
Paterlini fa sembrare la “non crisi”, come la chiama lui, come caduta dal cielo. Non ci sono cause, non ci sono manovratori occulti e palesi, ma solo fumose prospettive. Sembra che siamo stati colpiti tutti allo stesso modo, ricchi e poveri.
Invece questa crisi è stata voluta e gestita dal grande capitale per azzerare i diritti del lavoro dipendente, per distruggere lo stato sociale, per vanificare la democrazia, per accaparrarsi a prezzi stracciati i beni pubblici.
Nel nome della crisi non si firmano più contratti, la scuola è stata distrutta, nella sanità si va avanti solo con i ticket, il lavoro non ha più garanzie e i giovani vengono mortificati in una precarietà senza vie d’uscita.
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Ma cos’è questa crisi
Di Piergiorgio Paterlini
Il primo passo è smetterla di chiamarla “crisi”. Perché quella che stiamo vivendo da anni non è una “crisi”, è un mutamento radicale (epocale) della società, dell’economia, dei rapporti sociali (e di produzione, si sarebbe detto qualche anno fa ma io lo dico anche oggi), di quello che volete ma insomma di quasi tutto.
Come sempre le parole non solo hanno un senso, sono importanti, ma rivelano ciò che pensiamo davvero, in genere ciò che pensiamo di sbagliato. “Crisi”, infatti, significa che c’era un “prima della crisi” al quale si può anzi si deve tornare. Chi pensa così non ha capito cosa è successo e sta succedendo e ancor meno, dunque, come andare avanti.
Quando sentirete ancora qualcuno parlare di “come uscire dalla crisi”, staccate pure l’audio. Quel qualcuno non lo sa di sicuro, come “uscire” dalla crisi. Perché si può uscire da questa melma, si può uscire da questa situazione, si può andare avanti e migliorare, ma non “uscire dalla crisi”, non tornare a “prima della crisi”. Quel prima è finito per sempre. E bisogna – sembra banale ma non lo è – guardare avanti, al nuovo, non indietro, al vecchio, a un qualche “ritorno”.
Potrei fare punto qui. Aggiungo invece che, pur prendendo atto che questa analisi è ancora largamente minoritaria, vedo però una cosa nuova che, secondo me, va nella direzione giusta. Una almeno c’è, e a me pare sia il primo frutto positivo di questa drammatica crisi-non crisi. L’idea che si può e si deve ripartire, in modo totalmente inedito, dal quadrinomio territorio-cultura-turismo-imprenditorialità. Non dico sia l’unica strada – non lo è, bisognerà trovarne mille altre – ma la nuova attenzione, concreta, a cavare soldi e lavoro, per dirla come va detta, ma anche nuove dimensioni collettive, nuovo rapporto tra pubblico e privato, tra lavoro retribuito e impegno civile per la comunità, cavare soldi e lavoro e senso di comunità – dicevo – dalle eccellenze anche di piccoli territori, eccellenze fino a oggi poco o niente valorizzate (eccellenze culturali, storiche, enogastronomiche, artistiche, architettoniche, paesaggistiche…), questa nuova progettualità industriale contemporanea, questa per me è una strada e indica una strada. E là dove la vedo – gli esempi negli ultimi due anni si stanno moltiplicando (quando si è capito che la cosa andava per le lunghe ed era meglio rimboccarsi le maniche, e anche di corsa) – là trovo anche un segno di speranza vera.
E capisco che forse stiamo uscendo dalla paralisi causata dall’orribile stato di shock in cui viviamo da almeno sei lunghissimi anni. E capisco che forse, da questa crisi-non crisi, qualcosa stiamo cominciando a imparare.
Fonte: http://paterlini.blogautore.espresso.repubblica.it/2014/09/05/ma-cose-questa-crisi/
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