Il due novembre si ricordano i morti. In genere non rispetto questa ricorrenza. Mi piace andare al cimitero quando pungola una mancanza, un ricordo; le braccia vorrebbero recuperare un abbraccio; le orecchie sentire una voce.
Il cuore non dimentica. Anzi la morte distilla il vissuto, toglie scorie, e quel che è stato ritorna, spesso, come rimpianto. Non rispetto date né orari: può capitare di sera o di primo mattino. Non porto lumini, né recito preghiere. Porto scuse, a piene mani: per le tante manchevolezze, le parole non dette, i gesti non compiuti; e gratitudine, per il pane condiviso, le frasi secche che cadenzavano doveri, il sudore contadino che dava valore alle cose e aggiungeva saggezza alla mente, e quel pudore discreto che raccontava emozioni con pochi cenni, come a vergognarsene.
Ora nella casa all’ombra degli ilici la porta è chiusa e sui gradini comincia a crescere l’erba. Quando vi torno, ogni passo è un viaggio nel silenzio. Il focolare è spento. E fa freddo.
Nella foto il funerale di Saveria Russo, mamma di Mariangela Salerno e nonna di Rosalia