Cose che succedono soltanto in Italia.

Renzi – Bersani

Bersani e i bersaniani si stanno riorganizzando in vista del congresso del Pd dove probabilmente cercheranno di riprendersi la segreteria che hanno lasciato in prestito a Epifani. Queste sono cose che succedono soltanto in Italia.

In Francia, quando un politico viene sconfitto alle elezioni (sola eccezione il fascista Le Pen il quale, essendo divenuto troppo vecchio, ha pensato di tramandare il partito a sua figlia) si ritira dalla politica e cambia mestiere. Ricordo il caso del socialista Lionel Jospin, uomo politico cresciuto all’ombra di Mitterand che preparò in un certo senso la sua candidatura alla successione. Nel 2002, dopo aver ricoperto per cinque anni il ruolo di primo ministro, subì una sonora sconfitta alle elezioni presidenziali, tanto da non entrare neppure al ballottaggio con Chirac. All’indomani annunciò il suo ritiro dalla politica: proposito che ha mantenuto. In Inghilterra fu così anche per il “padre della patria” Winston Churchill, e per altri personaggi di rilievo come Wilson, come la Thatcher. In Spagna per Felipe Gonzales e anche per il suo rivale Aznar. In Germania praticamente tutti, quando lasciano il cancellierato, compreso Kohl l’uomo della riunificazione, scompaiono dalla scena politica.

In Italia è diverso: soltanto la morte naturale, o disastri come tangentopoli, possono liberarci dagli uomini politici sconfitti. Perché dovrebbe fare eccezione Bersani? Il Nostro, dopo aver ottenuto un plebiscito alle primarie battendo in maniera schiacciante la “nuova proposta” Renzi, ha affrontato la campagna elettorale con 12 punti di vantaggio, che ha dilapidato raccontando all’elettorato spaventato e traumatizzato come “smacchiare il giaguaro” anziché proporre soluzioni importanti alla grave crisi economica e morale che travagliava e travaglia ancora un paese sull’orlo del tracollo.

Mentre Bersani “smacchiava il giaguaro” non si accorgeva del ritorno di Berlusconi e soprattutto sottovalutava l’avanzata di Grillo, per cui i 12 punti di vantaggio sono svaniti nel nulla e il Pd ha vinto le elezioni per una manciata di voti, e se non ci fossero stati i voti del partito di Vendola le elezioni le avrebbe vinte Grillo.

Dopo il disastro elettorale Bersani, anziché farsi da parte subito, ha rivendicato il suo diritto a formare il governo (il suo stesso fratello dichiarava che lui sarebbe stato capo del governo “in un’altra vita”), si è umiliato davanti ai dilettanti della politica che Grillo aveva mandato in Parlamento, non è riuscito a far eleggere un nuovo presidente della Repubblica, tanto da essere costretto ad andare da Napolitano con il cappello in mano a chiedere di rimanere al Colle, a 88 anni quando si preparava a fare il nonno a tempo pieno.

Napolitano ha accettato imponendo la sua condizione: governo di larghe intese con il Pdl, proprio quello che Bersani aveva dichiarato che non avrebbe fatto mai. Una sconfitta più pesante fu soltanto quella della Roma quando perse 7-1 con il Manchester United. Quando Bersani si ritirò senza nascondere una lacrima confesso che mi fece un po’ pena però ammirai la sua onestà intellettuale e politica.

Ora, a quanto pare, Bersani si ritiene troppo giovane per ritirarsi e, non conoscendo altri mestieri, minaccia di tornare alla politica. “Non ci può essere in democrazia un partito con un uomo solo al comando” dice, dimenticando che il partito da cui proviene ha avuto comandi unici e forti, prima quello di Togliatti e poi quello di Berlinguer. E soprattutto sottintendendo, lo voglio evidenziare maliziosamente, “a meno che al comando non ci sia io e non altri, soprattutto Renzi”.

È incredibile quello che sta succedendo nel Pd, è incredibile ma non sorprendente questo fuoco di sbarramento nei confronti del sindaco di Firenze. Incredibile perché sembra una guerra di misoneisti, di coloro cioè che si dichiarano nemici del nuovo.

Gli schieramenti si stanno delineando: da una parte c’è Bersani, con le sue vedove, dall’altra c’è la corrente dei vetero dalemiani (che hanno già indicato Cuperlo come loro candidato alla segreteria del Pd) e dei neodalemiani, come i “giovani turchi” capitanati da Matteo Orfini che ha preso a modello il suo maestro tanto da imitarlo in tutto, nel parlare con lo stesso tono di voce e anche nelle pause, nel gesticolare ed anche nel vestire: chissà perché ancora non si è fatto crescere i baffi… Poi ci sono i margheritini, schierati comprensibilmente dietro il presidente del consiglio Enrico Letta, e tanti cani sciolti come Pippo Civati il quale, novello Leopardi, sembra dire «Armi, qua l’armi / io solo pugnerò / procomberò sol io». Veltroni se ne sta in disparte ma ha pubblicato un libro che sembra un programma per Renzi.

Insomma, la grande vittoria elettorale alle elezioni comunali ottenuta con l’apparato totalmente defilato (a Roma, Marino non era neppure nelle liste del Pd) e quasi certamente “grazie” a questo, non ha insegnato niente. Il Pd vince se cessa di assomigliare al vecchio partito del bottegone. Ed è proprio quello che propone Renzi, quindi tutti addosso a Renzi, “dalli all’untore”!

Di Giancarlo Governi

Fonte: globalist.it

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