In qualche posto difficile della mia vita mi è capitato di mettermi a parlare da solo.

In qualche posto difficile della mia vita mi è capitato di mettermi a parlare da solo.

C’è una briciola di conforto nella voce umana e , in mancanza di meglio, va bene anche la mia. Mi rivolgevo al corpo, chiedendogli come riusciva a sopportare. Non mi rispondeva, se ne stava assorto, pronto, paziente.

Ho saputo in quei posti che aveva senso chiedere al corpo. E ho saputo che non ero il suo proprietario, ma l’ultimo inquilino.

Lo avevo ereditato da innumerevoli antenati che lo avevano sperimentato nelle usure di grandiose fatiche, pericoli, ferocie. Era una macchina da combattimento addestrata alle svariate sopravvivenze. Capivo dalla sua pazienza che aveva margini di resistenze inesplorate da me.

In uno dei suoi “Racconti della Kolima “, di lavoro forzato per venti anni in Siberia, Varlan Shalamov scrive all’improvviso :” L’ uomo e’ la bestia piu’ forte che esiste in natura”. Non ho la sua competenza fisica, ma gli credo. Nascendo si eredita oltre alla propria vita anche l’immenso tempo precedente della specie umana. Sta nelle ossa, nei nervi, nei sensi, nell’ ossicino detto labirinto che dall’interno dell’orecchio governa l’equilibrio. So di abitare un animale antico e di arredarlo con quello che mi capita vivendo.

Come un vecchio appartamento di Napoli, l’ ho trovato già pieno di fantasmi, incubi, tarantelle, orchi e principesse che avevano lasciato impronte precedenti. Potevo imbiancarle ma non cancellarle.

Mi accorgo del corpo, della sua indipendenza da me quando si trova allo stremo. Allora è bene per me ammutolire i pensieri e starmene in ascolto. All’inizio avverto l’andatura automatica della macchina cuore/polmone, seguo il sangue che viaggia per biforcazioni fino all’estremità dei capillari. Da lì rimbalza e torna indietro. Proseguo la discesa negli organi, infine nelle ossa. A quel punto della percezione sto rannicchiato, minuscolo dentro un’immensa fabbrica che esegue un suo spartito di lavorazioni. Il corpo batte musica pure dentro il dolore, nello sfinimento. E’ indifferente all’ultimo inquilino che lo sta abitando. Morire sarà allora sgomberare il locale, rimetterlo alle sue componenti indistruttibili, alla terra, all’aria, all’acqua, al fuoco. La polvere del suolo di cui parla l’opera di creazione dell’Adam, contiene l’energia di una materia viva. Da meridionale cresciuto sopra terre sismiche la riconosco in ogni terremoto.

Questi pensieri mi hanno accompagnato nelle esperienze fisiche della mia esistenza.

Mi hanno assegnato le misure che mi spettano dentro la vastità del tempo e dello spazio. Invece di sgomento mi hanno trasmesso pace, togliendomi un po’ di grasso dalla presunzione di possedere un corpo.

Di Erri De Luca

Fonte: –http://fondazionerrideluca.com/web/il-corpo-abitato/

Foto RETE

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