Priàpos, etimologicamente «la cosa che sporge o che è davanti» con immediato riferimento all’organo sessuale maschile, è la divinizzazione del vigore generante. Dio dei giardini e degli orti, protegge i campi e gli orti ed è venerato in particolare dalle vergini in attesa di fidanzati e dalle giovani spose che gli offrono canti e ghirlande. Anche i Sileni e i Satiri sono divinità itifalliche, di tipo, però, silvestre e selvaggio, portatori di terrori fra gli uomini, non capaci di generare e di proteggere la fecondità. Proprio da questi abitatori dei boschi discende, in parte, la figura cristiana del demonio dai piedi caprini.
Grande dio preposto alla guardia dei giardini e delle coltivazioni, Priapo aveva la benefica proprietà di distogliere gli incantesimi e i malefici ai danni dei raccolti. La sua caratteristica di demone itifallico lo rendeva particolarmente adatto all’omologazione della sua fecondità sessuale con la fertilità della vegetazione. Di origine asiatica — egli proveniva dalla città di Lampsaco —, Priapo fu entusiasta del suo incontro con Dioniso e iniziò a seguirlo, aggregandosi all’esaltante corteo del figlio di Semele. Il carattere estatico delle celebrazioni dionisiache, con quelle sfrenate danze e orge notturne, gli fu subito congeniale.
Sovente euforico ed eccitato, la sua occupazione maggiore fu di rincorrere Ninfe e donne mortali per possederle. Una volta, durante una festa dionisiaca, egli notò la leggiadra Ninfa Lotis. Se ne invaghì e per tutta la serata non pensò ad altro che a giacere con lei. Quando la festa terminò e i partecipanti si salutarono, egli la seguì e aspettò che andasse a dormire per sorprenderla nel sonno. Architettò il suo piano con estrema cautela e stava infine per goderne i risultati, quando improvvisamente l’asino di Sileno ragliò, svegliando Lotis e tutte le Baccanti. Si creò gran confusione e il povero Priapo dovette rinunciare ai suoi progetti amorosi. Da allora in poi fu spesso ricordato in compagnia di un asino.
Figlio di Afrodile, Priapo aveva ereditato dalla madre la carica sessuale e non certo la bellezza fisica. In effetti la sua deformazione fisica era dovuta a una vendetta di Era. Incantato dalla bellezza fisica di Afrodite che aveva meravigliato tutti gli Olimpi, Zeus volle possederla. Da quell’unione, Afrodite concepì un bambino. Sarebbe stato certamente un dio eccezionale se avesse rappresentato la superba fusione dell’avvenenza della madre con la potenza del padre. Sicuramente il nascituro poteva avere tutti i requisiti per costituire un pericolo alla pace raggiunta fra i numi con l’instaurazione del regno di Zeus. Ma la spinta principale all’intervento negativo di Era fu la gelosia nei confronti dell’ultima amante del suo fedifrago sposo.
Afrodite era ormai prossima al parto quando Era — con ostinata malvagità — le toccò il ventre, provocando la deformità del bambino. Quando Priapo nacque, le divinità presenti e soprattutto Ilitia, dea del Parto, rimasero allibite dalla sua particolarità: egli aveva un membro virile enorme, sproporzionato e smisurato. Afrodite istintivamente volle disfarsene e lo abbandonò fra i monti. L’anormale Priapo fu poi raccolto da alcuni pastori che lo allevarono con amore e devozione, fino a dedicare un culto alla sua divina virilità.
Accanto a Priapo, nel folto seguito di Dioniso, vi erano altre divinità metà uomini e metà animali. I Satiri dal naso camuso e dagli occhi maliziosi, avevano un corpo villoso con la parte inferiore-caprina. Erano inoltre dotati di una grande coda e di un enorme fallo eternamente eretto. Spesso in compagnia di Ninfe o Menadi, essi amavano essenzialmente giocare, danzare e partecipare a incontri orgiastici. Avevano, inoltre, gli stessi attributi di Dioniso: l’edera, il flauto e il tirso. Satiri famosi furono Marsia —; che incautamente raccolse il flauto maledetto di Atena e che fu scorticato vivo da Apollo — e Sileno, il calvo e obeso precettore di Dioniso, perennemente ebbro.
Molto simili ai Satiri erano i Sileni demoni con coda e zampe di cavallo e con le orecchie d’asino. Essi erano generalmente Satiri vecchi, obesi, laidi e, quasi sempre in preda a uno sconvolgente desiderio sessuale. Avidi di sesso e potenti simboli di fecondità, l’apparizione di questi eccitati uomini-cavalli suscitava terrore fra le Ninfe, quelle giovani fanciulle semidivine con cui dividevano il selvaggio territorio delle montagne, dei boschi e delle sorgenti d’acqua. I Sileni assalirono perfino Era, l’intoccabile e inespugnabile sposa di Zeus. Ma il loro attacco per farle violenza si risolse in un vano tentativo, poiché furono scacciati — sebbene a fatica — dai numi e da Eracle venuti in soccorso della dea.
ROSA AGIZZA
Da “Miti e leggende dell’antica Grecia” – Newton & Compton Editori
Foto: Rete
Tracce del culto di Priapo nel Salento e a Malta
Quello che appare decorazione, una volta ornamento, e nelle colonnette più antiche ancora oggi, era invece l’essenziale e consisteva in una scultura lignea o litica di forma fallica. Le due colonne che segnavano l’ingresso in passato non costituivano uno sbarramento fisico per gli estranei, ma una barriera simbolica creata dal fallo in pietra che sostenevano e che era l’immagine, per sineddoche, di un antichissimo dio del mito: Priapo.
Oggi che si è perduto il senso della loro funzione sono due banali pilastri per il sostegno di cancelli o portoni.
I falli litici, rinvenuti nel Salento nella situazione descritta, hanno forme molteplici. Quelli che si ritiene siano i più antichi hanno l’aspetto del membro virile eretto, gli altri hanno assunto la sembianza simbolica di piccoli coni rozzi, di corni, di coni tronchi a base piramidale, di piramidi e, via via che si è venuto perdendo il senso della loro funzione e la memoria del loro simbolo, di pirimidine sovrapposte a più basi e, infine, di generiche punte.
Quanto più l’uomo ha perduto coscienza del loro valore simbolico tanto più è aumentata la loro funzione decorativa e sono venute precisandosi forme geometriche e proporzioni.
Oggi i contadini salentini non hanno quasi più memoria del significato di questi simboli e solo pochi, interrogati, hanno risposto che sono “cose contro il malocchio”.
Impressionante analogia vi è tra alcuni di questi simboli appena descritti ed altri presenti nelle campagne di Malta della zona di Siggiewi
Sono strumenti efficaci contro ogni possibile forza negativa ed hanno un carattere apotropaico. Tali simboli sono diffusissimi nelle due aree prese in esame. La loro funzione per Malta viene confermata da Joseph Cassar Pullicino nel suo volume “Studies in Maltese Folklore” .
Dai segni di un ipotizzabile culto magico un tempo dedicato a Priapo, e qui finora descritti, emergono alcuni
punti caratterizzanti e riconducibili alle classiche peculiarità priapiche:
- Priapo custode dei campi.
- Priapo protettore dal malocchio.
- Priapo dio della prosperità.
Queste tre funzioni sono emanazioni evidenti del vigor simboleggiato dall’arcaica figura di Priapo.
Nato a Lampsaco, nell’Ellesponto, secondo quanto ci raccontano numerosi autori classici, “in breve tempo la sua fama e il suo culto andò crescendo per tutta la Grecia”. E non solo in essa, perchè tracce del suo culto rimandano a un’area molto più vasta “e le sue attribuzioni fondamentali non sono legate ad una specifica origine geografica. Tanto è vero che molti, in vari momenti, sono stati i nomi con cui lo si è indicato, e gli del con cui lo si è confuso: fra questi ultimi vanno annoverati Pan, Bacco e Ermete, nonché l’egiziano Horus; fra i primi si devono almeno ricordare quelli espliciti di Phallos, lthyphallos, Triphallos, che sono altrettante varianti del nome del membro maschile in greco.
A Roma fu confuso con una vecchia divinità che aveva lo stesso segno distintivo e che presiedeva alla fecondità degli uomini: MUTUNUS TUTUNUS, della quale poi prese addirittura il posto come ci testimonia, fra i primi, M. Terenzio Varrone in uno dei suoi frammenti delle “Antiquitates rerum humanarum et divinarum” in cui dice: “durante la celebrazione delle nozze si comandava alla nuova sposa di sedere sul fusto di Priapo”. La sua funzione ci viene confermata da Virgilio quando lo dice “Custode di un povero orto” ; a lui fanno seguito i “Carmina priapea” definendolo “rosso custode degli orti”, “un dio povero dei campi”. Sono proprio i “Carmina priapea” – quasi una summa delle credenze popolari – che, seppure in forma scherzosa, danno abbondanti particolari e ulteriore conferma su Priapo divinità campestre e membruto, inflessibile guardiano degli orti:
Il villano m’ha messo qui a guardare
il giardino e i suoi frutti, e m’ha ordinato
di far bene la guardia
si dice infatti nel XXIV carme. Da questa raccolta di canti tardo-romani vien fuori però l’immagine, se vogliamo anche triste, di un dio ormai in disarmo ma pronto, con accanimento, a difendere il campo che gli è stato affidato. I “Carmina” potrebbero essere considerati il lungo monologo di un dio solitario, le riflessioni grottesche di un guardiano di legno o di pietra – inanimato – issato su di un piedistallo in attesa di sorprendere e punire il ladro, le fantasticherie di potenza e le minacce di un tutor impotente che fa la voce grossa.
Chiunque, con pessime intenzioni
varchi il confine del mio campicello
s’accorgerà che io non sono castrato;
La sua seconda funzione – rilevata ancora oggi nelle parole dei salentini e dei maltesi – di un dio che protegge dal malocchio ci viene testimoniata già da Diodoro quando dice che Priapo, come divinità fallica, viene considerato ” … colui che punisce quelli che fanno le malie”. Infatti le immagini degli organi generatori maschili e femminili sono state sempre ritenute, dalla preistoria ad oggi, e tra popoli diversi, efficaci segni contro le cattive influenze e la sterilità.
Lungo le mura megalitiche del sito archeologico di Hagar Qim (2800 a.C.), in Malta, evidentissimo è un megalite, fallico sicuramente – per la sua sistemazione – elevato a divinità protettrice.
I Romani, per lo stesso motivo, usavano mettere l’immagine del fallo sulle facciate delle loro case o agli ingressi di edifici pubblici.
Su uno dei pilastri dell’ingresso dell’anfiteatro romano di Lecce vi è scolpito un animale fantastico: un grifone con due piume in testa e con le zampe di aquila tra le quali si nota un lungo fallo. “II grifone fallico – scrive Mario Bernardini, che ha studiato il mostro in un breve saggio – avrà potuto avere una funzione protettrice, derivata da una tradizione orientale e da una tradizione romana”.
Anche in cima ad un pilastro dell’anfiteatro di Nîmes, nel sud della Francia, vi è un bassorilievo che rappresenta un triplice fallo con zampe di cane e ali.
Nell’alzata di uno dei gradini della scalinata del Tempio di Ercole italico presso Sulmona, in provincia dell’Aquila, vi è inciso in senso orizzontale un fallo di sicura origine cultuale, tracciato da qualche fedele come ex-voto.
Fra i resti della civiltà romana frequentissimi, dunque, sono i simboli fallici posti come protettori contro le cattive influenze.
Il corno e il ferro di cavallo, entrambi simboli sessuali, non sono ancora oggi usati per il medesimo scopo? E cosa rappresentava in origine il ferro di cavallo, se non l’immagine del sesso femminile?
Gli Arabi dell’Africa Settentrionale infatti erano usi attaccare sulla porta delle loro abitazioni, o in altro posto evidente, gli organi generatori di una vacca contro il malocchio. Data poi la difficoltà di riprodurre in oggetto riconoscibili, da usare come sostituti dell’elemento organico, si presero ad immagine del sesso femminile i ferri di cavallo. Quando, come succede per un meccanismo classico, in seguito fu dimenticato il significato originale dell’oggetto simbolico adoperato, si usò lo stesso oggetto di per sé, e le qualità magiche – una volta dell’organo femminile – si attribuirono allo stesso ferro di cavallo.
I priapi nostrani, messi in evidenza su rozzi pilastri, avevano il difficile e delicato compito quindi di custodire i campi, oltre che dagli attacchi dei ladri, dalle forze negative presenti in natura e attive attraverso gli occhi malvagi degli invidiosi. Questi però, come abbiamo già detto, non erano i soli motivi per cui i contadini li sistemavano – un insieme ad altri simboli – sulle parti più alte presenti nei loro poderi; c’era ancora una terza ed importante ragione: dovevano portare bene. Nella cultura degli agricoltori, dei coltivatori una forza generante e fecondante attiva, quale era considerata quella del priapo, era condizione essenziale per risolvere i problemi della sopravvivenza.
Culti e riti dedicati a Priapo, dio della prosperità, o ad esso connessi furono diffusissimi nell’età romana con lo scopo di “ottenere abbondante raccolto e allontanare i malefici della terra”, come ci testimonia nel “De civitate Dei” lo stesso S. Agostino, uno dei Padri della Chiesa.
Importanti manifestazioni, credenze e tradizioni – anche se adattate e in parte modificate – sono rimaste vive, avendo trovato l’humus opportuno, per tutto il Medioevo. L’esibizione vulvare e fallica in fregi e bassorilievi delle facciate di moltissime chiese nel nord Europa sono un esempio.
Falli sulle facciate di chiese italiane
Per quanto riguarda la presenza di falli sulle facciate di chiese italiane, e sempre con il medesimo scopo, riporto di seguito alcune notizie inedite, direttamente fornitemi dall’antropologo Alfonso M. Di Noia che qui ringrazio.
1) Chiesa dell’Arciconfraternita di S. Antonio Abate a Città di Castello (PG). Nella parete della facciata vi è inserito un fallo litico aggettante di 30 cm. circa. Fino a qualche decennio fa le donne io visitavano e gli rivolgevano preghiere per poter essere feconde.
2) Basilica di San Cesidio a Trasacco (AQ). Lungo il fregio del portale tardoromanico (porta degli uomini) sono presenti figure maschili con fallo eretto e figure femminili con esibizione vulvare. Si può datare intorno al 1400.
3) Chiesa della Madonna del Belvedere a Gubbio (PG). Nell’affresco murale situato nell’interno della chiesa (sulla parete destra per chi entra) vi è una Madonna con quattro Santi offerenti (Ottaviano Nelli, 1452) chiusa fra due colonne a tortiglione pure esse affrescate; lungo le volute di dette colonne sono rappresentate varie posizioni sessuali anormali con falli eretti.
4) Chiesa cattedrale della Santissima Annunziata a Sulmona (AQ). In una delle scene del fregio romanico sovrastante l’ingresso è rappresentato un uomo con fallo eretto e una donna che opera una fellatio.
Le qualità e gli attributi di Priapo, anche a causa dei vari Sinodi che nel Medioevo tuonarono contro i culti dedicati al fallo, abbandonarono il loro vecchio simulacro, per altro già svalutato, e pian piano si trasferirono in nuove immagini di santi cristiani, spesso mai storicamente esistiti, il cui patronato iniziò così ad essere invocato. Nel sud della Francia si cominciò a venerare San Foutin; nella diocesi di Bourges, San Guerlichon; in Bretagna, San Gilles; a Brest, San Guignolé; ad Isernia, nel Molise, i SS. Cosma e Damiano e un po’ dappertutto San Raffaele. E sempre con il medesimo intento. Anche San Nicola, venerato in tanta parte del sud d’Italia, assorbì alcune qualità di Priapo e divenne il protettore delle nubende e dei campi.
Ma, tornando alla realtà salentina, come il clero locale, espressione anch’esso della medesima cultura subalterna, poteva combattere i rozzi priapi dei campi per neutralizzarli senza fisicamente demolirli? la tecnica, al solito, è stata quella di operare direttamente o indirettamente una fusione, un sincretismo fra elementi pagani ed elementi cristiani. Così, modestamente e sommessamente, si agì in modo che dove erano i falli con la stessa funzione fossero presenti – anche e, poi, soltanto – delle immagini sacre, le quali potevano cambiare a seconda della devozione privata o del santo protettore del paese, nel cui agro si trovava il campo con il simbolo fallico da distruggere. […]
Lo stesso processo si può documentare per la religiosissima isola di Malta. Nella foto n. 12, al posto del priapo appare la statuina di San Giuseppe, santo comunque di eccezionali doti generative!
Oggi, la pratica magica descritta in queste pagine e per tanto tempo radicata nella cultura rurale, perchè capace di proteggere dai rischi esistenziali, è quasi del tutto scomparsa.
Priapi ed immagini sacre vengono indistintamente demoliti per far posto a moderni cancelli. Non è la psiche dell’uomo che è cambiata. L’uomo nel suo profondo è sempre pronto, qualora la storia lo emargini o lo releghi in aree nebulose, a crearsi griglie protettive, meccanismi contro tutto ciò che è ignoto e che genera paure esistenziali. Il ritorno al sacro di questi ultimi anni ce lo conferma.
È cambiata, invece, e per sua opera, la realtà socio-culturale. Nuove tecniche di produzione, di lavoro agricolo, nuove macchine, nuovi sistemi di difesa hanno ridotto di molto il rischio della povertà e delle sue conseguenze, la paura di non esserci. Ed è del tutto naturale che proprio nel dominio in cui il rapporto con la natura è meglio controllato, con tecniche agricole realisticamente orientate – come dice Ernesto De Martino – le tecniche magiche siano destinate a scomparire più rapidamente. L’uso dei moderni prodotti chimici, infatti, o di appropriati dispositivi di sicurezza vai bene un priapo o un santino esposto all’ingresso dei campi.
Brizio Montinaro
FONTE: https://www.bpp.it/Apulia/html/archivio/1982/II/art/R82II021.html