Miti matriarcali: le Amazzoni e le Lemnie

 

 

 

I sostenitori della tesi matriarcale hanno spesso basato le loro affermazioni (o quantomeno le hanno appoggiate) sull’interpretazione di alcuni miti, nei quali sarebbe adombrato il ricordo di situazioni in cui il potere, anche politico, sarebbe spettato alle donne. E tra questi miti stanno, in primo luogo, quelli delle Amazzoni e delle Lemnie.

Le Amazzoni, è ben noto, erano un popolo di guerriere, presso le quali gli uomini erano ammessi solo in condizione di schiavi. Esse generavano figli unendosi a degli stranieri, e al momento del parto uccidevano i figli maschi o, secondo un’altra tradizione, li accecavano. E alle figlie femmine (perché potessero meglio guerreggiare, maneggiando senza impaccio arco e lancia) tagliavano un seno: donde, appunto, il nome di Amazzoni, da a-mazos, senza seno.

Le Lemnie, invece, avevano dei mariti. Ma, avendo offeso Afrodite, erano state punite dalla dea: colpite da un terribile cattivo odore (dysosmia), erano state rifiutate dai loro uomini, rifugiatisi fra le braccia di giovani e più piacevoli schiave tracie. Le terribili Lemnie allora, per vendicarsi, avevano sgozzato tutti i maschi dell’isola, e da quel momento Lemno era diventata una comunità di sole donne, governata dalla vergine Ipsifile. Un giorno, però, sulla nave Argo era arrivato Giasone, ed era stata la fine del potere femminile: gli Argonauti si erano uniti alle Lemnie (il cui cattivo odore era scomparso nel momento in cui avevano accolto gli uomini); Giasone aveva sposato la regina Ipsifile, e da quel momento, per ricordare l’avvenimento, a Lemno veniva celebrata periodicamente una festa, il cui rito riproduceva gli avvenimenti.

Ma vediamo di leggere con un minimo di attenzione i fatti: innanzi tutto, sia le Amazzoni sia le Lemnie erano donne crudelissime, le Lemnie addirittura selvagge, al punto di divorare “carne cruda”. Sia le Amazzoni sia le Lemnie, inoltre, erano comunità di sole donne: in nessuno dei due racconti, quindi, le donne regnano su una società normalmente composta di uomini e donne, come vorrebbe il matriarcato. E, per di più, se il regno delle Amazzoni è indeterminato nel tempo, quello delle Lemnie è limitato a un periodo per così dire patologico della vita del gruppo, e come tale destinato a sparire non appena, con gli uomini, si fosse presentata la possibilità di tornare alla normalità.

Anziché rappresentare un momento di potere matriarcale, questi miti sembrano insomma voler piuttosto “esorcizzare” l’idea di un eventuale potere femminile. E di recente, del resto, sono stati oggetto di interpretazioni ben diverse da quella ottocentesca, che su di essi fondava una ricostruzione storica. Il mito delle Amazzoni, in particolare, è stato letto come la rappresentazione mostruosa, fatta dai greci, di un mondo barbaro e selvaggio, opposto alla “cultura”: non a caso – dunque – composto da sole donne. Il rito nel quale era rappresentato il mito delle Lemnie, ad esempio, è stato interpretato come uno scarico “catartico” della tensione fra sessi, che avrebbe avuto la funzione di impedire che questa tensione si trasformasse invero e proprio conflitto. Molto significativo, inoltre, il fatto che le donne di Lemno, fino al momento in cui non accolsero di nuovo gli uomini, fossero accompagnate da un cattivo odore.

Anche durante la festa delle Tesmoforie, in piena epoca classica, ad Atene, le donne, separate dagli uomini, emanavano cattivo odore: leggero, in questo caso, perché la loro separazione dagli uomini era temporanea. Ma a Lemno, dove la separazione (almeno nelle intenzioni) doveva essere definitiva, l’odore era addirittura nauseabondo. Né mancano altri miti che segnalano la innaturalità della separazione dall’uomo: come ad esempio il mito delle figlie di Proitos, che avevano rifiutato di prendere marito, pur essendo state chieste in moglie da tutti i greci (panellenes). E per aver così disprezzato Era (la dea protettrice del matrimonio) e Dioniso (il dio iniziatore), erano state colpite da una malattia per cui perdevano i capelli, e la loro pelle era coperta da macchie bianche: il cattivo odore (o altra sanzione) colpiva insomma regolarmente il rifiuto dell’uomo, segnandone l’aspetto patologico e negativo.

 

EVA CANTARELLA

Da “L’AMBIGUO MALANNO”,  di Eva Cantarella – Feltrinelli

Foto: Rete

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