C’era una volta il contratto di nozze

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Per regolare gli aspetti materiali del rapporto nuziale era infatti consueto fare ricorso a un atto notarile. Alla redazione del contratto di nozze si perveniva dopo una trattativa preliminare fra le famiglie dei futuri sposi, alla quale partecipavano, in qualità di mediatori, comuni amici e parenti, come annota ad esempio nel settembre 1680 il notaio Natale Carvano di Amantea.

La nubenda era generalmente rappresentata dal padre, che si impegnava insieme con la madre alla corresponsione della dote, la cui composizione, qualità ed entità erano estremamente varie a seconda del ceto sociale di appartenenza e degli usi locali e il cui valore complessivo dipendeva dalle condizioni economiche della famiglia.

In genere la dote era composta da corredo, suppellettili, denaro contante e, presso le famiglie abbienti, beni immobili e gioielli. L’apporto nuziale del futuro sposo era costituito dal cosiddetto «dotario o antefato», corrispondente di norma alla terza parte del valore complessivo della dote. Sia la dote che il dotario erano inalienabili, in quanto il loro scopo era quello di garantire la sussistenza della prole. Solo in casi di estrema necessità, ad esempio pericolo di incarcerazione per debiti o di morte per fame, poteva essere consentita dal locale capitano la vendita di beni dotali.

In mancanza di figli, se la moglie moriva prima del marito, questi era abitualmente tenuto a restituire subito la dote ai parenti più prossimi della moglie, che invece, se rimaneva vedova, a seconda delle consuetudini locali, poteva disporre pienamente del dotario o comunque goderne i frutti durante la sua vita e poi restituirlo ai più prossimi discendenti del marito.

Attraverso il matrimonio si potevano rimpinguare patrimoni in dissesto ma era difficile conseguire una promozione sociale. Salvo qualche raro caso, i futuri sposi appartenevano infatti sempre allo stesso ceto.

Al di là dello scopo ben preciso per il quale venivano compilati, per la quantità e varietà dei dati in essi contenuti, i contratti matrimoniali rappresentano quindi un importante documento per una migliore conoscenza di aspetti economici e sociali di realtà locali spesso poco note.

La stessa ripresa economica [in Calabria] di fine Seicento e inizi Settecento è confermata dal raffronto dei contratti di nozze del tempo con quelli redatti nei decenni precedenti, che rispecchiavano nella entità più esigua degli apporti nuziali la grave crisi che si era abbattuta sulla regione.

Da LA CALABRIA, di G. Caridi, Falzea Editore

FOTO: Rete

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