I figli della TV

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CARI GENITORI, LEGGETE CON ATTENZIONE.

La «questione televisiva», soprattutto dal punto di vista del suo «peso educativo» nonché del suo possibile «uso pedagogico», non ha suscitato particolare interesse da parte della pedagogia, la quale anziché impegnarsi in ricerche scientifiche ad hoc si è limitata ad alcune considerazioni generiche perlopiù ideologiche, comunque non molto diverse da quelle che si possono fare a livello di discorsi «da salotto», come sappiamo altamente pregiudicati.

Non che in questi anni non si siano avuti interventi sul tema complesso delle influenze che la fruizione televisiva ha sul modo di essere non solo dei bambini e dei giovani. Soprattutto dal punto di vista psicologico non sono state poche le ricerche settoriali anche di notevole profondità ed accuratezza.

Così, accanto agli studi più tradizionali intorno al presunto rapporto tra fruizione televisiva e comportamento violento, o a quelli che segnalavano il rischio di una sorta di «omologazione culturale» o del diffondersi di una «acculturazione banalizzata», si sono avuti una serie di interventi che hanno messo in evidenza come la fruizione televisiva sia correlata con l’aumento dei comportamenti aggressivi nei bambini, o con il nuovo diffondersi di stereotipi di tipo razzista e sessuale, o ancora con un netto decremento dell’interesse per la lettura è più in generale per le attività scolastiche.

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 Analogamente vanno segnalati gli studi che hanno ipotizzato l’esistenza di una correlazione significativa tra l’aumento” della fruizione media televisiva e il diffondersi, specie  tra gli adolescenti, dell’uso dell’alcool e di una anticipata, anche se più immatura, attività sessuale, e persino del constatato sensibile aumento della tendenza all’obesità, presente nei bambini e negli adolescenti; o quelli che hanno ipotizzato un’influenza psicologica dell’uso del telecomando nel costituirsi di una sorta di “vissuto da onnipotenza»!

Né si può dimenticare che sempre in questi anni hanno avuto una notevole diffusione alcuni volumi come quelli di Mary Winn o di Neil Postman che, a modo loro, hanno pure invitato genitori, insegnanti ed educatori in genere a riflettere sul fenomeno televisivo, e ad abbozzare una qualche strategia educativa al riguardo.

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Eppure, al di là della constatazione che la  stragrande maggioranza di tali studi o contributi teorici sono di marca statunitense (il che si spiega, d’altro canto, con la straordinaria virulenza del fenomeno televisivo in quel paese), rimane il fatto che essi appaiono alquanto unilaterali, in un certo senso viziati in partenza da un atteggiamento sostanzialmente «apocalittico».

Come ha giustamente osservato Antonio Faeti, che non a caso è un pedagogista, «è indispensabile non lasciarsi attrarre da pericolose quanto sterili tentazioni liquidatorie o nullificanti. … I media non sono mostri, ma non sono neppure docili, decifrabilissimi strumenti come i vecchi libri. … Sono, questi nuovi mezzi, altra cosa». Per questo, egli aggiunge, occorre anziché formulare semplici e tutto sommato comodi ostracismi, «attivare una profonda volontà di sapere».

Da       “I FIGLI DELLA TV” di Bertolini – Manini , ed. La Nuova Italia

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