Nello stesso momento in cui un opinionista saccente come Eugenio Scalfari, che non comprende che non può scrivere di ciò che non conosce, dà per spacciato il Sud, con un editoriale su Repubblica, noi siamo lì, in uno dei luoghi più belli del mondo. Quel posto sta a Sud. Poco all’interno del borgo incantato di Fiumefreddo Bruzio, in vista del Tirreno calabro. Su un’affilata cresta di calcare che si inerpica per qualche centinaio di metri, dai resti dell’Abbazia Florense di Fonte Laurato, sino alla cima di Monte Barbaro. Sulla Catena Costiera. Un gruppo colorato e gioioso, formato da un pugno di quelle “anime morte” che, secondo Scalfari, saremmo tutti i meridionali. Noi ci inerpichiamo verso l’alto, con i volti illuminati dal sole. Lui scrive appollaiato sul suo deretano, nell’ombra della capitale. Noi ci battiamo per un Sud che rinasca. Lui ci affonda come un luogo irredimibile. Noi ci facciamo istituzioni senza cariche e poltrone. Lui ci informa che quaggiù “il potere è tutto dei truffatori e dei capi delle clientele”. La gola del Fiume Centacque serpeggia ai nostri piedi. Lambisce una delle abbazie del più grande visionario del Medioevo: Gioacchino da Fiore. Che fu in odore di eresia perché vedeva l’età dello spirito nel mondo vivo e non in un altrove a venire e indefinito. C’è un Sud dello spirito, che Scalfari – e tutti i venditori di opinioni come lui – non conosce e non conoscerà mai. E non val neppure la pena di chiedere a Scalfari se Roma (mafia capitale) o Milano (la mafia dell’Expo) siano città colme di “anime vive” e prive di truffatori e capi di clientele. Non val la pena. Davvero. Noi abbiamo una montagna da salire. Ben salde siano le mani sulle rocce. Intrepidi e prudenti i piedi sulle pietraie. Attento lo sguardo verso il cielo e verso l’abisso. Abbiamo sorrisi contagiosi da scambiarci. E abbracci. E condivisioni. E fratellanza verso chi affronta questi rischi per la prima volta. Il Sud è morto? Evviva il Sud.
Nelle foto: cresta sud-ovest di Monte Barbaro (Catena Costiera, Fiumefreddo Bruzio, Calabria). Foto e testo Francesco Bevilacqua