Posidone: il signore del mare

Di chiara origine minoico-micenea, Posidone è dio del mare, delle acque lacustri e dei fenomeni tellurici connessi alle acque. Nume che unisce alla luminosità ctonia il simbolismo della potenza attiva e devastatrice. Assume anche il patronato sugli animali che incarnano il simbolo della fecondità, come il cavallo e il toro. Posidone simboleggia il Grande Padre il cui potere fecondante viene corroborato dalla valenza mitica delle acque primordiali da cui nasce la vita indifferenziata e tempestosa. Dio che condensa forze creatrici, incarnando principi elementari e indefiniti di una natura che inizia a modellarsi.

Primordiale sposo della grande dea ctonia, egli vanta i privilegi e le funzioni della divinità che regola il passaggio al Mondo Infero. È in quest’ultimo aspetto che si rivela l’oscuro esercizio del suo tremendum, che culmina la sua propensione per la vendetta e la distruzione.

Nettuno (Posidone) sul carro trainato da Ippocampi. Mosaico, III sec. d. C., dalla villa dell’Uadi Blibane.

Signore indiscusso del mare, Posidone, figlio di Crono e di Rea, era innanzitutto associato ai fenomeni tellurici connessi alle acque. Dio dei terremoti e dei cataclismi che turbavano l’Egeo, egli era Enosigeo, lo «Scuotiterra», divinità possente che con un colpo di tridente poteva sconvolgere venti, terra e mare. Fratello di Zeus (a cui era toccato il Regno del Ciclo) e di Ades (a cui spettò l’Oltretomba), Posidone — sebbene gli fosse stato attribuito il Regno del mare —, rimaneva il dio radunatore di nubi e  scatenatore di tempeste.

Posidone era una potenza che occorreva placare piuttosto che invocare. Infatti le preghiere a lui rivolte erano per scongiurare un suo intervento negativo e non per richiesta di aiuto. E del resto i marinai, nei momenti critici, si rivolgevano ai Dioscuri, figli di Zeus, soccorritori dei naviganti in pericolo.

Nei confronti di Zeus, suo fratello celeste, Posidone presentava un carattere oscuro e crudele. E lunga era la serie delle sue ritorsioni.

Egli scatenò il suo odio contro Odisseo, reo di aver accecato suo figlio Polifemo. Per punire Minosse di un mancato sacrificio cultuale, fece in modo che Pasifae, la sposa del re cretese, s’innamorasse in modo forsennato di un magnifico toro bianco.

Il dio del mare trascorse l’infanzia a Rodi, dove sua madre Rea lo aveva condotto, perché fosse allevato da Cefira, figlia di Oceano, e dai Telchini.

Questi educatori di Posidone erano demoni anfibi, con la testa di cane e le mani a forma di pinne. Abili fabbri, essi erano ritenuti malvagi stregoni e foggiarono al loro pupillo il famoso tridente, così come a Crono avevano dato l’infausta falce aguzza, strumento della castrazione di Urano.

Rovine del Tempio di Poseidone a Capo Sounion

Ormai adulto, Posidone s’innamorò di Halia, sorella dei Telchini e ne ebbe sette figli, fra i quali una sola femmina di nome Rhodos. Erano così ostili e violenti questi figli di Posidone, che proibirono gratuitamente alla giovane Afrodite in viaggio verso Cipro — di sbarcare a Rodi. La dea dell’Amore li punì duramente: in preda a follia, essi violentarono la propria madre. La reazione di Posidone, disgustato dall’accaduto, fu di sprofondare i figli sotto terra mentre Halia, gettatasi in mare, divenne Leucotea, «la bianca dea»

II dio del Mare ebbe numerosi e grandi amori. Sua sposa legittima fu Anfitrite, che aveva scorto dalla sua reggia subacquea nei pressi di Eubea Era una delle cinquanta figlie di Nereo, il Vecchio del Mare, danzava armoniosamente con le sue sorelle, quando il dio la rapì. Impauritasi alla vista di Posidone, la graziosa Nereide fuggì via, trovando asilo nel vicino palazzo di Oceano. Un delfino fu incaricato di cercarla e di persuaderla a tornare dallo sposo. In queste nozze, che suggellarono il definitivo riconoscimento di Posidone come Re del Mare, ebbe rilievo il dono fatto da Afrodite ad Anfitrite: una corona di rose destinate a non appassire mai.

Poseidone lotta contro il gigante Polibote – Anfora greca a figure nere – 540-530 a.C. circa – Museo del Louvre – Parigi

Come Zeus, anche Posidone si concedeva frequenti relazioni adulterine, che addoloravano la giovane sposa. Nel caso di Scilla, figlia di Forco, Anfitrite si ingelosì al punto da ordire un sortilegio. Ella gettò delle erbe magiche nella fontana in cui la fanciulla si bagnava e la trasformò in una mostruosa cagna con sei teste e dodici zampe.

Sotto forma di cavallo Posidone possedette Demetra, in lutto per la perdita di Persefone. Dalla loro unione nacque una figlia innominabile al di fuori dei riti misterici, e il celebre cavallo Areion.

Fra i suoi molti amori ci fu anche la bellissima Tiro, figlia di Salmoneo, folle e odioso re della Tessaglia, folgorato da Zeus. Maltrattata dalla crudele matrigna, Tiro era solita passeggiare lungo il fiume Enipeo, di cui si era invaghita. Ma il dio del fiume, benché allettato e attratto dalla ragazza, non ricambiava il suo amore. Posidone fu molto divertito da quella strana storia e decise di intromettersi. Trasformatosi in Enipeo, il dio la violentò e la rese madre di due gemelli, Neleo e Pelia.  

Posidone si unì poi alla Ninfa Cenide,  figlia di Elato, che come dono d’amore chiese di essere trasformata in uomo, perché ormai stanca di essa donna. Diventata un eroe invulnerabile, prese il nome di Ceneo e partecipò alla spedizione degli Argonauti e alla caccia al cinghiale di Calidone. Ormai inorgoglita dalla presunzione di essere invincibile, Ceneo costrinse Zeus a intervenire. Il sommo Nume incaricò i Centauri di eliminarla, ma l’impresa non fu facile né incruenta. Dopo pesanti perdite nelle loro fila, i Centauri la seppellirono sotto una catasta di alberi, facendola morire soffocata. Durante i funerali, il cadavere di Ceneo riprese le originarie sembianze femminili.

Un’altra volta, il dio del Mare s’innamorò dello splendido Pelope. Il fanciullo era figlio di Tantalo e della Pleiade Dione. Invitati gli dei a banchetto sul monte Sipilo, Tantalo notò con rammarico di non avere viveri sufficienti e, senza indugio, uccise il figlioletto Pelope e ne servì le carni agli immortali. Solo Demetra non si accorse subito dello scempio e mangiò la spalla sinistra del fanciullo. Dopo aver punito Tantalo, il Cronide volle far rivivere Pelope e ordinò di raccoglierne le membra e di metterle in un calderone.

Una volta emerso dal calderone in tutta la sua luminosa bellezza, Posidone lo portò con sé in Olimpo, lo nominò coppiere personale e suo compagno di letto.

Posidone fu un grande e prolifico capostipite e i suoi figli — per la maggior parte mortali, — erano accomunati da una negativa inclinazione per la crudeltà e la ferocia. Da Anfitrite ebbe l’unico figlio immortale, il divino Tritone. Padre di Pallade, la compagna di giochi di Atena — uccisa accidentalmente dalla dea — Tritone era un dio tremendo, metà uomo e metà pesce. «Largamente potente», egli era considerato soprattutto un rapitore di donne e fanciulli e dimorava negli abissi marini, nel suo magnifico palazzo d’oro, insieme all’amata madre.

Gli altri figli di Posidone erano mortali, spesso disumani e selvaggi. L’unico grande eroe positivo era Teseo, nato dall’ateniese Etra che, benché promessa a Bellerofonte, aveva dormito con Egeo e, nella stessa notte, anche con Posidone. Quest’ultimo concesse a Egeo la paternità del bambino che, una volta divenuto re, nominò suo padre Posidone patrono dei Giochi Istmici.

Nemica degli uomini, assassina e selvaggia, la progenie mortale del dio «dal cupo rombo» era spietata. Il suo figlio più famoso fu Polifemo, essere tremendo che uccideva e divorava i malcapitati stranieri giunti alla sua dimora. Altro figlio di Posidone era il re dei Lestrigoni, Antifate, feroce omicida e anch’egli — come Polifemo — acerrimo nemico di Odisseo.

Gigantesca e nera creatura era Busiris, re d’Africa, che sacrificava gli incauti stranieri sulle are degli dei. Egli fu ucciso da Eracle, che sostò a Menfi durante il suo lungo viaggio con le mandrie di Gerione.

Anteo, invece, era re di Cirene e sfidava a mortale combattimento chiunque approdasse sulla sua terra. Poi offriva i teschi degli uccisi al tempio del padre Posidone.

Amico legato dagli Argonauti , 425 e il 400 a.C. – Parigi.

Rissoso e brutale era Amico, re dei Bebrici, di Bitinia, che affrontava nel combattimento a pugni i malcapitati stranieri. Polluce, uno dei due Dioscuri, sconfisse Amico Pugilatore e lo costrinse a giurare di desistere dalle sue nefandezze.

Da Ifimedia, figlia di Triope e sposa di Aloe, Posidone ebbe Otos ed Efialte, i due giganteschi fratelli che imprigionarono Ares e assediarono l’Olimpo. La fanciulla, innamoratasi del dio del Mare, era solita recarsi in spiaggia, e disperarsi per l’indifferenza del dio. Ma un giorno Ifimedia iniziò a versarsi acqua marina in seno, e così facendo, rimase incinta.

Sicuramente poco simpatici, i figli mortali di Posidone furono destinati a soccombere per mano dei figli di Zeus: Anteo e Busiris furono uccisi da Eracle e gli Aloadi da Apollo e Artemide e Amico da Polluce.

Barbato e solenne, Posidone raramente lasciava la sua spendida reggia sull’aureo cocchio tirato dai cavalli «dai piedi di bronzo» e con la criniera d’oro. Lo seguiva un esultante e vario corteo di «fiere del mare»: delfini, tonni, ippocampi, Tritoni e soavi Nereidi dalle vesti fluttuanti.

Generatore e signore dei cavalli, egli era detto Posidone Hippios, il «domatore dei cavalli». Egli stesso aveva fatto nascere il cavallo percuotendo la terra con il tridente. In quanto dio equestre, Posidone istituì le corse con i cocchi, e gli erano dedicate palestre e gare ippiche.

Divinità marina, ma anche ctonia, egli partecipò alla Gigantomachia. Durante una feroce lotta contro il Gigante Polibote egli, invece del tridente, lanciò un enorme macigno contro il suo avversario e lo sopraffece. Spesso ribelle al predominio di Zeus, Posidone partecipò alla congiura capeggiata da Era per spodestare il Re d’Olimpo. Condannato insieme ad Apollo per il gesto di tradimento contro il Sommo fratello, egli fu costretto a trascorrere un anno sulla terra al servizio di un mortale — Laomedonte, re di Troia.

Posidone mostrò sempre un avido interesse per la conquista di un posto al sole. In effetti, per quanto fosse vasto il mare, sentiva l’evidente mancanza di un regno sulla terra. Ben due volte si scontrò con Pallade Atena per il possesso di città.

Una volta riteneva di essersi aggiudicato Atene avendo fatto dono alla città di un pozzo d’acqua marina. Ma la dea, piantando un olivo nei pressi del pozzo, avanzò maggior diritto. Stavano per azzuffarsi, allorché Zeus ordinò che la contesa fosse risolta in tribunale. La giuria divina stabilì che la dea aveva fatto il dono migliore ad Atene e che quindi, doveva ottenerne il governo.

Paolo Farinati, Contesa fra Atena e Poseidone per il dominio su Atene, 1590 circa, affresco, Villa Nichesola-Conforti, Ponton di Sant’Ambrogio di Valpolicella (Verona).

Un’altra volta il dio marino rivendicò il possesso di Trezene a Pallade. Quando Zeus divise equamente la città fra i due, entrambi rimasero scontenti. Sempre inutilmente Posidone cercò di strappare Egina a Zeus, Naxos a Dioniso e Delfi ad Apollo. Per l’attribuzione di Corinto fu chiamato ad arbitrare il Centimane Briareo, che dichiarò perdente il dio marino a favore del dio Sole, Helios. Per il dominio dell’Argolide fu sua rivale Era, mentre arbitro era Foroneo. Posidone, a questo punto, si sentiva vittima di una congiura e bersaglio dell’ingiustizia divina. Non accettò il verdetto — naturalmente sfavorevole — e si vendicò essiccando tutti i fiumi e i torrenti dell’Argolide. Il paese soffriva di una mortale siccità e il re Danao mandò le sue figlie in cerca d’acqua e di una provvidenziale soluzione per placare il dio.

Mentre camminava in un bosco, Amimone, figlia di Danao, svegliò inavvertitamente un Satiro che cercò di usarle violenza. Ella iniziò a dibattersi e a invocare Posidone che, udite le grida, prontamente intervenne e lanciò il suo tridente in direzione del Satiro. Quest’ultimo si era schivato, lasciando che l’arma si conficcasse nella roccia. Nel frattempo, Posidone aveva notato la bellezza della giovane Danaide e giacque con lei, del resto ben contenta di compiere la missione affidatale dal padre. E per amore il dio volle donarle l’acqua. Estrasse il tridente dalla roccia e dai tre buchi formatisi sgorgò una fonte limpida e fresca, detta di Amimone.

Suo regno fu Atlantide terra che si estendeva al di là delle Colonne di Eracle. Gli abitanti l’avevano resa fertile con enormi lavori di irrigazione e l’avevano fornita di monumentali opere di costruzione. Innamoratosi dell’indigena Clito, Posidone ne ebbe cinque coppie di gemelli e, infine, Atlante che resse la supremazia su tutti.

Virtuosi e saggi, gli abitanti di Atlantide divennero avidi e crudeli tanto da  attirare l’ira di Zeus, che sommerse il paese e condannò Atlante a portare il Cielo sulle spalle per l’eternità.

Fonte: Miti e leggende dell’antica Grecia, DI Rosa Agizza, Newton&Compton

Foto RETE

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