
Tortora – Cs
Storia
Preistoria
Il territorio tortorese ha visto la presenza dell’uomo fin dagli albori della storia umana. Nella località Rosaneto è stato trovato un giacimento preistorico all’aperto risalente al Paleolitico Inferiore datato a circa centocinquantamila anni fa[12]} , uno dei più antichi siti preistorici italiani. In questo sito sono stati rinvenuti un migliaio di strumenti litici, tra i quali 140 choppers, 67 amigdale ed alcunihachereaux[13]. La presenza umana sul territorio è continuata anche nei millenni a seguire come dimostrano gli scavi avvenuti ai piedi della falesia calcarea di Torrenave. Negli strati inferiori degli scavi sono stati recuperati strumenti litici prodotti dall’uomo di Neanderthalnel Paleolitico Medio, mentre in quelli superiori compaiono gli strumenti tipici dell’homo sapiens sapiens (Paleolitico Superiore). Nellagrotta della fiumarella sono riemerse ceramiche incise dell’età del bronzo dall’Eneolitico fino al Bronzo medio.[14]
Blanda
Fonti letterarie
Di Blanda ne parla Plinio ne la sua Historia Naturalis. Nel III libro scrive:
(LA) « Ab eo Bruttium litus, oppidum Blanda, flumen Baletum, portus Parthenius Phocensium et sinus Vibonensis… » |
(IT) « Sul litorale Bruzio, la città di Blanda, il fiume Baletum, il porto Partenio Focenio e il golfo Vibonese… » |
(Plinio il Vecchio, Historia Naturalis, libro III, 72) |
Curiosamente Plinio colloca la città nel Bruzio, indicandola tra le terre degli Osci, ma il naturalista badava principalmente a raccogliere nella sua opera i nomi dei luoghi e non la loro esatta collocazione.
Tolomeo, nella sua Geografia, pone la città di Blanda nell’interno della Lucania, nelle vicinanze di Potentia.
Livio, parlando della guerra contro i Cartaginesi, elenca delle città espugnate dal console Quinto Fabio, tra cui Blanda:
« oppida vi capta Conpulteria, Telesia, Compsa inde, Fugifulae et Orbitanum ex Lucanis; Blanda et Apulorum Aecae oppugnatea » |
(Livio, Ad urbe condita libri, libro XXIV, 20,5) |
Blanda appare, oltre che nella Tabula Peutingeriana, come statio nell’Itinerario antonino e negli Itineraria dell’Anonimo Ravennate e di Guido Pisano.
« quod Tyrrenum civitas est Bibona Valentia, Tenno, Tempsa, Clampetia, Herculis, Cerellis, Laminium, Blandas, Cesernia, Veneris,Buxonia, Bellia, Herculia, Pestum quae est destructa nunc… » |
(Guido Pisanus, Geografica, 74.) |
La città viene infine ricordata in alcune epistole di papa Gregorio Magno.
Fonti epigrafiche

Tortora – Mausoleo del Pergolo
Storia di Blanda Blanda è citata in alcune iscrizioni ritrovate nelle vicinanze di Tortora, in una delle quali è ricordata con l’appellativo di Julia.
L’origine dell’insediamento sul colle Palestro o Palecastro risale alla metà del VI secolo a.C., quando gli Enotri iniziarono la loro opera di «colonizzazione indigena della costa»,[1] provenienti probabilmente dal Vallo di Diano. La loro presenza sul territorio è stata accertata dal ritrovamento di 38 tombe con corredi funerari enotri, da una stele litica, oltre che dal nucleo originale dell’abitato.
Alla metà del secolo successivo l’insediamento fu abbandonato, forse a causa di un terremoto. Nel IV secolo a.C. il colle Palecastroviene assoggettato dai Lucani, che ricostruirono il villaggio, fortificandolo con una cinta muraria. Con i Lucani l’abitato prende in nome diBlanda. Si costituì una necropoli nella zona tra San Brancato e il Palecastro stesso. L’abitato lucano ha lasciato una grande quantità di materiali ceramici, oggi esposti presso la mostra archeologica di Tortora.

Tortora – Museo archeologico
La Blanda lucana fu uno dei referenti costieri degli insediamenti sparsi lungo la valle del Noce. Nel III secolo a.C., Blanda si spopolò in seguito alle guerre romane contro Annibale. Secondo il racconto di Livio la città fu espugnata dal console Quinto Fabio Massimo nel214 a.C., per poi divenire, dopo un secolo di vita stentata, colonia romana nel I secolo a.C.
Dopo un terremoto che distrusse la città intorno al 70 a.C., i Romani ricostruirono l’abitato, edificandovi un foro con basilica e tre templidedicati alla triade capitolina e collegando le abitazioni con strade ortogonali, riportate alla luce dai recenti scavi archeologici. Si istituì anche un duunvirato.

Tortora – Museo archeologico
In età augustea la città viene elevata a Municipium, e continuò il duunvirato. Al nome venne aggiunto l’aggettivo Julia in onore diOttaviano. Blanda non fu comunque una grande città, edificata su appena 5 ettari di terreno, non fu un centro di popolamento, bensì un centro amministrativo e giudiziario che controllava un territorio abbastanza vasto e con annesso litorale.[2]
La città era servita d’acqua da un complesso sistema apprivigionamento idrico, fatto di cisterne nelle case e fontane sorgive a polla, i cui resti sono oggi stati interrati sotto il percorso della SS 18.[3] La città prosperò fino al V secolo d.C., quando fu saccheggiata e distrutta, forse dai Vandali.[3] L’abitato sul colle Palecastro fu definitivamente abbandonato, ma la comunità blandana rimase unita si stabilì lungo la dorsale della valle della Fiumarella di Tortora, creando un abitato che continuò a chiamarsi Blanda Julia.[3]
Divenuta sede vescovile, la nuova città disponeva di una grande chiesa, sita nella zona di San Bracato, a pianta centrale con ingresso ad ovest e tre absidi, circondata da sepolture, sorta tra il VI e il VII secolo. Nel 592 Blanda subì un’incursione longobarda, e la sede episcopale dovette essere ripristinata dal vescovo Felice di Agropoli, su preciso mandato di papa Gregorio Magno. Nel 601 fu vescovo di Blanda un certo Romano, come ne attesta la sua presenza al Sinodo Romano. Nel 649, anno in cui si svolse il Sinodo Romano, continuò ad essere sede vescovile, come dimostra la presenza del suo vescovo Pasquale. Nell’VIII secolo Blanda passò in mano aiLongobardi. La chiesa continuò ad essere frequentata fino al XII secolo.
Il nuovo abitato di Blanda fu invece abbandonato intorno al X secolo, quando la popolazione si raccolse intorno al Castello delle Tortore, roccaforte longobarda, dando origine all’abitato detto, in onore dell’antica città, Julitta, oggi Tortora.
La ricerca del sito
Nel XVII secolo Camillo Pellegrino fu il primo ad identificare la città perduta con Maratea, ipotesi che fu criticata da Luca Mandelli nell’opera Lucania Sconosciuta (tutt’ora inedita), in cui si trova scritto:
« Di tal opinione fu quel raro ingegno dei nostri tempi Camillo Pellegrino, il quale nella Tavola in piano del Ducato di Benevento segnolla in questo sito: Blanda, nunc Maratea (…) Parvemi ciò inverosimile, poiché dicendoci Livio, Blanda fosse città mediterranea della Lucania, e Tolomeo espressamente poi annoverandola tra i luoghi fra terra di essa provincia, non mi sembra potersi in questo tratto marittimo situare. Ma non dovendo ne’ volendo contradire a quel sì degno scrittore, honor del nostro secolo, che in queste materie di antichità s’ha lasciato addietro quanti moderni prima di lui hanno scritto, volli per lettera palesargli il mio dubbio come altre volte già feci di smiglianti cose, e ne riportai questa risposta: Di Velia e di Blanda non si sovviene hòra quali autori ebbero a crederePisciotta e Maratea; e per essere ciò notato da me fuori del mio istituto principale, non ne presi di molta cura. Tolomeo in vero riconosce Blanda fra terra, ma quella Tavola di Pirro Ligorio è Maratea giù e Maratea suso, che sarebbe la Blanda mediterranea. Ma io ne rimetto alla diligenza di V. S. non già a quella di Gioseffo Moleto che nella sua edizione di quel Geografo espose Blanda per Castellamare Della Bruca, accortomi nelli nomi antichi della nostra Campania di siffatti errori suoi e di altri men cauti autori. Non essendo dunque necessitato dal detto di si degno amico a credere che Maratea fusse l’antica Blanda, non potrà persuadermelo altri, per il motivo dianzi accennato. » |
(Luca Mandelli, Lucania Sconosciuta, parte II[4]) |
Questa identificazione fu ripresa nel secolo successivo da Placido Troyli e Domenico Romanelli:
« Non in altro sito adunque convien riporre Blanda, che a Maratea, un miglio distante dal mare, siccome opinò saggiamente l’Olsteino, esatto dal detto di si degno amico a credere che Maratea fusse l’antica Blanda, non potrà persuadermelo altri, per il motivo di anzi accennato » |
(D. Romanelli[5]) |
Ma nello stesso XVIII secolo Gabriele Barrio è certo di vedere l’antica Blanda nell’attuale Belvedere Marittimo, tesi sostenuta anche Carlo Troia, ma aspramente criticata da Giuseppe Del Re:
« Sedeva Blanda non già nella Brezia o sia a Belvedere tra Diamante e Bonifati, come l’amor di patria ha fatto travedere a Barrio seguito da Aceti e da Quattromani; bensì nella Lucania, come ben hanno marcato Livio e Tolomeo nella enumerazione delle città espugnate da Fabio » |
(G. Del Re, Almanacco della Basilicata per l’anno 1824, pag. 128) |
Nel XIX secolo Andrea Lombardi e Nicola Corcia continuano ad inviduare l’antica città nei pressi di Maratea, ma sono i primi a motivare la netta distinzione tra la città attuale e Blanda, collocando questa nell’agro della cittadina lucana, nei pressi di Santavenere.[6]
Questa tesi fu mantenuta fino al 1891, quando lo storico Michele Lacava identificò definitivamente il sito di Blanda, collocandola nei pressi di Tortora, dove si recò in prima persona per le ricerche archeologiche:
« gli scavi condotti sul colle tra il Noce e la Fiumarella hanno riportato alla luce un piccolo complesso forense, una piazza circondata da portici, botteghe e da un edificio basilicale, dotato di una fontana pubblica, di basi per statue onorarie e aperta, sul lato occidentale, su tre edifici templari tra loro ravvicinati. » |
(Michele Lacava, Del sito di Blanda, Lao e Tebe Lucana, 1891, pag. 17) |
Dopo gli scritti di autori come Theodor Mommsen, Heinrich Nissen e Amedeo Maiuri, che sostennero il Lacava, gli scavi archeologici condotti da Gioacchino Francesco La Torre hanno inequivocabilmente confermato la localizzazione di Blanda.
Il sito archeologico
Scavi e ricerche effettuate in territorio di Tortora nelle località di San Brancato e Palècastro da Gioacchino Francesco La Torre per conto della Soprintendenza per i Beni Archeologici della Calabria hanno definitivamente e inequivocabilmente individuato il sito di Blanda, città prima enotria, poi lucana e successivamente romana, nelle due contrade citate. In particolare a San Brancato sono state portate alla luce oltre 120 tombe enotrie e lucane con ricco corredo costituito soprattutto da vasi di varie dimensioni di fattura italica con qualche pezzo di importazione da colonie magno-greche; sul colle Palècastro, dove era già in evidenza una possente cinta muraria, è stato indagato un centro abitato romano, datato I secolo a.C. – V secolo d.C., con tre tempietti, un foro (dove è stato rinvenuto anche un plinto calcareo piedistallo di un monumento commemorativo con iscrizione latina del I secolo d.C. dedicatoria al duunviro M. Arrio Clymeno, due vie intersecantisi ad angolo retto e varie insulae con abitazioni civili; ai piedi del colle è stata messa in evidenza la parte inferiore di un mausoleo monumentale.

Tortora – Ingresso Museo archeologico
I reperti
Oggi i ritrovamenti dell’antica città di Blanda possono essere ammirati nella mostra perenne “Archeologia per Tortora: frammenti dal passato”, sita nel palazzo Casapesenna a Tortora Centro-Storico.
Medioevo I primi segni di civiltà risalgono al popolo degli Enotri, che dimorò sul territorio fino dal VI secolo a.C. al IV secolo a.C. provenienti probabilmente dal Vallo di Diano[14], la loro presenza sul territorio è stata accertata dal ritrovamento di 38 tombe con corredi funerari enotri, da una stele litica e da un piccolo centro abitato. In seguito, agli Enotri si sostituì apparentemente senza scontri bellici, il forte popolo italico dei Lucani, che nel comune di Tortora sul colle Palecastro ampliarono e fortificarono il centro abitativo di origine enotria diBlanda[14]. Intorno al IV secolo a.C. i Lucani erano i signori incontrastati del territorio che si estendeva fino alle rive del fiume Lao a sud dell’odierna Scalea. Come riportato dallo storico romano Tito Livio, Blanda fu espugnata nel 214 a.C.[15] dal console romano Quinto Fabio Massimo, per essersi schierata con Annibale nella seconda guerra punica. Da quanto riportato da Tito Livio, si può dedurre che Blanda era un centro lucano di primaria importanza. Dopo la conquista romana Blanda visse per oltre centocinquant’anni una vita stentata fino alla metà del I secolo a.C., quando divenne un centro amministrativo romano ed assunse il nome di Blanda Julia in onore di Gaio Giulio Cesare. La vita di Blanda continuò ad essere tranquilla fino alla metà del II secolo, quando iniziò una lenta ma continua decadenza. Durante i primi secoli del Cristianesimo, Blanda fu sede vescovile, e in questo periodo fu edificata la chiesa paleocristiana in località Pianogrande. Si tratta di una chiesa a pianta centrale con ingresso ad ovest e tre absidi, circondata da sepolture, databile tra il VI e il VII secolo. Nel 592 Blanda subì un’incursione longobarda, e la sede episcopale dovette essere ripristinata dal vescovo Felice di Agropoli, su preciso mandato di papa Gregorio Magno. Nel 601 fu vescovo di Blanda un certo Romano, come ne attesta la sua presenza al Sinodo Romano. Nel 649, anno in cui si svolse il Sinodo Romano, continuò ad essere sede vescovile, come dimostra la presenza del suo vescovo Pasquale. Nell’VIII secolo Blanda passò in mano ai Longobardi. Un altro Sinodo indetto da papa Zaccaria nel743 fu sottoscritto da Gaudiosus Blandarum Episcopus. A partire dal IX secolo Blanda, sottoposta a continue incursioni e saccheggi da parte dei predoni Saraceni, fu definitivamente abbandonata. Alcuni dei suoi abitanti si rifugiarono nell’entroterra e fondarono su uno sperone roccioso il primo nucleo di Tortora, chiamato, in onore dell’antica città, Julitta. Oggi i ritrovamenti dell’antica città di Blanda possono essere ammirati nella mostra perenne “Archeologia per Tortora: frammenti dal passato”, sita nel palazzo Casapesenna a Tortora Centro Storico.

Tortora – Museo archeologico
Origini del Nome |
Il nome del paese deriva dal latino turtur, -uris, ossia tortora. La tortora selvatica è raffigurato anche sullo stemma comunale.[16] |
Tra l’VIII ed il X secolo d.C. a Tortora, come nel resto della Calabria, in seguito all’editto di Leone III l’Isaurico, che propugnava l’iconoclastia ed alla conquista araba della Siria e dell’Egitto, giunsero decine di monaci basiliani provenienti dalla Cappadocia, dal Peloponneso, dalla Palestinae dalla Siria, che qui venivano per estraniarsi dal mondo e vivere in pienezza il contatto con Dio. E proprio in queste terre scarsamente popolate, trovarono luoghi idonei al loro culto, dove edificarono decine di piccole cappelle e laure eremitiche basiliane, che ancora oggi a mille anni di distanza danno il nome alle località in cui furono edificate: Caritàti (Carità), Chijericalài, Sant’Elia, Sànta Gàda (Santa Ada), Sàntu Lèu (San Leo), Sàntu Linàrdu (San Leonardo), Sàntu Micìelu (San Michele), Sàntu Nicòla (San Nicola), Sàntu Pàulu (San Paolo), Sàntu Pìetru (San Pietro), Sàntu Prancàtu (San Brancato), Sàntu Quarànta (Santi Quaranta Martiri), Sàntu Sàgu (San Saba) e Sàntu Stèfanu (Santo Stefano).
A partire dai primi anni del secondo millennio il piccolo borgo di Julitta iniziò una lenta espansione ed assunse il nome di Tortora, dalvolatile omonimo che in quel periodo abbondava nei boschi adiacenti. Nella Bolla del 1079, con cui Benedetto Alfano arcivescovo diSalerno consacrò Pietro Pappacarbone vescovo di Policastro, compare per la prima volta nella storia religiosa il nome di “Turtura” accanto a quelli di Agrimonte (Agromonte di Latronico), Arriusu, Abbatemarcu (antico paese sito nel comune di Santa Maria del Cedro),Avena (Avena di Papasidero), Camerota, Caselle (Caselle in Pittari), Castrocuccu (Castrocucco di Maratea), Didascalea (Scalea),Lacumnigrum (Lagonegro), Laeta (Aieta), Languenum (Laino), Latronucum (Latronico), Mandelmo, Marathia (Maratea), Mercuri(Mercurion), Portum (Sapri), Regione, Revella (Rivello), Rotunda (Rotonda), S. Athanasium, Seleuci (Seluci di Lauria), Trosolinum,Turraca (Torraca), Turturella (Tortorella), Triclina (Trecchina), Uria (Lauria), Ursimarcu (Orsomarso) e Vimanellum (Viggianello), che facevano parte della Diocesi di Policastro, oggi Policastro Bussentino (frazione di Santa Marina).[17]
Tra i primi signori di Tortora ci furono i Cifone, che la tennero fino al 1284. Dal 1284 al 1496 Tortora appartenne ai Lauria, di cui il personaggio più rappresentativo fu l’ammiraglio Ruggero di Lauria; nel 1496 Ferdinando II d’Aragona la donò a Giovanni De Montibus. In seguito passò ai Martirano, poi agli Ossonia nel 1565, agli Exarques nel 1602, ai Ravaschieri nel 1692. Dal 1707 al 1821 i signori di Tortora furono i Vitale.
Età Moderna
Nel XVI e XVII secolo tra le attività principalmente diffuse nella Marina di Tortora troviamo la coltura del baco da seta e della canna da zucchero.
In questi secoli Tortora conobbe grandi epidemie, fra cui la terribile peste di Colera del 1656 che dimezzò la popolazione; nel 1770 per epidemia perirono 136 persone, nel 1778 morirono per il vaiolo 60 persone, nel 1794 da aprile a giugno morirono 77 bambini tra uno e dieci anni. Epidemie e colera falciarono vittime anche nel 1802, 1804, 1837 e 1849. Il problema delle morti di massa fu definitivamente risolto nel 1866, quando furono abolite le risaie nei territori di Tortora ed Aieta.[18] Il 13 dicembre 1806 giunsero a Tortora le truppefrancesi del re Giuseppe Bonaparte, le stesse che avevano devastato Lagonegro e Lauria, ma diversamente da altre popolazioni i tortoresi, per evitare devastazioni e saccheggi, non opposero resistenza all’invasore francese, che risparmiò per questo la vita dei cittadini e non operò razzie; lasciata Tortora le milizie si diressero verso la vicina Aieta, che era stata abbandonata dai suoi abitanti. Gli stessi soldati in seguito bruciarono il palazzo Spinelli di Scalea e distrussero la cittadina di Cirella. Il 3 settembre del 1860 a Tortora sostò Giuseppe Garibaldi insieme ai suoi generali Agostino Bertani, Nino Bixio, Enrico Cosenz e Giacomo Medici, ospiti della famiglia Lo Monaco Melazzi, durante la conquista del meridione d’Italia. In questa occasione Garibaldi investì il tortorese Don Biagio Macericapitano della Guardia Nazionale.[17]
Nel 1928, con R.D. 29 marzo e con Decreto Prefettizio del 16 aprile il Comune di Tortora, dopo una plurisecolare esistenza autonoma, venne soppresso ed accorpato, insieme al comune di Aieta, al nuovo comune di Praia a Mare, che fino a quel momento era stata frazione di Aieta. Nel 1937 riacquistò in data 18 luglio la propria autonomia.
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