«S’i’ fosse foco, arderei ‘l mondo»

Giullari

 

È il testo più famoso di Cecco, in cui l’autore sfoga il suo malanimo contro il mondo augurandosi di poter seminare distruzione e coinvolgendo nella sua “furia” anche i genitori, rei di non dargli abbastanza denaro per i suoi stravizi (come detto in altri sonetti). Il tono è probabilmente più scanzonato che iroso e il componimento, lungi dall’essere l’espressione di un poeta asociale e “maledetto” come parve ai critici ottocenteschi, sembra piuttosto un “divertissement” letterario in cui Cecco strizza l’occhio al lettore, come risulta anche dall’elaborazione retorica.

 

S’i’ fosse foco, arderei ’l mondo;

s’i’ fosse vento, lo tempesterei;

s’i’ fosse acqua, i’ l’annegherei;

s’i’ fosse Dio, mandereil’en profondo;

 

s’i’ fosse papa, sare’ allor giocondo,

ché tutti cristïani imbrigherei;

s’i’ fosse ’mperator, sa’ che farei?

A tutti mozzarei lo capo a tondo.

 

S’i’ fosse morte, andarei da mio padre;

s’i’ fosse vita, fuggirei da lui:

similemente farìa da mi’ madre.

 

S’i’ fosse Cecco, com’i’ sono e fui,

torrei le donne giovani e leggiadre:

e vecchie e laide lasserei altrui

Francesco Angiolieri, detto Cecco (1260 circa-1313)

 

Interpretazione complessiva

Il sonetto ha schema della rima ABBA, ABBA, CDC, DCD e presenta una notevole elaborazione retorica: i primi quattro versi sono altrettanti periodi ipotetici, in ciascuno dei quali pròtasi e apòdosi corrispondono ai due emistichi dell’endecasillabo, mentre nella seconda quartina i periodi si distendono per due versi; è presente l’anafora “S’i’ fosse” ripetuta in tutto nove volte, in tutta la prima quartina, ai vv. 5 e 7 della seconda, ai vv. 9-10 della prima terzina e nel primo verso della seconda terzina (la struttura è perciò simmetrica). Nei vv. 1-4 Cecco usa la figura della personificazione e cita tre elementi naturali (fuoco, aria, acqua) riassunti poi dall’immagine di Dio, mentre nei vv. 5-8 si identifica con le due autorità “universali” del Medioevo, il papa e l’imperatore; nei vv. 9-11 vi è l’antitesi morte… andarei / vita… fuggirei in parallelismo, mentre i termini padre / madre (anch’essi in opposizione) sono entrambi in posizione di rima, all’inizio e alla fine della terzina. Negli ultimi due versi c’è un’ulteriore antitesi (donne giovani e leggiadre / vecchie e laide, torrei / lasserei), con struttura a chiasmo (verbo-oggetto-oggetto-verbo). L’ultima ipotesi, “S’i’ fosse Cecco”, è l’unica realistica e riporta il discorso su un piano più modesto dopo le immagini paradossali delle prime tre strofe.

Il testo si presenta come una burla irriverente e un gioco letterario in cui Cecco ammicca al lettore, come si deduce dal finale del sonetto: dopo aver formulato ipotesi manifestamente assurde, l’autore conclude dicendo di essere solamente Cecco e di voler ricercare i piaceri materiali della vita (prendere le donne belle e giovani), che è la sola cosa possibile quando ha denari a sufficienza (l’accenno alla agognata morte dei genitori è una spia delle sue difficoltà economiche, lamentate in altri sonetti a causa dell’avarizia del padre e della madre. Alla fine il poeta riporta il discorso sul piano banale della quotidianità e facendo in fondo dell’autoironia, in quanto dopo aver desiderato di bruciare il mondo deve accontentarsi di sedurre qualche giovane popolana, quando non è al verde.

Cecco si rifà qui al genere poetico dell‘improperium e dell’invettiva che aveva già un illustre precedente nei Carmina burana della tradizione goliardica mediolatina, nonché vari esempi nella poesia comico-realistica in Toscana, con Rustico di Filippo e lo stesso Dante della “tenzone” con Forese Donati. La differenza è che il poeta senese non rivolge il suo attacco verbale a un avversario politico o a un interlocutore particolare, bensì all’umanità in genere e poi ai genitori, demistificando la carica polemica dei suoi versi (per quanto spesso anche l‘improperium vero e proprio fosse da intendersi in senso giocoso e non sempre malevolo).

 

FONTE: https://letteritaliana.weebly.com/si-fosse-foco.html

FOTO: Rete

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