Ci volle molto tempo al cristianesimo per conquistare le campagne

 

Ci volle certamente molto tempo al cristianesimo per conquistare le campagne e convenire quei pagani che erano i contadini. Ma ben presto nelle foreste si stabilirono i monaci e le esorcizzarono dissodandole. Accadeva che dove prima erano stati dei boschi sacri venissero fondati monasteri. Nella prima metà del sesto secolo, Benedetto da Norcia andò a stabilirsi con i suoi compagni sul monte Cassino, sulla cima del quale in mezzo a una folta foresta che era un antico nemeton s’innalzava un tempio di Apollo. È probabile che san Benedetto non fosse il solo a «purificare» la zona, sostituendo al culto degli «idoli» quello dell’unico Dio. Nella stessa epoca, in Irlanda, Columba costruiva il suo primo monastero nella radura di un bosco sacro.

In fondo ai boschi di alberi immensi vivevano anche gli eremiti (dal greco érémos, che indica un luogo deserto), a imitazione degli anacoreti (quelli «che si ritirano in disparte»), antenati di ogni monachismo. Colui che poi sarebbe stato chiamato il « primo eremita », san Paolo, contemporaneo di Costantino, fuggì il mondo per andare a vivere nel deserto della Tebaide, nell’Alto Egitto, poco prima di sant’Antonio, « padre dei monaci ». Paolo abitava accanto a una palma ai piedi della quale scorreva una sorgente, e si confezionò un indumento con le foglie dell’albero. Avendo appreso da un sogno che qualcuno lo aveva preceduto, Antonio volle fargli visita.

Mentre lo cercava nelle foreste, incontrò prima di tutto un centauro, per metà uomo e per metà cavallo, che gli disse di andare dritto. Incontrò poi un animale che portava dei datteri e che nella parte superiore del corpo assomigliava a un uomo, ma aveva ventre e piedi di capra. Antonio gli chiese chi fosse: quello rispose di essere un satiro, cioè una di quelle creature che i pagani credevano dei delle foreste. Da ultimo, sant’Antonio incontrò un lupo che lo guidò fino alla cella di san Paolo.

Queste solitudini — e il nostro racconto precisa che erano silvestri — continuavano quindi a esser popolate da divinità pagane; qui, esse non hanno niente di ostile, anzi si dimostrano compiacenti. Quanto alla tentazione che assale sant’Antonio, scena che ha infiammato l’immaginazione di tanti artisti, essa assomiglia molto da vicino al sabba delle streghe.

Nel Medioevo, esseri un tempo divini vivevano ancora al riparo nei boschi. La Chiesa non era riuscita a esorcizzarli tutti. Ne aveva convertiti taluni, è vero, che diventarono in certi casi anche santi, altri li aveva ricoperti di una «patina cristiana» che li rese irriconoscibili, ma ne restavano ancora: erano troppo numerosi e alcuni di loro erano irriducibili. Questi avevano mantenuto l’aspetto antico: il Satana del Sabba, dotato di corna, con corpo peloso e zampe da capro, era il dio Pan; fauni, silvani e satiri divennero diavoli inferiori, « incubi », quei demoni che prendono possesso delle donne (le streghe) durante il sonno.

In un brano del De Civitate Dei, sant’Agostino accenna ai « silvani e fauni che il popolo chiama incubi ». Nei boschi essi avevano i loro adepti, streghe e stregoni. Sia le une che gli altri costituivano un vero pericolo per i cristiani, in quanto rappresentavano le forze istintive che il cristianesimo obbligava a reprimere, più che a disciplinare.

La strega e lo stregone nacquero, in paesi cristianizzati, dalla credenza in Satana propagata dalla dottrina pastorale: ne erano i seguaci. « La funzione principale dello stregone, come dice il suo nome, era di fare stregonerie a coloro ai quali, per qualsiasi motivo, voleva male. Su di loro invocava la maledizione dell’Inferno, come il prete invocava la benedizione del Cielo, trovandosi in ciò in assoluta rivalità con il mondo ecclesiastico ».

Soprattutto nella foresta — della quale il clero diceva: « Aures sunt nemoris (I boschi hanno orecchie) », usando la parola nemus che indica il bosco sacro, il nemeton celtico — si correva il rischio di trovarsi tutt’a un tratto di fronte agli antichi dei, non solo perché vi si erano rifugiati davanti all’avanzata del cristianesimo, ma perché erano creature silvestri per natura. Il terrore suscitato dalla loro apparizione, o anche da un rumore sospetto, da una luce insolita che ne denunciava la presenza, altro non era che quel « panico » che ben avevano conosciuto gli antichi; la parola è infatti greca e indicava l’improvviso e irresistibile spavento che s’impadroniva di chi, in luogo isolato, lo credeva frequentato da Pan. Il dio cornuto turbava l’animo, perché in lui si condensava la sessualità bestiale, senza freni e per di più contagiosa; per questo, Pan era capace di tutto. Il suo nome, che significa appunto « Tutto », gli era stato dato dagli dei, non solo perché entro -una certa misura tutti gli esseri viventi gli assomigliavano con la loro avidità, ma anche perché impersona l’energia genetica che anima l’universo e che è il Tutto della vita, la sua stessa origine.

 

JACQUES BROSSE

In “Mitologia degli alberi” – BUR

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