Quando l’uomo si sbaglia…

 

Movimento, quiete, apparenza… Noi utilizziamo queste parole nella vita di tutti i giorni, parole che hanno un significato corrente ma anche un senso più profondo, filosofico. Lo stesso vale per quelle frasette quotidiane che a prima vista non hanno niente di filosofico ma che – come si è visto – sottintendono grandi affermazioni filosofiche alle quali non si era mai pensato.

In un certo qual modo, dunque, facciamo tutti filosofia  «senza saperlo», come Monsieur Jourdain nel ‘ Borghese gentiluomo di Molière parlava in prosa « senza saperlo ».

Con una differenza, però: anche se non si sa di parlare in prosa dalla mattina alla sera, in prosa si parla lo stesso. Mentre quando si fa filosofia senza saperlo, di sicuro si fa filosofia ma la si fa come capita. Con tutte  le conseguenze del caso.

Per esempio, se credo che le capacità culturali dell’uomo siano naturali ed eterne, allora le considero una fatalità e non posso intervenire per modificarle.  Se credo che le capacità artistiche, scientifiche, sociali, tecniche e così via siano qualcosa di «naturale», di «eterno», allora mi rassegno a restare ciò che sono adesso, e lo stesso vale per i miei figli, per ogni persona.

Se credo a un’inferiorità « naturale » della donna, mi sbaglio, ma nella vita quotidiana mi comporterò in base a quella credenza e dunque rafforzerò le diseguaglianze subite dalle donne. Lo stesso per ciò che riguarda l’umanità.

Per esempio: nel corso dei millenni, gli schiavi credevano essi stessi di essere schiavi «per natura», o per volontà divina. Non vedevano nella schiavitù il risultato di una storia sociale, di rapporti di forza, di concezioni temporanee. Si sbagliavano, ma il loro errore li conduceva ad ammettere che la loro sorte era una fatalità, a non ribellarsi. Cosicché il loro errore (« la schiavitù è eterna») rendeva effettivamente eterna la schiavitù.

Quando l’uomo si sbaglia sulla sua vita e sulla sua  natura, quell’errore tende a diventare la verità del mondo in cui vive. Riflettere in modo rigoroso sui fondamenti di tutte le questioni filosofiche, non significa costringersi a «spaccare un capello in quattro»: significa sforzarsi di essere più coscienti per essere più liberi, scegliere con cognizione di causa, non sottomettersi ai pregiudizi, non accettare senza un esame critico ciò che pensano gli altri, contrapporre a essi ciò che pensano altre persone ancora. Significa avere spirito critico e, nutrendosi delle riflessioni contraddittorie già formulate, essere il meno possibile vittime delle illusioni.

 

Fonte: “A che cosa serve la filosofia?” di J.P. Jouary, Salani

Foto RETE

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