Tortora e Laos dopo la sconfitta di Sibari

Museo di Blanda

Per questa fase, Tortora è il centro archeologicamente meglio noto; le aree di necropoli di San Brancato e delle pendici del Palecastro mostrano una crescita demografica proprio a partire dal 510-500 a.C. e uno sviluppo consistente fino al 470-460 a.C., quando inizia un veloce declino che sembra culminare col450-440 a.C.

Tomba museo di Blanda

Le circa 50 tombe finora disponibili consentono di scorgere proprio intorno al 510 un significativo cambiamento nella composizione dei corredi; la fase più antica, infatti, è documentata da poche tombe con prevalenza di vasellame di tipo enotrio, soprattutto forme per versare, e coppe ioniche; le tombe femminili presentano semplici orecchini e collane in ambra, nella tradizione delle ricche parures enotrie di VII secolo.

Ma è a partire dal 510 che il sito di Tortora vive un cinquantennio di relativo splendore; i defunti si fanno ora accompagnare nell’oltretomba da numeroso vasellame d’importazione attica, a figure nere e, soprattutto, rosse, spesso di buona e ottima fattura; dalla composizione dei corredi emerge chiaramente l’acquisizione della pratica del consumo del vino, documentata inequivocabilmente dall’associazione molto frequente dell’anfora vinaria e del cratere indigeno e dalla presenza di servizi per versare e per bere.

Area-archeologica-colle-Palècastro-antica-Blanda-Tortora

Molto rara la presenza di armamenti, limitata a qualche punta di lancia in ferro in tombe databili alla fine del VI secolo, mentre sono attestate le pratiche atletiche (striglie in ferro e aryballos in cuoio dalla tomba 13) e l’uso del sacrificio carneo (spiedi e alari dalla tomba 78) di chiara derivazione greca. […]

L’area costituita dal bacino del Noce e dalla conca di Castelluccio, gravitante sulla costa allo sbocco delle vallate del Noce e della Fiumarella di Tortora, sbocco dominato dal Palecastro di Tortora, posto proprio tra le foci dei due corsi d’acqua, nella prima metà del V secolo attraversa un momento di particolare fioritura; in tale fase, documentata da numerosi reperti archeologici, sono attestati diversi indicatori di un avanzato processo di “acculturazione” che investe non solo aspetti della cultura materiale, ma anche forme di una coscienza politico-istituzionale più evoluta.

 Alla luce di queste considerazioni non si può non condividere l’ipotesi, formulata un decennio fa da Emanuele Greco, di vedere in questi indigeni della valle del Noce quei Serdaioi ricordati nel noto trattato di Olimpia ed attribuire loro la serie di monete a doppio rilievo a legenda Ser/Serd.

Parallelamente allo sviluppo e alla crescita politica, economica, sociale e civile di questi indigeni, nella piana del Lao si svolge la vicenda di Laos, ora senza dubbio divenuta la sede principale degli esuli di Sibari, come conferma autorevolmente la testimonianza erodotea relativa ai fatti del 494 a. C.

Ben diverso è ora il ruolo di Laos; la città batte moneta, una moneta ancora con tipi e legende sibarite, da attribuire senza dubbio agli esuli. È molto probabile, inoltre, che l’insediamento assumesse ora una certa consistenza, demografica e urbanistica, anche se le ricerche archeologiche e topografiche hanno dato sempre esito negativo.

MARCELLINA – Parco Archeologico Laos

Ho già proposto una possibile ubicazione dello stanziamento sibarita in un’area pianeggiante, delimitata a Nord e a Sud dai tratti terminali e paralleli dei due principali fiumi della piana, il Lao e l’Abatemarco, secondo un modello di città litoranea di pianura e mesopotamica, già adottato per Sibari stessa, disposta lungo la linea di costa tra i tratti terminali del Coscile e del Crati.

Le analoghe condizioni geomorfologiche, una piana alluvionale caratterizzata da un consistente apporto detritico, potrebbero aver causato a Laos lo stesso esito di Sibari e aver determinato l’insabbiamento della città e delle necropoli sotto metri di deposito alluvionale.

Questo insediamento, ancora sconosciuto, sarebbe stato poi occupato dai Lucani, l’eudaimon polis di cui parla Diodoro riferendo le vicende del 389 a. C.; solo nel corso del terzo quarto del IV secolo i Lucani avrebbero stabilito di rifondare la città in un sito maggiormente rispondente alle caratteristiche difensive proprie degli abitati lucani, sull’altura di San Bartolo di Marcellina.

Lo stanziamento massiccio degli esuli di Sibari comporta un immediato ridimensionamento dell’occupazione indigena dello stesso bacino territoriale (l’exploitation area), cosicché l’abitato della Petrosa, che non poteva continuare più a vivere accanto alla Laos dei sibariti, viene abbandonato e si estingue.

Si ripete sul Tirreno, in scala minore, ciò che due secoli prima era accaduto nella Sibaritide: l’arrivo dei Greci e il loro insediamento stanziale comporta l’abbandono dei siti indigeni gravitanti sulla stessa area di approvvigionamento delle risorse.

Non si può escludere, quindi, che vi sia stato anche un rapporto diretto di conseguenzialità tra lo stanziamento dei Sibariti alla foce del Lao, l’abbandono della Petrosa e la crescita demografica, culturale e civile dell’insediamento indigeno del Palecastro di Tortora alla foce del Noce, quale ci documentano i dati relativi alle necropoli.

Di G. F. La Torre

Fonte: LA CALABRIA TIRRENICA NELL’ANTICHITA’, IRACEB –  Atti del Convegno di Rende 2000 – Rubbettino

Foto RETE

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