Un libro per amico: “LA VALLE DEI MONASTERI”, di G. Russo

 

 

 

Il glorioso passato storico della Calabria nord-occidentale dei secoli a cavallo tra i primi due millenni ha lasciato poche tracce, deboli testimonianze scolpite su pietre ormai logore, che però ancora combattono contro gli attacchi del tempo, delle intemperie e dell’incuria degli uomini.

Pietre appartenenti a poveri edifici lesionati, a causa della lunga età, dell’inadeguatezza della qualità del materiale e, non ultimo, del terreno solo apparentemente solido, su cui sono stati costruiti.

Se la documentazione archeologica è difficile o forse solo molto faticosa da raccogliere, quella documentaria, di tipo tradizionale, appare irrimediabilmente limitata. Rari sono i testi a cui poterci rifare e quasi tutti di natura agiografìca. Anche qui le notizie vanno scavate tra testi scritti per lodare la vita e le gesta dei numerosi uomini di fede che avevano abitato questa regione e in essa avevano trovato il luogo ideale per contemplare la grandezza dell’Altissimo.

Quella del monachesimo calabro-greco e dell’Eparchia monastica del Mercurion è stata un’esperienza fondamentale per l’identità storica e culturale della regione al confine tra la Calabria e la Basilicata a partire dai secoli VII e VIII fino al XIII. E tuttavia i secoli successivi hanno tentato di far sprofondare nell’oblio tale patrimonio di arte e cultura.

Con l’avvento dei Normanni nella dominazione del territorio, la Chiesa di Roma volle riprendere con gli interessi l’influenza e i beni che il movimento monastico orientale, e con esso il basileus, aveva consolidato secoli prima, tanto da raccogliere anche in regioni in cui non aveva seminato né coltivato.

Con i Normanni giunsero monaci e abati che considerarono quelle regioni terra di conquista. I monasteri mercuriensi finirono sotto la giurisdizione delle neo istituzioni benedettine che lasciarono che questi piombassero nel più totale abbandono e intraprendessero un processo di irrimediabile decadimento dopo essere stati depredati di tutto. Non solo i beni terrieri dei monasteri greci vennero trattati alla stregua di un bottino da spartire fra i nuovi venuti, ma anche gli innumerevoli codici miniati, conservati nelle loro biblioteche vennero asportati per finire, venduti a pochissimo prezzo, in collezioni di privati senza scrupoli e, spesso, anche senza cultura.

Frequentemente mi torna alla memoria un episodio che lessi all’epoca in cui compilavo la mia tesi di laurea. Durante il periodo napoleonico (1806 – 1812), un ufficiale francese a Salerno acquistò del formaggio in un mercato rionale. Sua somma sorpresa fu quella di constatare che l’oggetto acquistato venisse avvolto in una pergamena strappata da uno dei tanti codici greci provenienti da monasteri della regione mercuriense e finiti nell’Abbazia benedettina di Cava dei Tirreni.

Certo, si potrebbe disquisire a lungo sui metodi seguiti in materia di “passaggio” dal mondo monastico calabro-greco orientale a quello benedettino occidentale. Non è questa la sede, né il momento. Va detto, però, che la cultura dominante non riuscì o, forse, non reputò propizio cancellare ogni traccia dell’ortodossia dalla memoria popolare. Si preferì lasciare che fosse il tempo a sbiadirla lentamente fino a farla sparire del tutto, come la pioggia e il vento hanno fatto con gli affreschi dei tanti monasteri e delle tante chiesette in rovina sparsi nel territorio.

Giovanni Russo e Pietro Rotondaro al Salone Internazionale del Libro di Torino del 2012

La lettura di quel passato storico, così duramente provato, è un atto difficile da compiere, ma non impossibile. Lo diventerà sicuramente se non interverremo tempestivamente in difesa delle poche testimonianze architettoniche ed artistiche che ancora faticosamente resistono alle avversità telluriche, meteorologiche e all’incuria umana o se, addirittura, continueremo noi a distruggerle impunemente.

Non riusciamo ad accettare l’idea che potremmo essere gli ultimi a ricordare ancora come erano imponenti e suggestive le mura che circondavano i monasteri delle valli Argentino e Porta la Terra e quelle che cingevano il nucleo più antico dell’abitato di Orsomarso o ad aver visto in piedi l’eremo di San Nilo con le sue ultime tracce di affreschi bizantini.

Non è ammissibile che resti di costruzioni così cariche di storia, con i loro interessanti spunti artistici, possano sparire senza che nessuno faccia niente o, peggio, siano disinvoltamente abbattuti per cedere il posto a nuove costruzioni che, oltre a deturpare il paesaggio, non sono di alcun interesse architettonico.

Il lavoro che così si conclude, senza avere la pretesa di essere esaustivo riguardo all’intera vicenda del monachesimo calabro-greco nella regione a confine tra le attuali Calabria e Basilicata, vuole solo essere un invito a riconsiderare non solo l’annoso problema dell’ubicazione dell’Eparchia monastica del Mercurion, ma anche quello di ricercare il suo centro, il luogo cioè in cui si concentrava la maggior parte dei suoi monasteri.

Il solo desiderio che sento di dover esprimere qui è quello di lanciare due messaggi alle autorità territoriali e a tutti coloro a cui sta a cuore il nostro passato storico.

ORSOMARSO – Chiesa di Santa Maria di Mircuro

Il primo è un messaggio di allarme riguardo proprio alle pietose condizioni in cui versano i resti di eremi, chiesette, cenobi, nonché frantoi, mulini, ecc., che i monaci mercuriensi avevano costruito per soddisfare le esigenze (evidentemente non solo spirituali) proprie e della popolazione che viveva nei pressi dei loro monasteri. È importante che non si getti la spugna, e che, in maniera congiunta, autorità e popolazione civile, ci si mobiliti in difesa di un patrimonio storico-artistico, che rappresenta il libro, a lungo dimenticato, dalle pagine consunte dal tempo, del nostro passato storico, la cui salvaguardia e la cui valorizzazione potrebbero rappresentare anche la migliore occasione per lo sviluppo turistico del territorio.

L’altro di sprono per tutti coloro che, come me e come le persone che mi hanno aiutato in questo lavoro, ancora provano attaccamento nei confronti della Calabria che, pur fra mille contraddizioni e non poco faticando per stare al passo con i tempi, è comunque depositarla di un passato storico la cui grandezza ha preso le mosse dalla sua grande capacità di aprirsi fondamentalmente a nuove esperienze di vita.

Quello del monachesimo mercuriense rappresenta una parentesi storica di cui si può essere orgogliosi. La sua particolarità risiede nel fatto che non riguarda avvenimenti bellici o di contrapposizione tra popoli o idee, ma introduce concetti che lo stesso mondo moderno fa fatica a recepire: è una pagina di storia che parla di ospitalità, di pace, di studio, di spiritualità, di contemplazione della natura e di adorazione dell’Assoluto.

Da G. Russo,  LA VALLE DEI MONASTERI, Introduzione, pp 9-12, Ferrari

 

Titolo del Libro: La valle dei monasteri. Il Mercurion e l’Argentino

Autore :  Giovanni Russo

Editore: Ferrari Editore

 

Data di Pubblicazione: 01 Gennaio ’11

Argomenti :  Monachesimo Storia Calabria

Pagine: 224

ISBN-10: 8895834801

ISBN-13:  9788895834801

Ti potrebbero interessare:

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.

Close