numero dei belgi, anche se soltanto nel 1911 diventarono il primo gruppo di stranieri presenti nel paese. A quella data gli italiani costituivano il 36 per cento degli immigrati e oltre l’1 per cento dell’intera popolazione francese. È noto, tuttavia, che ai conteggi dei censimenti sfuggivano proprio gli emigranti di tipo stagionale e temporaneo, che formavano la stragrande maggioranza dei frequentatori del vicino paese d’oltralpe, soprattutto nelle regioni di confine. Gli italiani che varcavano annualmente la frontiera erano valutati infatti attorno ai 30.000.

Paola Corti –  Università di Torino

Fonte: http://www.aspapi.net/Documents/francia-2003.pdf

Molti orsomarsesi sono andati a lavorare in Corsica nel dopoguerra. Nella foto vedete Angelo Bottone, Francesco Cersosimo, Salvatore Bottone e Giuseppe Sofia; del signore a dx non so dirvi.

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