90 cacciabombardieri o 300.000 precari?

È una delle domande che il Forum di Sbilanciamoci! pone all’Italia. Per la sua decima edizione, appena conclusa, la “Contro Cernobbio” sceglie di essere ospitata dalla Comunità di Capodarco di Fermo e sceglie il titolo: “Cambio di rotta. Uscire dalla Crisi” per mettere in discussione le politiche di austerity, immaginare diverse prospettive di sviluppo economico e una diversa organizzazione di risparmi e spesa. Lo fa anche attraverso i dati del dossier “Economia a mano armata” sulle spese militari.La sola riduzione dei programmi arma – spiega il dossier -, tra cui la rinuncia all’acquisto dei 90 cacciabombardieri F-35 ad alta tecnologia prodotti dalla Lockheed, produrrebbe un risparmio di 12 miliardi di Euro in 15 anni; la riduzione d’organico delle forze armate da 190.000 a 120.000 unità ne produrrebbe uno di 3 miliardi di euro; il ritiro delle truppe italiane dall’Afghanistan restituirebbe al paese 616 milioni all’anno.

A cosa destinare questi risparmi? Per esempio a finanziare un’indennità di disoccupazione per i lavoratori a termine con un anno di contributi previdenziali: soggetti oggi esclusi dall’Aspi, il nuovo ammortizzatore sociale targato Elsa Fornero. Costo previsto: meno di 2 miliardi e mezzo (assumendo una media di 1000 Euro al mese lordi per 8 mesi) per un intervento rivolto soprattutto ai giovani, disoccupati per oltre il 35% e precari per circa il 50%.

Circa 2 miliardi invece basterebbero per mettere in sicurezza 3000 scuole. Basandosi sul rapporto Ecosistema Urbano di Legambiente, che censisce anche le condizioni delle scuole italiane, Sbilanciamoci! ha stimato una media di 600.000 euro a scuola per interventi strutturali o di adeguamento alle norme di sicurezza.

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“Da Capodarco di Fermo esce un’altra spending review” ci spiega Giulio Marcon, portavoce della rete Sbilanciamoci! “una spending review che prevede sì il taglio della spesa pubblica, ma di quella militare, non di quella sociale; propone di risparmiare sulle grandi opere, investendo su un piano di piccole opere e di tagliare i finanziamenti diretti e indiretti a scuole e università private”.

Dalla tre giorni di Forum emerge anche la proposta di una imposta patrimoniale del 5 per 1000 sui patrimoni oltre i 500.000 euro, che farebbe entrare nelle casse dell’erario circa 10 miliardi e mezzo di Euro, da destinare, dice Marcon, “a finanziare misure di welfare. Per esempio l’introduzione dei LEP (livelli essenziali delle prestazioni) previsti dalla legge 328 sull’assistenza e a finanziare il fondo per la non autosufficienza”.

“Abbiamo scelto tre parole chiave – continua Marcon- “modello di sviluppo”, perché la crisi ha sancito il fallimento di un modello di sviluppo e deve essere l’occasione per cambiarlo, che significa domandarci cosa produrre e cosa consumare, per esempio abbiamo bisogno di mobilità sostenibile non di tanta mobilità privata, abbiamo bisogno per l’energia non del carbone, ma delle energie rinnovabili; “conoscenza”, come antidoto a un modello basato sulla peggiore delle competizioni economiche, quella costruita sui costi e come risposta al definanziamento progressivo di scuola, università e ricerca; “redistribuzione della ricchezza”, che è anche un fattore di efficienza, non solo di ricchezza. Se l’Italia fatica a far ripartire l’economia è anche perché ha al suo interno una sperequazione rilevante – e crescente – nella distribuzione della ricchezza”. Ecco in sintesi il messaggio di Capodarco, mai così chiaramente distante da quello che nelle stesse ore emerge a Cernobbio: Non è vero che per redistribuire la ricchezza serve prima la crescita, solo con una distribuzione migliore la torta cresce.

In tempi di fiscal compact, però, non basta intervenire dentro i confini nazionale per uscire dalla crisi. “Eurobond, Banca Centrale Europea come prestatore di ultima istanza e Tobin Tax sono alcune delle nostre proposte che interrogano il livello europeo” dice Marcon “Livello ineludibile, perché senza una marcia indietro rispetto al fiscal compact e una revisione dei vincoli del patto di stabilità è difficile una ripresa dell’economia, ma l’Europa è chiamata anche a costruire un’unione politica, l’unico modo per togliere potere alle tecnocrazie ed affermare la democrazia dei popoli”.

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