UN GRANDE AMICO DELLA CALABRIA: PAOLO ORSI

«La Calabria, terra vergine ed ancora sotto tanti rispetti inesplorata, io penso racchiuda ignorati documenti storici, monumentali ed artistici della bizantinità. Attorno alla fulgida gemma della Cattolica io ho intrecciato un degno serto di altri cospicui monumenti diruti ed abbandonati. Ho la speranza che altri monumenti del basilianismo si ascondano nelle forre dei bei monti calabresi, dove il basilianismo aveva messo radici così vaste, tenaci e profonde».

(Paolo Orsi, Rovereto, 1927).

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Quando, nel 1890, Paolo ORSI arriva per la prima volta in Calabria, dopo che il Governo gli ha assegnato la competenza archeologica anche di questa regione, oltre che della Sicilia, la storia dell’archeologia calabrese è in pratica ancora tutta da scrivere. L’uomo di Rovereto, forte dei suoi studi filologici viennesi e animato da una passione inesauribile per l’indagine sul campo, si mette subito all’opera; la lunga falcata dei suoi passi esplora palmo a palmo un territorio in larghissima parte impervio e inaccessibile, che nasconde con accanimento i resti delle proprie antiche eredità. Scarni e diruti tesori, difficili da trovare e da vedere, ancor più difficili da interpretare e capire.

Ed è, in primo luogo, la Magna Grecia di Calabria ad emergere, sotto i pazienti e precisi colpi del piccone e negli schizzi tracciati sui taccuini: Locri, Crotone, Cirò, Nocera Terinese, Sibari. Quando, alla metà degli anni venti di questo nostro secolo, Orsi lascia la Calabria, le consegna anche, ben individuato e restituito ad una visibilità prima impensabile, il suo passato greco antico: da quella pietra miliare che è stato il lavoro di Paolo Orsi, nessun archeologo, nessun uomo di cultura, dopo di lui, potrà più prescindere.

Ma l’indagine di Orsi non si è limitata alla Calabria magnogreca. Il suo occhio attento ha colto e selezionato, nel corso delle mille e mille ricognizioni a piedi o a dorso di mulo, anche le testimonianze di periodi più poveri e bui, e per ciò stesso più avari. E grazie a questa attenzione che Orsi arriva alla scoperta (e la parola scoperta mai come in questo caso deve essere intesa nel suo significato letterale) dei patrimoni del basilianesimo calabrese. Con la conquista bizantina e col dissidio religioso fra Oriente e Occidente, Bisanzio tende ad imporre, in Calabria come in Sicilia, una chiesa nazionale greca.

«Il non ancora spento ellenismo – nota Orsi – viene rinfocolato sebbene in forme e concezioni diverse dalle classiche, ad opera soprattutto del monachismo basiliano, che dal VI secolo dilaga su tutto il Mezzogiorno d’Italia, esercitando una profonda azione religiosa ed anche culturale durata per secoli». E così che la Calabria «torna greca per la seconda volta». Ma si tratta di «una pallida ombra» degli splendori antichi; alle grandiose manifestazioni del passato subentra la «miseria bizantina». In questo quadro, il basilianesimo è destinato a rappresentare per secoli «l’unico faro» in grado di tenere accesa «la fede e la fiaccola dell’arte e della cultura» in quella regione.

“Le chiese basiliane della Calabria”

L’analisi di Orsi si concentra dunque su un piccolo novero di luoghi dimenticati: la Cattolica di Stilo, innanzitutto, il monumento più insigne, a cui viene dedicato un attento e pionieristico studio; e poi l’eremo di San Giovanni Vecchio, nei boschi tra Stilo e Bivongi; e ancora lo splendido, scarno gioiello di Santa Maria de Tridetti, nell’impervio entroterra della marina di Brancaleone; o i reperti provenienti da Santa Maria di Terreti, vicino Reggio Calabria, dove, dopo i mille attentati dei terremoti, è stata la mano dell’uomo a procedere ad una «improvvida demolizione», da cui si salvano solo alcuni notevolissimi frammenti di placche, studiati da Orsi e sistemati nel Museo Archeologico di Reggio.

Ma la ricognizione si estende a toccare altri punti cruciali: il Patirion di Rossano, monumento forse tra i più insigni dell’intera regione, cui viene dedicato uno straordinario capitolo; o ancora la Chiesa di Sant’Adriano a San Demetrio Corone, destinata a permanere come un presidio della spiritualità e della cultura di ceppo greco; o infine il «sistema» degli insediamenti basiliani di Santa Severina, dal Battistero, alla Cattedrale vecchia, alla Chiesa di Santa Filomena.

In un contesto privo di altri riferimenti di studio, su una materia che non è specificamente la sua, Orsi – vero gigante della cultura e della sensibilità storico-artistica – riesce in questo libro a lasciare una traccia indelebile. Nel 1929, è il suo amico e sodale Umberto Zanotti Bianco – altro grande esempio di amore per la Calabria – a proporgli di riunire in volume questi studi, e di pubblicarli per i tipi dell’Associazione nazionale per gli interessi del Mezzogiorno. Un volume splendido e raro, anzi introvabile, che oggi si ripropone con le fotografie di allora e con i disegni rilevati dal fedelissimo assistente Rosario Carta, compagno inseparabile di Orsi nelle appassionate escursioni calabresi.

Dal risvolto di sovracoperta de LE CHIESE BASILIANE DELLA CALABRIA, di Paolo Orsi – Donzelli

FOTO: Rete

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