I contadini e la lotta per la terra in Calabria

II territorio in Calabria si estende per un 1.280.000 ettari e, fino al 1950,  484 proprietari ne possedevano 482.000, cioè circa mille ettari per ciascuno, mentre 559.000 ditte possedevano 554.000 ettari e cioè meno di un ettaro per ditta.

Nel 1944 Fausto Gullo, ministro dell’Agricoltura, promosse un’indagine monografica per regioni, sulla Distribuzione della proprietà fondiaria in Italia. L’indagine, svolta dall’INEA, presenta per la Calabria i seguenti dati, riferiti al 1946: mentre fino a 0.50 ettari di superficie abbiamo 327.935 proprietari tra enti e privati, per un totale di 49.342 ettari, i proprietari di oltre 500 ettari sono 262 per un totale di 292.755 ettari. Esaminando i dati per ogni singola provincia abbiamo il seguente quadro: in provincia di Catanzaro lo 0,1% delle ditte ha il 41% delle terre; in provincia di Cosenza il 39%; in quella di Reggio il 38%.

Osservando la situazione in alcune aree particolari, assistiamo a un’ulteriore concentrazione della proprietà fondiaria: in Sila ad esempio lo 0,1% delle ditte possedeva il 51% delle terre, nel Crotonese il 73%.

Già da questi dati, per quanto scarni, si può ricavare un’indicazione di massima sull’articolazione della proprietà fondiaria in Calabria, caratterizzata, da un lato, da un frazionamento che sfiora spesso la polverizzazione; dall’altro, da un’elevata concentrazione che si traduce nell’estensione latifondistica (Baracco e Berlingieri, ad esempio, possedevano da soli circa 30.635 ettari).

Come è noto e come è stato ampiamente ribadito nella storiografia meridionalistica, le cause generali di tale elevatissima concentrazione fondiaria sono da riportare sostanzialmente alle modalità di attuazione delle leggi eversive della feudalità e della vendita dei beni ecclesiastici e all’usurpazione delle terre demaniali.

In questa cornice si situa la richiesta di terra da parte dei contadini, che, com’è noto, già nell’Ottocento aveva condotto a numerosi episodi di occupazione di terre, con lunghi strascichi giudiziari, e che, sul finire degli anni Quaranta, si sviluppa in un ampio movimento di lotta.

Le motivazioni di tale lotta popolare si rifanno alle modalità, già ricordate, della formazione storica della grande proprietà terriera in Calabria e oscillano, anche per l’incidenza della direzione politica, tra la riappropriazione delle terre usurpate e la necessità di lavorare le terre incolte o mal coltivate.

Gli episodi di lotta per la terra nell’Ottocento e nel Novecento, pur con modalità specifiche e in contesti storici differenziati, sono numerosissimi e ricorrenti, tanto che possono delineare una costante storico-culturale della vita contadina calabrese, che si configura, come segno caratterizzante della storia meridionale! Da qui deriva l’impossibilità di procedere a una ricognizione dettagliata di tali episodi, per cui ci limiteremo a ricordarne sommariamente alcuni:

a Calabricata, il 28 ottobre 1945, una contadina, Giuditta Levato, in stato di avanzata gravidanza e già madre di due figli, viene uccisa da un colpo di fucile al ventre, sparatole dalla guardia giurata dell’agrario Pietro Mazza. Giuditta Levato si era recata in compagnia di altre donne su un terreno richiesto in concessione dalla cooperativa di Calabricata, per impedire che  l’agrario facesse arbitrariamente arare la terra desiderata dai contadini.

 A Petilia Policastro, una delle zone dove si era sviluppato con più forza il movimento per la terra, il 13 aprile 1947, alcuni contadini che scendevano da una frazione verso il paese, sono fermati, minacciati e malmenati dai carabinieri. Sette contadini vengono arrestati; alla notizia tutta la popolazione si mobilita e, al passaggio del cellulare, che trasporta i sette arrestati, comincia a protestare contro i carabinieri, i quali, dopo aver esploso alcuni colpi di fucile in aria, sparano sulla popolazione, uccidendo due persone: la contadina venticinquenne Isabella Cavelli e lo spazzino Francesco Mascaro.

A Melissa, il 28 ottobre 1949, reparti speciali della Celere sparano sui contadini che si accingevano a seminare i terreni del feudo Fragalà e che li avevano accolti al grido di «Viva la polizia» e «Vogliamo pane e lavoro»; vengono uccisi i braccianti Angelina Mauro, Francesco Nigro e Giovanni Zito.

Si tratta soltanto di alcuni esempi che possono però, data la disperata frequenza delle lotte contadine, essere assunti quale simbolo della lotta secolare e corale, alla quale partecipano uomini e donne, contadini e braccianti, appartenenti ad altre categorie subalterne e che sarà spezzata soltanto dall’intervento repressivo dello Stato e da una serie di provvedimenti legislativi e amministrativi, atti a contenere la tensione sociale nelle campagne e a scaricarne la conflittualità.

Fonte: UN VILLAGGIO NELLA MEMORIA, di L.M. Lombardi Satriani e Mariano Meligrana, Gangemi

Foto RETE

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