AMEN E COSÌ SIA

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Riceviamo da una partecipe lettrice una domanda e una riflessione sulla definizione della parola amen data nel Vocabolario Treccani. Visto il merito e l’interesse dell’argomento, la risposta è affidata a Michele Colombo, docente di Storia della lingua italiana all’Università Cattolica di Milano. Riportiamo, per esteso, il testo inviatoci dalla lettrice, Deborah Cotrufo, seguito dall’intervento di Michele Colombo.

Vi contatto per informarvi di un vostro errore di concetto, come di tutti i vocabolari italiani, riguardo al sostantivo “amen”, in quanto esso non ha lo stesso significato di “così sia”.

“Amen” è una risposta di fede alla volontà di Dio, questo per la sua origine etimologica ebraica; “così sia” è generico. La traduzione non è corretta nel suo significato teologico profondo, poiché non sono la stessa cosa “amen” e “così sia”: “amen” è rivolto direttamente a Dio; “così sia” è in senso lato. Bisogna sempre andare alle fonti.

La parola “amen”, usata nella liturgia e prima ancora nel Vangelo, è una parola della lingua aramaica, la lingua che Gesù parlava in famiglia e nella quale pregava privatamente. Nella preghiera ufficiale pubblica si usava la lingua ebraica. In aramaico si scrive “amen” e si pronuncia “amèn”. Deriva dal verbo “aman” che nel significato fondamentale significa “essere fermo/stabile”. In aramaico come in ebraico esiste una forma del verbo che si chiama “causativo” (qualcuno che causa qualcosa) e si traduce “fare essere / far fare / far dire / far parlare, eccetera”. La forma causativa del verbo “aman” significa “fare stabile, rendere sicuro, rendere fermo” da cui deriva il senso finale di “prestar fede, credere”.

Da qui deriva il senso profondo che la fede è una iniziativa di Dio il quale causativamente “fa stabile, rende fermo/sicuro” e di conseguenza “gli si presta fede”, in una parola “gli si crede”. Pertanto ogni qualvolta un credente dice “amen”, deve avere la consapevolezza che non recita una formula di chiusura di preghiera, ma fa un’autentica, completa professione di fede.

In una paroletta è racchiusa tutta la densità e intensità del “Credo”.

I maestri ebrei solevano dire: quando non hai assolutamente tempo per pregare come prescrive la legge, pronuncia la parola “amen” che racchiude tutta la preghiera e la fede. In questo senso, gli ebrei hanno dato un valore profondo a questa parola, formando un acrostico, cioè altra parole [inizianti] con le consonanti della parola aramaica/ebraica “amen”. In ebraico le iniziali sono lettera alef lettera mem lettera nun (si legge da destra a sinistra); queste tre consonanti formano tre parole:

lettera alef = “el” (si legge: El) significa Dio

lettera mem = “melek” (si legge: Melek) significa re

lettera nun = “naaman” (si legge: Naaman) significa fedele

Ogni volta che diciamo “amen”, affermiamo la fedeltà di Dio che è colui che resta stabile/fermo nella sua alleanza in eterno e affermiamo la nostra fede, cioè la nostra volontà di stabilità e fermezza nel Dio dell’alleanza che professiamo nostro Re e nostro unico Dio. (tratto da http://digilander.libero.it/elam/bibbia/amen.htm). Attendendo una Vs gentile ed importante replica, porgo cordiali saluti.

 

Deborah Cotrufo.

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Amen

di Michele Colombo*

Confesso di non possedere la competenza che sarebbe necessaria per commentare le notizie sull’impiego di amen nelle lingue semitiche che la signora Cotrufo attinge da una pagina in rete firmata (ma in una nota in calce si specifica che le righe sono state pubblicate «senza aver consultato l’autore») dal sacerdote Paolo Farinella. Mi limiterò dunque a trattare l’uso della parola in italiano e nei dialetti, tralasciando la trafila che dall’ebraico ’āmēn, passando attraverso il grecohamēn, giunge al latino āmēn e di lì alle lingue romanze.

Ciò è degno di fede

Restringendosi a tale campo, dunque, si può dire che nell’italiano contemporaneo amen conserva una delle accezioni con cui è impiegato nella Bibbia, giustappunto quella ricordata dalla signora Cotrufo, ‘ciò è degno di fede’. È proprio in tal senso che la parola figura come formula di chiusura di preghiere e dossologie, non solo nella liturgia e nel Nuovo Testamento, ma anche nell’Antico: ne è un esempio il salmo 41, che nella traduzione della CEI è concluso dal versetto «Sia benedetto il Signore, Dio d’Israele, da sempre e per sempre. Amen, amen». D’altra parte, questo stesso versetto mostra come l’accezione ‘ciò è degno di fede’, ‘è vero’ si leghi strettamente al senso della locuzione così sia, con cui si auspica o, meglio, si domanda il compimento del contenuto della preghiera, riconosciuto appunto come vero. Il legame tra le due espressioni è sottolineato dal fatto che il testo latino della Nova Vulgata reperibile sul sito del Vaticano (vatican.va), per lo stesso versetto del salmo, impiega fiat, ‘così sia’: «Benedictus Dominus, Deus Israel, a saeculo et usque in saeculum. Fiat, fiat». Fiat: una parola che, per un cristiano, non può che rievocare la risposta di Maria all’annuncio dell’angelo, ‘così sia di me come hai detto’. Proprio il “sì” che ha dato inizio alla nuova creazione, perciò, mostra come l’affidamento della fede alla parola rivelata e la domanda che essa si realizzi nella carne sono inscindibili.

Amme e mamme

Un altro esempio di tale stretto legame tra le due accezioni si può rintracciare nel canto XIV del Paradiso di Dante, dove ai versi 61-66 due corone di beati, che hanno ascoltato Salomone descrivere la pienezza della beatitudine celeste che si realizzerà alla risurrezione della carne, certificano il suo discorso con un amme (la forma toscana popolare di amen). Ma quell’amme, oltre che asseverativo, è espressione di un desiderio intenso, che traspare dal modo stesso in cui la parola è proferita: «Tanto mi parver sùbiti e accorti / e l’uno e l’altro coro a dicer “Amme!”, / che ben mostrar disio d’i corpi morti, / forse non pur per lor, ma per le mamme, / per li padri e per li altri che fuor cari / anzi che fosser sempiterne fiamme» (da notare, di passaggio, la rima splendida e audace con il familiarissimo mamme). Secondo uno dei commentatori antichi della Commedia, l’amen veicola in questo passo addirittura «tre significati», perché non solo «afferma il detto di Salomone» e «desidera perfezione», ma serve anche da esclamazione che «comunica con li beati allegrezza».

Buona salute

L’opposizione tra amen e così sia non è perciò tanto nel significato, quanto nell’uso comune liturgico e paraliturgico, dove la seconda espressione è attualmente poco diffusa. Amen invece è un termine che nella Penisola gode di buona salute oggi come in passato, e la cosa è certificata dal fatto che dal senso proprio si sono sviluppati nel tempo diversi usi traslati, che ruotano attorno a due concetti fondamentali.

Usi traslati: conclusione

Il primo, e più importante, è quello di ‘conclusione’: di qui l’antico impiego di amen come formula di chiusura alla fine di un testo letterario, come il ciclo di racconti del Libro dei sette savi («Qui finiscie il Libro de’ Sette Savj di Roma. Amen») o di un documento, come gli statuti della confraternita dei Battuti di Trento («Item sì statuemo e sì ordenemo ch’el nostro ministro cum li soy consieri sì façan observar li statuti a soa posa. Amen»). Venendo invece all’oggi, appartiene a quest’area semantica il modo di dire essere all’amen ‘essere alla conclusione’, come pure l’amen che esprime rassegnazione (‘va bene, come vuoi, pazienza’) e intende chiudere il discorso (è andata così, amen, non parliamone più!). All’opposto, nel dialetto della Garfagnana, ama! si dice come rimprovero a chi sbaglia, per esternare il proprio disappunto.

Dal fatto che l’amen arrivi alla fine della preghiera, alcuni dialetti hanno ricavato espressioni in cui si scorge una vena di bonaria ironia, come nel romanesco èsse l’ultimo come l’ammènne o nell’umbro àmmene, che a Foligno è una ‘persona che abitualmente giunge per ultima agli appuntamenti’. Tuttavia, sempre a Foligno, àmmene può anche indicare una ‘cosa lunga, che non finisce mai’: all’idea di eccessiva estensione si richiamano pure lungo come l’amen a Roma, detto di persona noiosa e prolissa, dormir fin amen a Venezia, cioè ‘dormire molto’, e ghe ’n ho magná fin amen ad Agordo (BL), ‘ne ho fatto una scorpacciata’.

Tornando ad amen come parola che ricorre dopo le altre dell’orazione, il nesso tra la posizione finale e uno scarso valore è facile: così a Magione (PG) tu sè còm ammènne vale ‘sei sempre l’ultimo, non conti nulla’, in romanesco un (o una)cantante dell’ammenne è un (o una) ‘cantante di nessun valore’ e a Crema una persona dappoco si dice maloámen (dalla fine del Pater noster: «libera nos a malo. Amen»).

Usi traslati: brevità

La seconda idea alla base delle accezioni traslate di amen è quella di brevità, da cui l’uso nel senso di ‘attimo’, di cui si scorgono le tracce già nella descrizione dantesca di tre sodomiti che riprendono la corsa sul sabbione infuocato: «Un amen non saria possuto dirsi / tosto così com’e’ fuoro spariti» (Inf. XVI, 88-89). In particolare è diffusa (o lo è stata in passato) la locuzione in un amen ‘in un attimo’, che si rintraccia non solo in italiano, ma anche in diversi dialetti centrosettentrionali, come il piemontese ant un amen, il milanese ind on amen, il roveretano ent un amen, il versiliesend’un àmme, ecc. Una variante di tale espressione è quella che si trova in Ticino (in un santi amen) e a Poschiavo (in un sant e amen), dove amen si è fuso, per così dire, con ciò che lo precede nella formula latina che accompagna il segno di croce: in nomine Patrii et Filii et Spiritus Sancti amen (è un caso parallelo a quello del già citato maloámen).

A in un amen si affiancano altri modi di dire simili che si rifanno alla brevità delle formule di preghiera, come in un’ave, in un credo o in un fiat. E, avendo citato quest’ultimo caso, vorrei chiudere con una piccola castigazione: nei dizionari la locuzione in un fiat è ricondotta alle parole che Dio pronunciò creando il mondo. Tuttavia, visto il parallelo con espressioni tutte riferite all’ambito dell’orazione, sembra più ragionevole pensare qui a un altro fiat, quello già ricordato di Maria, che viene ripetuto dai fedeli nella recita dell’Angelus: «Fiat mihi secundum verbum tuum». Amen!

Bibliografia

Gian Luigi Beccaria, Sicuterat. Il latino di chi non lo sa: Bibbia e liturgia nell’italiano e nei dialetti, Garzanti, Milano 1996, ad indicem.

Claudio Costa, Appunti per uno studio sulla modificazione semantica del lessico cristiano nella lingua comune, inCultura letteraria e realtà sociale. Per Giuliano Manacorda, a cura di Francesca Bernardini Napoletano, Editori riuniti, Roma 1993, pp. 171-213.

Enciclopedia Dantesca, I, Roma, Istituto della Enciclopedia Italiana, 1970, s.v. amen.

Max Pfister, Lessico Etimologico Italiano, vol. II, Reichert, Wiesbaden 1987, s.v. āmēn.

TLIO. Tesoro della lingua italiana delle Origini, tlio.ovi.cnr.it, s.v. amen.

*Michele Colombo insegna Storia della lingua italiana all’Università Cattolica di Milano e Brescia. Si è formato a Milano, Pisa, Londra e Lovanio ed è attualmente Alexander von Humboldt Forschungsstipendiat presso l’Università del Saarland. Ha parlato a numerosi convegni in Italia e all’estero ed è stato professore ospite in Ungheria, Russia e Australia. Ha pubblicato volumi, saggi e articoli sulla storia dell’italiano e dei dialetti d’Italia dal Tre all’Ottocento, in particolare sui volgari lombardi medioevali, sulla grammaticografia secentesca, sui rapporti tra Chiesa e italiano e sui romanzi e la letteratura popolare ottocenteschi. È autore inoltre di un fortunato manuale per la scrittura accademica.

di Michele Colombo*

Fonte: http://www.treccani.it/magazine/lingua_italiana/scritto_e_parlato/amen.html

Foto: Rete

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