SUD – Con l’unità d’Italia «chiù meno pe’ tutti!».

Perché i meridionali si fanno trattare così? Perché parlano del male che viene loro fatto, come se dovessero giustificarsi, invece di chiedere conto e giustizia a chi li accusa, insulta e deruba?

Cominciamo dalla fine, con il preziosissimo studio, Il prodotto delle regioni e il divano Nord-Sud in Italia (1861-2004), di due notevoli ricercatori, Vittorio Daniele e Paolo Malanima; il primo è dell’università Magna Graecia di Catanzaro, l’altro dirige a Napoli l’Istituto di studi sulle Società del Mediterraneo del Consiglio nazionale delle ricerche.

Vi risparmio le paginate di tabelle e numeri, vi dico come finisce: “A noi c’ha rovinato la guerra”, perché «non esisteva,all’Unità d’Italia, una reale differenza Nord-Sud in termini di prodotto pro capite».E badate, che i due ricercatori partono dal 1861, quando già da molti mesi il Mezzogiorno era in stato di guerra, sottoposto a razzie, stragi, distruzione di paesi, di stabilimenti industriali, mentre la produzione delle aziende risparmiate non poteva non risentire delle condizioni belliche. Il professor Daniele è calabrese, di Roccella Ionica. E lì intende restare; il professor Malanima è pisano e mise la prima volta piede a Sud di Roma all’età di 45 anni, nel 1995, per andare a insegnare a Catanzaro. L’incontro con Daniele lo indusse a occuparsi, con lui, della faccenda Nord-Sud. «Scoprii che c’erano molte opinioni e pochi dati. E l’origine del divario era indagata da un punto di vista storico, a partire dalle condizioni attuali. Il che comporta dei rischi; per esempio: se il divario c’è adesso, si tende a pensare che ci fosse già prima; e che sia stato determinato dalle condizioni storiche precedenti. Tanto che alcuni lo retrodatano al Medioevo; o ne individuano le origini persino negli assetti dell’impero romano, o preromani… Si è indotti a ritenere che il Nord sia più avanti, perché ebbe la stagione dei Comuni, mentre il Sud era da molti secoli un paese unico, e con forti connotazioni feudali. Sospetto che se la situazione oggi fosse al contrario, con il Sud più avanti, individueremmo il suo vantaggio nel non essere stato frammentato, come il Nord, da mille rivalità.»

Non ci avevo mai pensato (mi consola l’essere in buona compagnia): ma non è esattamente questa la ragione per cui Roma-stato-unitario conquistò la Grecia-delle-città-stato e non il contrario, secondo quel che ci insegnavano a scuola? (Lo dice pure Darwin, per spiegare il declino dei greci.)

«Il paese che somigliava di più al Regno delle Due Sicilie, all’epoca» continua Malanima «era l’Inghilterra, superpotenza del tempo, e solo nell’Ottocento Londra superò Napoli; quanto a feudalesimo residuo, di sicuro al Mezzogiorno ce n’era meno che in Giappone.» Che non risulta abbia fatto una brutta fine.[…]

 «L’Italia era, allora, un paese povero e quando questo accade, non c’è possibilità di grandi differenze fra una zona e un’altra. Non entro nei dettagli, se non vuole, ma si ragiona così: stabilito il limite di povertà, intorno a 800-900 di una moneta immaginaria, l’Italia era prossima a quella quota, con circa 1.300. In tali condizioni, si sta più o meno tutti sulla stessa barca. E con i dati recuperati ed esposti nello studio fatto insieme a Daniele, questo appare evidente.»[…]

«Il divario economico fra le due grandi aree del paese», dimostrano Daniele e Malanima, «cominciò a manifestarsi alla fine degli anni Settanta e negli anni Ottanta (dell’Ottocento;nda). Fu contemporaneo, cioè, alla nascita della “questione meridionale”.»

Ma si è abituati a leggere che divario e Questione c’erano giàe che, nonostante l’unificazione del paese, non si è riusciti a colmarlo (ilproblema è che i meridionali so’ meridionali, mannaggia). Mentre, quandovennero a spararci i fratelli del Nord, «i dati sui saggi salariali reali aNord e a Sud, sia urbani che rurali, non rivelano sostanziali differenze».

Per rendere più chiaro quel che dicono, i due ricercatori usano un coefficiente che misura le disparità economiche fra regioni di uno stesso paese; e mettono a confronto il dato dell’Italia unita, nel 1861, con quello di altri paesi europei, anche molto più ricchi: Italia e Francia, perfettamente allineate, stavano molto meglio dell’imperiale Regno Unito, mentre il Belgio (a cui “vendemmo” carne umana da uccidere nelle miniere di Marcinelle, in cambio del carbone che ne estraevano) era, rispetto a noi, disastrato.

«I divari regionali, assai modesti nell’immediato periodo post-unitario, aumentano nettamente per quasi un secolo, riducendosi solo nei due decenni dopo la Seconda guerra mondiale» (gli anni della Cassa per il Mezzogiorno), sintetizzano Daniele e Malanima. Ma la differenza, attenti, all’inizio non è fra Nord e Sud. Perché, nel 1891 (e scusate ma devo ricordarlo: cioè dopo trent’anni di furti, tasse maggiorate al Sud, spesa statale solo al Nord), il reddito pro capite della Campania è ancora superiore a quello nazionale, «comparabile a quello della Lombardia, mentre in Puglia e nelle isole maggiori è analogo a quello nazionale». Posso dire: immaginate come stavano le cose prima? Okay, l’ho detto.

Le differenze, a trenta penosi anni dall’Unità, erano fra un gruppo di testa, che comprendeva Piemonte, Liguria, Lombardia, Emilia, Umbria, Lazio e Campania; un gruppone di centro, in cui pedalavano le Tre Venezie, la Toscana, le Marche, la Puglia, la Basilicata, le isole; e un gruppetto di coda in cui arrancavano Calabria, Abruzzo, Molise; ultima, la Val d’Aosta.

Soltanto dopo altri trent’anni di cura ammazza-Sud, i fratelli d’Italia finalmente ci riescono, e «nel 1921 il Mezzogiorno può già essere considerato un’area in ritardo di sviluppo». Parliamo di un terzo del paese che da ormai sessant’anni, dopo un’orgia di sangue e fuoco, viene discriminato per legge, ignorato dalla spesa pubblica, tassato più degli altri. Eppure, la Campania è ancora, nel 1911, fra le regioni più ricche (l’unica «del Sud, con un reddito pro capite superiore a quello medio italiano»).

Ma sta per arrivare, infine, un po’ di equità e nel trentennio seguente, pure la Campania verrà impoverita come le altre regioni meridionali: «Le differenze interne al Mezzogiorno divengono più sfumate: le regioni in passato più ricche arretrano sensibilmente, e il reddito pro capite è nettamente inferiore a quello delle regioni meno sviluppate del Centro. In altre parole, le regioni meridionali divengono più simili» cioè tutte ugualmente più povere del resto d’Italia.

Cetto La Qualunque direbbe: «Chiù meno pe’ tutti!».

Fonte: TERRONI, di Pino Aprile – Piemme

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