Tra la fine degli anni Quaranta e la metà degli anni Cinquanta assistiamo in Calabria ad una serie di grandi lotte contro il latifondo e per la distribuzione della terra, una grande epopea contadina che portò il Meridione alla ribalta delle cronache nazionali.
Occupare le terre incolte non era certo una novità per le popolazioni agricole meridionali, ma un’abitudine tollerata: le terre incolte erano coltivate a prodotti destinati al diretto consumo degli occupanti; quella che è passata alla storia come occupazione delle terre, però, fu un’altra cosa: contadini e braccianti, spinti dalla fame e dal bisogno e abbandonati dallo Stato, decisero che era giunto il momento di farla finita con i latifondisti assenteisti, che se ne stavano comodi in città e non si curavano minimamente di quello che accadeva nella loro terra, e che era giusto rivendicare un diritto, terra e lavoro.
Le prime occupazioni si caratterizzarono per quelli che saranno definiti, poi, scioperi al contrario: invece di non lavorare, si lavorava; sottolineando, così, una spontanea presa di posizione dei braccianti di fronte alle insufficienzedello Stato.
Contadini e braccianti arrivavano sulle terre da occupare e cominciavano a lavorarle; tiravano via le sterpaglie e gli spuntoni di roccia, falciavano e pulivano ovunque, poi impugnavano la zappa e cominciavano a coltivare il terreno.
I contadini partivano all’alba dalla piazza del paese in sella a cavalli e muli; con il morsiello, il fucile da caccia, le bandiere rosse e quelle tricolori, i cartelli e qualche fisarmonica; sotto un sole cocente arrivavano su terreni secchi e aridi e lavoravano per ore e ore per poi tornare il giorno dopo.
Spesso i tirapiedi dei padroni andavano sui campi appena seminati e distruggevano il lavoro di una giornata; contadini e braccianti non si perdevano d’animo, ritornavano a zappare, recuperavano il lavoro perduto; la sera, poi, le piazze del paese ospitavano le manifestazioni della Federterra, gremite di braccianti: comizi, spintoni, spallucce e anche danze e canzoni popolari; il giorno dopo, di nuovo al lavoro.
Le lotte che si svilupparono in tutto il Meridione d’Italia, furono senza dubbio ispirate dalla legislazione del Ministro dell’Agricoltura, il comunista Fausto Gullo, il cosiddetto ministro dei contadini, che con una serie di decreti che vanno dal luglio 1944 in poi, tentò di spezzare l’equilibrio esistente nei rapporti di classe nel Meridione; essi costituirono, secondo Paul Ginsborg, “… il solo tentativo attuato dagli esponenti governativi della sinistra di avanzare sulla via delle riforme..”.
La legislazione Gullo fu molto complessa, ma i suoi aspetti principali possono essere così riassunti: riforma dei patti agrari in modo da garantire ai contadini almeno il 50 per cento della produzione che andava divisa; permesso di occupazione dei terreni incolti o mal coltivati rilasciato alle cooperative agricole di produzione; indennità ai contadini per incoraggiarli a consegnare i loro prodotti ai magazzini statali, ribattezzati granai del popolo; proroga di tutti i patti agrari per impedire ai proprietari di sbarazzarsi nell’anno successivo dei loro fittavoli; proibizione per legge di ogni intermediario tra contadini e proprietari, così da eliminare nel Mezzogiorno agricolo losche figure quali i malfamati gabellotti.
Il pensiero del ministro comunista, seppur utopistico sotto molteplici aspetti, provocò una intensa risposta dei contadini meridionali che per la prima volta, e forse l’ultima, furono presi in considerazione da uno Stato sempre più lontano, che impose loro di organizzarsi in cooperative e comitati per poter usufruire dei benefici previsti, determinando in questo modo il più robusto incentivo a una loro azione collettiva che li fece uscire dall’isolamento e dette alla legislazione un tocco di genialità.
Il primo decreto Gullo prevedeva la concessione di terre incolte o malcoltivate per un periodo di quattro anni alle cooperative contadine che ne avessero fatto richiesta.
In caso di mancato bonario accordo, la decisione sarebbe spettata a una commissione presieduta dal Prefetto e composta inoltre da un rappresentante dei proprietari terrieri e da uno delle organizzazioni contadine.
Tra il 1944 e il 1949, 1187 cooperative, per un totale di circa 250 mila braccianti, ottennero oltre 165 mila ettari di terreno nel Meridione d’Italia.
Malgrado questa mobilitazione straordinaria, però, il movimento si concluse complessivamente con una sconfitta: molti dei punti più radicali del programma di Gullo non furono mai applicati, altri applicati solo localmente e temporaneamente.
La causa politica di questa sconfitta è da trovare principalmente nell’ostilità alla legislazione Gullo di Dc e Pii, che imposero una serie di modificazioni essenziali allorché i predetti decreti arrivarono per l’approvazione in parlamento: la più importante riguardò la composizione delle commissioni locali che dovevano decidere sulla legittimità delle occupazioni delle terre: queste dovevano essere composte dal presidente della Corte d’Appello, da un rappresentante dei proprietari e da uno dei contadini.
Così, a meno che il magistrato fosse insolitamente illuminato, condizione difficilmente verificabile nel Mezzogiorno di quel tempo, vi era una maggioranza precostituita contraria ai contadini. Le statistiche sintetizzano brutalmente cosa significò questo.
Ma gli oppositori della riforma agraria non avrebbero comunque trionfato senza l’arrendevolezza della dirigenza comunista; lo stesso Togliatti accolse con favore i decreti Gullo e la massiccia mobilitazione contadina che ne seguì, ma solo fino a quando non misero in pericolo l’alleanza con la Dc, che comunque significava il governo del Paese.
Al quinto Congresso del Pci il Migliore sostenne l’importanza di difendere le piccole proprietà contadine e di attaccare il latifondo; costituire un ente nazionale delle cooperative e proporre l’assegnazione delle terre a cooperative di conduzione; ma quando il movimento contadino mise in discussione la legge, l’ordine, il diritto di proprietà e cominciò a confrontarsi con la Dc sulla politica statale nel Mezzogiorno, il sostegno del Pci allo zelo riformatore del proprio Ministro dell’Agricoltura venne meno.
Anche la sinistra della Dc tentò di elaborare una strategia di mobilitazione tra i contadini in lotta, per tentare di costruirsi uno spazio tra le sinistre comuniste e socialiste.
Una grossa mano la fornì il nuovo Ministro democristiano dell’Agricoltura, Antonio Segni, egli stesso proprietario terriero, che svuotò in parte la legislazione Gullo con i decreti del settembre 1946 e del dicembre 1947, che davano ai proprietari il diritto di reclamare la terra se i contadini avessero violato le condizioni alle quali era stata concessa; e così, non appena le sinistre furono estromesse dal Governo, questa clausola fu usata dai proprietari per intraprendere una vasta offensiva legale contro le cooperative contadine e molta della terra conquistata nell’inverno 1946-’47 fu perduta l’anno successivo.
Segni rassicurò i latifondisti meridionali e nelle elezioni dell’aprile 1948 la Dc recuperò gran parte del terreno perduto.
Il Pci accusò il colpo e Togliatti prese le distanze dalla logica localistica che aveva ispirato il quinto congresso del suo partito, sostenendo che: “… Il problema agrario è uno dei più gravi fra quelli che la Repubblica deve affrontare e risolvere […] quando sorgono problemi nuovi dalle masse come la necessità della occupazione delle terre per esempio, noi non possiamo non esprimere queste nuove aspirazioni e farle sentire in modo urgente e in una forma che è di pressione…”.
Tale strategia s’incontrava con un’analoga evoluzione all’interno della sinistra Dc, che condivideva il giudizio negativo del Pci nei confronti dell’applicazione dei decreti Gullo, ostacolati a più riprese dai proprietari terrieri.
Fu De Gasperi a far emergere le differenze esistenti tra la Dc e il Pci, ponendo l’accento su valori quali legalità e rispetto del diritto di proprietà, che andavano acquisendo un chiaro significato politico.
Il risultato elettorale del novembre, che vide la crescita delle sinistre e di movimenti come l’Uomo qualunque, mise definitivamente in crisi l’intesa tra Dc e Pci.
Analizzando l’evoluzione dei progetti di riforma agraria è possibile affermare che mentre la Dc si muoveva in un’ottica più conservatrice nel rispetto dei principi di tutela della proprietà privata, il Pci credeva ancora nella possibilità di incidere sull’attività legislativa del governo appoggiandosi al movimento contadino.
Nell’ottobre 1949 i contadini calabresi marciarono ancora una volta sui latifondi, rivendicandone, questa volta, il pieno possesso.
In quell’anno si verificò il più grande movimento di occupazione delle terre registratosi in Italia: coinvolse tutti i paesi della provincia di Cosenza, si allargò in altre province e culminò con l’eccidio di Melissa.
La situazione nazionale era meno favorevole rispetto a quando la sinistra era ancora al Governo; pur tuttavia, la mobilitazione del 1949 superò ogni aspettativa degli organizzatori. Il governo rispose con misure repressive straordinarie: arrivarono in Calabria ingenti forze di polizia provenienti da Bari e Napoli. Numerosi gli arresti, centinaia i mandati di cattura spiccati contro i contadini che avevano partecipato all’invasione.
Il 15 giugno 1949 veniva proclamato lo sciopero generale di 24 ore in tutte le campagne italiane in sostegno dei braccianti del Meridione d’Italia.A queste lotte bracciantili gli agrari risposero con intimidazioni e licenziamenti, le forze dell’ordine con cariche violente, nuovi arresti e altre uccisioni. Un gruppo di parlamentari calabresi democristiani si recò a Roma per chiedere un massiccio intervento della polizia.
I reparti della celere di Sceiba arrivarono in Calabria ed uno di questi il 28 ottobre a Melissa si acquartierò per la notte nella casa del barone Berlingieri.
I contadini avevano occupato il fondo chiamato Fragalà; la mattina del 29 ottobre 1949 la polizia giunse nella tenuta e cercò di scacciare con la forza i contadini dalla terra: sappiamo tutti come andò a finire.
II movimento non si sfaldò, né si arrestò di fronte a queste misure repressive, ma coinvolse nuovi strati di popolazione. Si concludeva un’epoca che lasciò un segno indelebile nella storia italiana: le conquiste di quegli anni sono ancora oggi un baluardo per le popolazioni meno abbienti del Sud, attaccate continuamente da uno Stato e da una classe politica che ha dimenticato le lotte e quella grande epopea contadina che fu l’occupazione delle terre.
ADRIANO D’AMICO
In “L’occupazione delle terre” – Calabria Letteraria Editrice
Foto: RETE