
Qui la storia verace del calabrese emigrato in Germania e paralizzato dal troppo correre su strade nuove e della ragazza infermiera tedesca che innamorata di lui sano lo curò ferito, e paralizzato, e poi lo raggiunse in Calabria, e…
Bussò bussò
con nocche diacce e secche
ribussò:
la fronte premeva l’uscio screpolato.
La madre teneva l’uscio e batteva « no!
no! »
II figlio dal suo cuscino fiottava « noo… »
…
E pianse l’ultima luce sull’altipiano
nevischio,
e pianse la tedeschina fra il bosco calabro
e il casolare.
Trentasett’ore, treno e corriera, nulla
che fosse il mare:
tenebra illune, lunga,
dalle rotaie franta e rifranta: l’alba,
roccia e ramacci e flussi
gialli, a nevi e basse nuvole
saliva la corriera.
Poi, inerpicarsi, sola, a questa immensa
irta di bosco
sera.
La valigia sua dura, si rannicchiò
a brividire a lacrimare.
Il bosco ritto, il quatto
casolare.
Poi la vecchia aprì l’uscio, poi la scrutò,
poi le toccò la mano, poi l’attirò
nel tremolo di petrolio dell’abituro
al capezzale.
Irsuto,
l’occhio lustro, allucinato.
Ringhiò squittì strogoti baci lo gelò
di baci.
Rantolò, paralizzato:
« Noo…
Ohi mamma, no… »
La secca vecchia nera
immota muta
(ma un’oscillante ombra sul grezzo muro).
Poi la lampa poggiò.
…
Sul fluido rettilineo di Puttlingen
e la rossa Gilera scatenatasi
fracassò, tornava dall’averla
amata, il giovane saldatore di Volklingen
(l’ex bifolco sfuggito alla zolla
dell’Appennino e saltato agli asfalti:
e la Gileraindiavolata e Gretchen
con lui il vento a spezzare,
abbrividente gli bacia la nuca).
Slittò saltò sull’asfalto (or l’aveva
lasciata e baciata baciata e l’aveva…).
E l’infermiera Gretchen lo sbendò
sul tavolo operatorio e lo ribendò:
in cenere di garze il fuoco
della Gilera
spento.
Lo fasciò lo fasciò, ora già madre gli era.
E dopo dieci mesi
non camminò.
Poi ritornò alla roccia dell’altipiano.
(Ma lei gli disse: « Verrò »).
Le quarant’ore, d’autolettiga:
non c’è più il mare
(non serve il mare…)
Disse: « Da te verrò ». Scrisse: «Verrò ».
(Parole)!
Trentasett’ore, treno e corriera, nulla
che fosse il mare:
tenebra lunga,
le nuvolaglie, gialli
meandri,
su fra i dirupi
nevischio
sera.
All’irto bosco, al quatto casolare.
…
… E lui la guarda che calza zoccoli,
son cinqu’anni, che solfa viti,
e beve l’acqua di pozzo e canta
qualcosa canta,
e giù dal campo:
« O Gretchen!… »
La secca vecchia le sciolse il cuore.
E niente più annera,
qua dentro;
e il bosco lungamente
verdeggia,
e sotto – dentro -, solo che cerchi…, il caldo
fiato le fughe infinite del mare
il mare.
…
E lui la guarda dimenticare
la doccia il televisore la luce a sera,
scalda i geloni con le fascine,
dimenticare
visi altre risa
la lingua della madre che scrive: « Torna:
che fai? »
E il paralitico le geme: « Va’ ».
…
Cinqu’anni, ch’essa ribatte: « Sposami ».
La vecchia nera: « Va’, sì…
no… Vai?… »
Che lei risponde: « Andremo
a Lourdes.
Dammi il braccio: così:
noi correremo!
La nostra cascatella fuori Puttlingen…
noi correremo ».
ALBERTO MARIO MORICONI
FOTO: Rete