
In questo brano di “Cristo si è fermato ad Eboli”, Levi racconta come i contadini di Gagliano (Aliano) vissero la Grande guerra: una disgrazia imposta dai potenti, sopportata con rassegnazione.
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[…]Sul muro della facciata del municipio, spiccava bianca la lapide di marmo con i nomi dei morti della grande guerra. Erano molti, per un paese così piccolo: quasi una cinquantina: c’erano tutti i nomi delle famiglie gaglianesi, i Rubilotto, i Carbone, i Guarini, i Bonelli, i Carnovale, i Racioppi, i Guerrini, non ne mancava nessuno. Di certo, o direttamente, o attraverso i fratel-cugini o i compari di San Giovanni, nessuna casa era stata senza un morto; e più erano i feriti, i malati, e quelli che avevano combattuto e se l’erano cavata senza danno.
Perché, nelle mie conversazioni con i contadini, nessuno me ne parlava mai, né mai si faceva cenno a quella guerra, né alle imprese allora compiute, né ai paesi visti, né alle fatiche sofferte? Il solo che me ne aveva detto qualcosa era il barbiere-cavadenti; e ne aveva accennato soltanto per mostrarmi come e dove avesse imparato la sua arte, quando faceva il portaferiti sul Carso.
Anche la grande guerra, così sanguinosa e ancora così vicina, non interessava i contadini: l’avevano subita, e ora era come l’avessero dimenticata. Nessuno usava vantare le proprie glorie, raccontare ai propri figli le battaglie combattute, mostrare le ferite o lagnarsi dei patimenti. Se io li interrogavo, rispondevano brevi e indifferenti. Era stata una grande disgrazia, si era sopportata come le altre. Anche quella era stata una guerra di Roma. Anche allora si seguivano i tre colori, che qui sembrano strani, i colori araldici di un’altra Italia, incomprensibile, volontaria e violenta, quel rosso allegramente sfacciato e quel verde così assurdo quaggiù, dove anche gli alberi sono grigi, e l’erba non cresce sulle argille. Quei colori, e tutti gli altri, sono imprese nobiliari, stanno bene sugli scudi dei signori, o sui gonfaloni delle città.
Che cosa hanno a che fare con quelli i contadini?
Il loro colore è uno solo, quello stesso dei loro occhi tristi e dei loro vestiti, e non è un colore, ma è l’oscurità della terra e della morte. Neri sono i loro stendardi, come la faccia della Madonna. Le altre bandiere sono i colori variopinti di quell’altra civiltà, spinta al moto e alla conquista, sulle vie della Storia; e di cui essi non fanno parte. Ma poiché essa è più forte, e organizzata, e potente, essi devono subirla: oggi si moriva, non per noi, in Abissinia, come ieri sull’Isonzo o sul Piave, come prima, per secoli e secoli, dietro i più vari colori, in tutte le terre del mondo.
Da CRISTO SI è FERMATO AD EBOLI, di Carlo Levi – Einaudi
FOTO Rete
One Reply to “LA GRANDE GUERRA E I CONTADINI DEL SUD”
Della grande guerra ho i ricordi dei racconti di mio nonno, Giovanni Aronne. Povero nonno. Parte della sua piu’bella eta’passata nelle trincee. Dormire all’impiedi in quei lunghi fossati coi tanti commilitoni.
Il vento gelido li sferzava e con l’acqua sempre quasi fin sotto al ginocchio. Sopportare i continui bombardamenti che dilaniavano i corpi dei piu’ sfortunati. Tantissimi sono stati i giovani che non hanno aperto piu’ gli occhi. Cosa dire del corpo a corpo con il nemico ? Le baionette ai fucili infilzando i corpi facevano colorare di rosso il terreno. Scene strazianti per chi le ha vissute. Mentre per me bambino solamente appassionanti racconti del nonno. Mai piu’ guerre mi diveva. Chi non ricorda una lapide in una delle pareti del proprio comune in ricordo di coloro i quali non hanno fatto piu’ ritorno nelle proprie case ? Giovani senza colpe mandati al massacro per un conflitto che non gli apparteneva.
Altrettanto terrificante il dopo guerra dei contadini raccontato nel libro di Levi: Cristo si e’ fermato ad Eboli. Grazie professore Cosma, il tuo lavoro ci fa rivivere i nostri ricordi.