Le parole possono far male

Le parole sono pietre, si ripete spesso, ed è vero. L’uso non controllato e non meditato di certe espressioni può provocare ferite profonde.

Che cosa proverà il genitore di un bambino down sentendo usare il termine «mongoloide» in senso offensivo e spregiativo? Che effetto faranno l’abuso e il travisamento di significato del termine «schizofrenico» a chi soffre di schizofrenia, o a chi ha, tra i propri cari, una persona affetta da questa patologia? E lo stesso vale per «cerebroleso», «encefalitico», «paraplegico», «handicappato», aggettivi che alcuni, per leggerezza e ignoranza, usano come insulti.

Fino a questo momento abbiamo fatto riferimento a parole usate, incoscientemente, come insulti più o meno scherzosi. Ma rispettare significa tener conto delle persone che abbiamo accanto quando parliamo. Bisogna sempre fare attenzione a non ferire, involontariamente, chi ci ascolta.

Anche nel caso, per esempio, delle persone con qualche chilo in più, basterà evitare di nominare i «ciccioni» e le «ciccione», e lo stesso vale se abbiamo vicino una persona non troppo alta: sarà meglio non alludere a «nani» e «bassotti».

Un ultimo consiglio riguarda l’uso delle espressioni che alludono a persone che hanno patologie legate all’uso di droghe o alcol. Anche in questo caso, dosiamo con cura termini ed epiteti, ed eliminiamo dai nostri discorsi parole come «strafatto», «ciucco» eccetera.

 Bisogna usare le parole – tutte le parole – con cautela: servono a comunicare, e dunque a entrare in rapporto con gli altri, rispettandoli.

Da LE PAROLE GIUSTE,  di Della Valle – Patota – Sperling & Kupfer

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