La vicenda della Xylella

 

Onore ai cittadini di Torchiarolo, e degli altri centri del Brindisino, del Leccese e del Salento, scesi in piazza a difendere la loro terra e l’ambiente dei loro padri, ribellandosi alla violenza delle multinazionali, alle menzogne dello scientismo taroccato, e ai poteri occulti manipolatori travestiti da benefattori.

La vicenda della Xylella e dei magici Uliveti delle Puglie dimostra come ancor oggi c’è chi riesce a scatenare dal nulla, con occupazione militaresca, le più avide forze distruttive. E ricorda molto da vicino la storia del Matsucocco e delle meravigliose Pinete della Maremma, condannate a nutrire assurde centrali a biomasse; o l’ennesimo sfregio alla Biodiversità della Sardegna, nelle superstiti Leccete del Marganai, affettate e trasformate in pellet.

C’è qualcuno che abbia il coraggio di sostenere che si tratta di onestissimi interventi doverosi, per il bene comune? Quali giochi di poteri, di scambi, di menzogne, di ricavi in nero e di tangenti potrebbero nascondersi dietro operazioni del genere?

Abbiamo ancora la capacità di non accorgerci che, per un piatto di lenticchie, stiamo ormai devastando un patrimonio millenario unico, la vera ricchezza storica e naturale dell’Italia e del Mezzogiorno?

Siamo disposti a continuare a tagliare senza sosta gli alberi, a scarnificare le pendici selvose, e a distruggere la vegetazione riparia, per poi lamentarci quando, alle prime piogge, il fango cala a valle e sommerge le città?

E’ incominciata la corsa all’ultimo albero, mentre si diffonde la menzogna rassicurante che i boschi in Italia crescono perfino troppo (certo, sarebbe vero se considerassimo tali tutti i roveti, i felceti e i cespuglieti che invadono le campagne abbandonate: mentre in realtà, a subire l’invasione delle motoseghe sono vere foreste e alberi secolari, presidio di biodiversità, paesaggio ed equilibro eco-idro-geologico).

E non sarebbe il caso di perseguire, anziché chi difende gli ulivi, chi corre a sterminarli?

Chi scriverà un giorno la storia dell’auto-distruzione dell’Italia al principio del Terzo Millennio, non potrà non dedicare un capitolo all’imperante “analfabetismo ecologico”.

Quello che si prostrava in adorazione di mille idoli bugiardi (dai pesticidi e diserbanti da spargere senza limiti, all’invasione degli OGM, con i loro geni mutanti; dalle ridicole prescrizioni di sicurezza, che vedevano in ogni albero un nemico da abbattere, inventando patologie incurabili, alle più demenziali operazioni antincendio, che scongiuravano ogni rischio di fuochi) e piromani in modo semplicissimo: radendo al suolo tutta la foresta; fino al capolavoro di malafede o ignoranza (o meglio, dell’intreccio di entrambe): abbattere tutti i pini d’Aleppo, che negli ultimi decenni stavano riconquistando prode brulle e terreni incolti. E per quale motivo? Perché, con suprema incompetenza botanica e biogeografica, lo avevano etichettato come albero estraneo, immigrato indesiderato, pianta non autoctona: e quindi da eliminare.

Se la giustizia farà il suo corso, come auspichiamo, e ora sembra finalmente avvenire dopo una lunga attesa, da queste storie italiane potrebbero venire alla luce vergognose corse al profitto, indegne acquiescenze ai potenti di turno, e trame inconfessabili. Basterebbe controllare dove finisca il legname ricavato con i tagli selvaggi, scoprire i percorsi inquinanti dei TIR che lo trasportano verso lontani inceneritori o centrali a biomasse, calcolare i costi e i benefici di questa tanto decantata “green economy”, che nel nome dei massicci impianti lautamente sovvenzionati (da cui si ricava scarsa energia alternativa, ma nei quali si è infiltrato il peggior malaffare), rischia di rendere più grigio che mai quel Bel Paese, un tempo decantato come “giardino d’Europa” al centro del Mediterraneo.

L’ultimo allarme documentato giunge proprio da Bruxelles, a firma Fern, organizzazione non governativa particolarmente competente: “La Green Economy distruggerà le Foreste: la politica europea sulle rinnovabili incentiva la combustione di biomassa, ma la crescita del settore può cancellare per sempre le foreste secolari”. E’ proprio il caso di chiedere: ma a vantaggio di chi? E come mai nessuno interviene?
Con la provvidenziale e competente azione della Procura di Lecce, una prima battaglia è stata vinta dalla gente vera, e da ciò che ancora rimane dell’autentico ambientalismo d’un tempo. Ma attenzione, la guerra non è ancora finita, e per vincerla occorrerà ritornare a una visione ecologica, etica e culturale, che parta anzitutto dalla storia della Magna Grecia, dalla sapienza contadina che qualcuno vorrebbe disprezzare e cancellare. “Dopo Dio, viene il contadino”, affermava Fukuoka, riconoscendo i meriti e le saggezza dei sacerdoti di Madre Terra. Chi ha fatto crescere per migliaia di anni 10 milioni di ulivi nel Salento, e 60 milioni di ulivi in Puglia, avrebbe molto da insegnare ai professionisti settoriali che oggi pretendono di decidere del nostro futuro, arrogandosi potestà supreme che non hanno, e proclamando verità assolute che tali non sono.
Chiunque abbia acquisito anche solo un poco di seria conoscenza scientifica ed esperienza pratica nel campo dell’ecologia, e degli equilibri degli agro-ecosistemi, potrà facilmente allontanare i predicatori della rapida estirpazione con un eloquente cenno della mano, ricordando alcuni aurei principi:

1.- Infestazioni e patologie sono sempre esistite, e in realtà rappresentano segni d’allarme di altri stress delle piante, che vanno dall’abbassamento e inquinamento delle falde idriche alla contaminazione dell’aria e alle polveri sottili, dall’alluvione di biocidi alla mancanza di cure adeguate, e via dicendo… Ma come nella sanità, il rimedio non sta nell’uccisione del malato, bensì nella sua attenta cura.

2.- Assistita in modo non invasivo, e lasciata in pace per un tempo sufficiente, la natura trova in se stessa la forza per reagire, attraverso gli anticorpi di ogni parassita o batterio (dal nemico naturale al batteriofago), e grazie alla resilienza: una dinamica di predazione, competizione e selezione, dei cui complessi meccanismi riusciamo oggi a comprendere forse appena una minima parte.

3.- Pur nutrendo il massimo rispetto per l’indagine e la sperimentazione scientifica, non crediamo alla sua infallibilità, come ha ben insegnato Carl Popper, ma confidiamo nei suoi progressi che riescono sempre ad ampliare la nostra visione della realtà. E diffidiamo comunque di quanti, per interessi non sempre cristallini, si fanno scudo di limitate ricerche settoriali per ergersi su un piedistallo, acquisire maggiori poteri e profitti, autoproclamandosi giudici assoluti.

 

4.- In conclusione, il futuro dell’Olivicoltura nel Salento non è questione di scarso rilievo, da lasciare nelle mani di politicanti locali, assistiti da diligenti specialisti settoriali (fitopatologi o agronomi che siano), né tantomeno da abbandonare nelle grinfie voraci delle multinazionali (che presto verranno processate all’Aja per crimini contro l’umanità). Ma è un grande problema della collettività, da affrontare a livello interdisciplinare: ecologico, economico, sociologico, biologico, giuridico, territoriale e geopolitico, e in definitiva anche etico, per trovare la soluzione migliore nell’interesse della società e dell’ambiente, nostra “casa comune”.

Franco Tassi & Collaboratori
Centro Parchi Internazionale

Dalla pagina Facebook dell’autore

Foto: RETE

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