SAN NILO A SAN DEMETRIO CORONE

Chiesa di sant’Adriano

Paolo Orsi, di Rovereto, arrivò in Calabria per la prima volta nel 1890 come responsabile dei beni archeologici. Vi rimase fino alla metà degli anni Venti, spendendosi con passione e intelligenza per restituire alle coscienze beni che l’incuria degli uomini e il tempo aveva buttato nel più assoluto abbandono. A lui dobbiamo molto. E’ uno dei grandi benefattori di questa regione.

In questo brano, che prendo dal suo libro LE CHIESE BASILIANE DELLA CALABRIA, parla di san Nilo e della chiesa di sant’Adriano. Può regalare diletto leggerlo.

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Verso il mezzo dell’ampia cerchia di colli, cingenti come immenso scenario la destra del Crati, e che dalla magnifica storica piana salgono gradatamente sino a diventare colla Serra Lunga e colla Crista d’Acri montagne d’oltre mille metri, si erge una strana conica collina, il Monte Santo (altezza m 620), da cui si spiega un imponente panorama, racchiuso a nord dalle creste del Pollino e del Dolcedorme, aperto a levante nell’ampia bocca del luccicante Jonio, conterminato a ponente dai monti, che scendono quasi precipiti al Tirreno. Panorama di infinita bellezza e di grandi memorie storiche, le quali ci riconducono alla misteriosa opulenta Sibari, alla elegante Turio, fino ai rudi tempi basiliani e di S. Nilo. E colle evoluzioni storiche questo paesaggio immobile nelle sue masse e nelle sue linee fondamentali, replicate volte ha cambiata la sua veste. Oggi da S. Demetrio in giù sono castagneti ed oliveti, alternati a macchie boscose, che allietano e nutrono la non densa popolazione; nel lontano passato protostorico selve impervie vestivano le denudate pendici del Pollino, come quelle dei monti dell’opposta sponda del fiume, cingendo di una oscura e densa corona la piana di feracità proverbiale. Cadute Sibari e Turio, spopolata la regione prima fittissima di genti, inselvatichito il terreno, la macchia e il bosco ripresero il sopravvento anche su quei colli, che un giorno avevano profuso le loro ricchezze agricole sulle due famose città.

In questo ambiente selvaggio e semimontano si rifugiava verso la metà del sec. X e vi fondava un monastero una delle più fulgide figure del basilianismo, S. Nilo di Rossano, il feroce asceta, di una austerità senza misura verso di sé, di una ardente carità verso il prossimo; dedito alla vita contemplativa, e pure fiero nemico dell’ozio, operosissimo coi suoi monaci nel dissodare la terra, come nel raccogliere e copiare codici; servo umilissimo agli umili, e di una altera fierezza, nella sua voluta povertà, coi potenti. La sua vita, pubblicata negli Acta Sanctorum dei Bollandisti, alla data 26 settembre, è la fonte più completa che illumina di viva luce l’uomo, il tempo ed il paese in cui egli visse; e che negli ingenui racconti tanta parte racchiude di verità storica e con freschezza sincera espone condizioni di vita religiosa, e di esaltazione fanatica, inconcepibili alla nostra mentalità moderna, e pur degne, nonché di rispetto, di ammirazione.

Chiesa di sant’Adriano

Ma non dell’uomo io debbo occuparmi, sì bene del monumento, che, pur non portandone il nome, ad esso intimamente si collega. E prima di esaminare il monumento, quale oggi, attraverso fortunose vicende, ci è pervenuto, gioverà, per quanto è possibile ed in brevi capi, rifarne la storia, che ci sarà di molto ausilio nella valutazione stilistica della chiesa e delle opere da essa racchiuse.

Verso il 955 S. Nilo fonda un monastero al piede del Monte Santo, dove esistevano già le rovine di una vetusta chiesetta, dedicata ai santi asiatici Adriano e Natalia; e vi dimora circa 25 anni. Ai piedi del Monte Santo, davanti l’attuale palazzina abitata dal preside-rettore del Convitto, sorge un olmo forse millenario, certo plurisecolare col fusto colossale squarciato ed incavernato; un tempo, forse fino a 15 anni or sono, esso era uno degli esemplari più maestosi della sua specie, ma allora esso venne barbaramente rimondato e tagliato nei rami principali, di guisa che le fronde pur rigogliose che ora vediamo sono rampolli degli ultimi lustri. Il venerando albero, che forse vide le origini del cenobio niliano, malgrado la sua decrepitezza con rinnovata vigoria mette sempre nuove fronde. Ed esso si chiama sempre, per tradizione di secoli, l’albero di San Nilo.

Una colonna granitica sormontata da base ionica marmorea si trova poco discosta di là, in un sito detto la Croce, ov’era l’antico parco dei monaci; una tradizione, che ormai va svanendo, dice che qui vi sedesse San Nilo, a riposare dalle fatiche.

Chiesa di sant’Adriano

Più attendibile parmi il ricordo di quella che dicesi la Grotta di San Nilo, in fondo al vallone di Sant’Elia; la si raggiunge dal Collegio in 40 minuti di aspra discesa nel burrone. Qui si osservano ancora gli avanzi di un piccolo santuario eremitico di età imprecisata, perché assai rovinato. Nel fondo di una grotta adattata a cappella vi è un fresco con San Nilo ai piedi del Crocefisso, non anteriore al sec. XVII. Non sono in grado di dire se sotto quell’intonaco se ne celino altri più antichi. In questa appartata solitudine si sarebbe ritirato di quando in quando San Nilo a meditare e far penitenza.

E deplorevole l’abbandono e gli sfregi continui cui è esposto questo storico e suggestivo avanzo, in mezzo ad una natura selvaggia, che ben poco ha cambiato dai tempi niliani. Il Municipio di San Demetrio dovrebbe sentire dovere di meglio tutelarlo e di facilitarne l’accesso.

Nel terzo quarto del sec. X chiesa e monastero vengono distrutti in una delle tante incursioni arabe, che in quel tempo funestarono la Calabria. Verso il 980 un altro basiliano, S. Vitale da Castronovo, fa risorgere chiesa e monastero dalle ruine; il monastero sale presto a tanta fama, che persine l’emiro di Palermo ne garantisce la immunità contro futuri pericoli munendolo di suoi contrassegni di protezione. I Normanni lo proteggono del pari e lo dotano lautamente; possediamo un doc. 1991 con cui il conte Ruggero dona il detto monastero a Pietro abate della Cava; l’arciv. Romano di Rossano rappresenta il conte alla firma del diploma. Nel sec. XIV esso è dichiarato archimandritale, con giurisdizione anche civile sulle terre circostanti. Dal sec. XV anche il monastero di Sant’Adriano segue la decadenza materiale ed intellettuale degli istituti del già glorioso ordine; finché nel 1794 Ferdinando IV lo sopprime, assegnando così il fabbricato come le rendite al collegio greco-albanese di San Benedetto Ullano. Datano da quest’anno i maggiori danni al vetusto edificio, già scosso dai terremoti. A metà del sec. XIX scompare la facciata. […]

Chiesa sant’Adriano

La perdita della facciata avvenuta ai tempi del rettore Vinc. Rodotà (circa 1856) corrisponde a quella delle vetuste absidi semicircolari e della cupola; distrutte interamente quelle, spostata e rifatta questa entro il sec. XVIII.

Passata la chiesa e il collegio in mano dell’amministrazione italiana dell’Istituto italo-albanese (a datare dal 1900, commissione Scalabrini) non furono soverchie le cure ed i riguardi allo storico monumento, anche per l’assenteismo completo di ispettori delle antichità e belle arti, che dessero norme, imponessero vincoli. È così che il monumento rimase completamente inedito sino ad oggi. Se nulla fu demolito o trasformato, non si andò tanto per il sottile nel dealbare mura, stipiti ed archi in pietra viva ed in marmo. Soltanto nei tempi recentissimi è stato posto un freno a questo barbaro costume, pur troppo diffuso in tutto il Mezzogiorno.[…]

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Da  “LE CHIESE BASILIANE DELLA CALABRIA”, di Paolo Orsi – Meridiana Libri

FOTO: Rete

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