Siti rupestri in Calabria

Grotte di Verzino

 

 

Dopo la conquista della Spagna, padroni del Mediterraneo, i Saraceni presero di mira la Calabria e la Sicilia. La nota più significativa è che, per il momento, questa presenza ebbe un carattere occasionale. Gli Arabi (Aglabiti) non hanno mai pensato seriamente ad una eventuale conquista di queste due parti importanti dell’Impero Bizantino. I loro obbiettivi immediati rimasero, almeno in questa fase, l’incursione, la razzia e l’eventuale bottino. Dal canto loro, Sicilia e Calabria risposero a queste incursioni con una ulteriore dispersione delle popolazioni in un “habitat” sparso ed in rifugi momentanei come “grotte”, “cave” o “spelonche”.

Nei momenti di grandi difficoltà il vivere in “grotte” fu una scelta di sicurezza. In ogni caso per il mondo calabro-bizantino, come del resto per la vicina Sicilia, oppure per la Spagna visigotica, non tralasciando la Cappadocia, «l’habitat rupestre ebbe una certa diffusione anche con tipologie di carattere castrale». Ad essere più precisi questo movimento ebbe una particolare diffusione nel momento in cui i monaci bizantini furono costretti a lasciare i tenitori conquistati dagli Arabi e quindi dalla Siria, dalla Palestina e dall’Africa in genere i monaci melchiti di lingua greca incominciarono ad emigrare nella vicina Sicilia ed in Calabria. Se a quanto detto si aggiunge inoltre l’iconoclastia si capisce il perché di questo esodo di massa, che ha trovato sulle alture di queste regioni, in Calabria ed in Sicilia, un terreno fertile per poter professare questa religiosità tanto perseguitata nell’area dell’Impero. Questi monaci e romiti in genere si erano riversati nelle province siciliane dal momento che ivi le leggi contro le “immagini” erano molto tolleranti o nella maggior parte dei casi non erano neanche applicate.

Grotte di Petilia

 

Il rifugio in Sicilia fu tuttavia un fatto momentaneo, poiché, quanto prima, anche l’isola sarà oggetto di conquista da parte degli Arabi e quindi un ulteriore esodo verso la Calabria caratterizzerà la vita non solo di questi monaci ma di intere comunità greche, che andranno a ripopolare centri ormai fortificati della vicina regione. È il caso per esempio di Gerace, Gretteria, Rossano, Seminara, Santa Severina ecc., […]. Il caso più significativo è caratterizzato dalla rioccupazione del sito pantalico in Sicilia di cui ci parla Maurici, sulle indicazioni di H. Bresc, e sempre su quelle indicazioni «si può affermare con diritto l’idea di una civiltà rupestre che caratterizza la Calabria e la Sicilia nel periodo pre-normanno. In effetti la toponimia ci aiuta a comprendere questo processo. Sulla base delle ricerche più attendibili è doveroso insistere su quella serie di prefissi con “grotte”, “spelonche”, “pietre”, come anche su quei toponimi di origine araba, ghar, oppure ghurfa, tradotto in latino con camera, così numerosi nella toponomastica siciliana ed anche calabresi. In Calabria registriamo infatti Grotteria = cripta-aurea anche se, in merito, diviene più attendibile la tesi di G. Rohlfs secondo il quale: «l’ipotesi di cripta-aurea non regge; è più probabile che l’etimo più originario sia Αργιορθήρα, e su questa base si approda piuttosto ad αγριος, = selvaggia e  θή = caccia».

Grotte di Casabona

 

Ma numerose, come si diceva, sono le località che hanno come prefisso quanto sopra. E così proseguendo incontriamo Sperlonga, antico nome della odierna Brancaleone (provincia di RC); Spilinga, contrada in comune di Gioiosa Ionica, ma anche nel comune di Borgia (CZ) ed inoltre in Santa Severina, Rizziconi, Ardore marina, S. Luca; per non tralasciare Grotta di Spilinga (CZ) e Grotta di San Leo (Tropea, VV)17. Diviene altresì d’obbligo fare un piccolo riferimento alle numerose località che hanno come prefisso Pietra. Così ad es. Pietracappa (San Luca – Natile di Careri), Pietrapennata (Palizzi, RC)18. Segnaliamo infine le numerose località nella provincia di Catanzaro, di Vibo Valentia, di Cosenza e di Crotone come per es. Petrizzi (CZ), Petronà, Pietracupa (Guardavalle, CZ), Pietrafìtta, Pietramala, Pietrapaola, Petriccia. [Ad Orsomarso Vadda’a Petra, Petra Campanara, Petra u Gaddo, Petra sirena].

Grotte di Zungri

 

Questa civiltà rupestre rimanda, dunque, a questo strettissimo nesso tra l’Italia meridionale e la Val di Noto come anche ai castelli rupestri del massiccio berbero dell’Africa del Nord e della Cappadocia e per dirla con Bresc: «molti feudi conservano o prendono il nome che evocano la presenza di grotte; Grutti-Bosca (Misilindo); Grotte di Leo nei dintorni di Siculana; Grotta-Perciata, presso Canicattì; Grotta-Calda (Valguernera), Grotta di S. Spirito (Palermo) Grotta di San Michele etc.». Questo contesto è arricchito da una serie di documenti come per es. una donazione di Tancredi di Siracusa alla chiesa di Bagnara: nei confini «per ecclesiam ubi est fons in cripta»; «cum istis criptis eidem terre adiacentibus quae sarracenice dicuntur Darbenkaleph»; oppure un’altra donazione del conte Ruggero al Monastero San Salvatore di Messina; «della chiesa San Giovanni Battista di Psychrò (Fiumefreddo); nei confini di «gructam Nichomedi».

Grotta dell’Angelo – Orsomarso

 

Non bisogna infine dimenticare l’ambiguità della funzione dell”‘abitato rupestre”: la grotta consente di garantire una presenza umana nei siti impervi e difficili; al contempo la grotta, oppure il rifugio sotto le rocce, le catacombe abbandonate sono stati luoghi in cui hanno dimorato i pastori con le loro greggi ed hanno pertanto umanizzato il paesaggio.

Comunque, allo stato attuale, uno studio sistematico su questi siti rupestri in Calabria non è stato ancora fatto.

DOMENICO ANGILLETTA

Da “CASTELLI, CHIESE, ABBAZIE NEL GIUSTIZIERATO DI CALABRIA” – di Domenico Angilletta – cittàcalabriaedizioni

Foto: Rete

 

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